In Italia poveri raddoppiati dal 2005

Secondo i dati Istat su povertà assoluta e relativa in Italia, il nostro Paese è malato gravemente. Una malattia che colpisce soprattutto le persone fragili e le famiglie con prole numerosa

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Tra i paesi più colpiti dalla crisi, l’Italia ha registrato negli ultimi anni un progressivo peggioramento dei principali indicatori macroeconomici e sociali. Lo rileva l’Istat, in collaborazione con il ministero del Lavoro e con l’Inps, nei due volumi recentemente pubblicati, dal titolo “Rapporto sulla coesione sociale”. Le rilevazioni effettuate dall’istituto di statistica del nostro paese registrano ancora una volta l’impatto drammatico della crisi economica sulla vita delle famiglie.  I valori relativi alla percentuale dei poveri sono i più alti mai registrati dall’Istat in Italia.  I disoccupati sono 2 milioni 744 mila, 636 mila in più rispetto al 2011. Nel 2013 sono calati i contratti a tempo indeterminato (-9,4% per gli under 30), e quasi un pensionato su due percepisce meno di mille euro.

A fine 2012, il 12,7% delle famiglie italiane si trovava in povertà relativa; un aumento dell’1,6% rispetto all’anno precedente. Più marcato invece l’aumento percentuale per le singole persone in povertà relativa, cresciuti al 15,8% + 2,2% nel corso del 2013. Drammatici i dati anche sulla povertà assoluta che raggiunge il record e riguarda il 6,8% delle famiglie e l’8% delle persone. I poveri in senso assoluto sono raddoppiati dal 2005 e triplicati nelle regioni del Nord (dal 2,5% al 6,4%). Queste percentuali tradotte significano che 1 milione e 725 mila famiglie (il 6,8% delle famiglie residenti) risultano in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni e 814 mila persone (l’8% dell’intera popolazione).

L’incidenza, tra le famiglie, ha mostrato un aumento, rispetto al 2011, dell’1,6% a livello nazionale, dell’1,8% nel Nord e nel Mezzogiorno e dell’1% nel Centro. L’incidenza aumenta tra le famiglie con tre (dal 4,7% al 6,6%), quattro (dal 5,2% all’8,3%) e cinque o più componenti (dal 12,3% al 17,2%), che nella maggioranza dei casi sono famiglie con figli: coppie con un figlio (dal 4% al 5,9%, se minore dal 5,7% al 7,1%), con due figli (dal 4,9% al 7,8%, se minori dal 5,8% al 10%) e soprattutto coppie con tre o più figli (dal 10,4% al 16,2%, se minori dal 10,9% al 17,1%). Sul sito dell’Istat vengono riportati altri dati relativi al “Rapporto sulla coesione sociale”, che evidenziano il peggioramento subito dalle famiglie con prole numerosa. 

“Si tratta dei valori più alti dal 1997, anno di inizio della serie storica” afferma l’Istat. In sintesi: la povertà relativa e assoluta colpisce di più nel Mezzogiorno, le famiglie più numerose, in particolare con tre o più figli, soprattutto se minorenni. Si conferma la forte associazione tra povertà, bassi livelli d’istruzione, bassi profili professionali (working poor) ed esclusione dal mercato del lavoro: se la “persona di riferimento” ha al massimo la licenza elementare l’incidenza di povertà è pari al 19% (contro il 6,4% osservato tra i diplomati e oltre) e sale al 35,6% se è alla ricerca di lavoro. Livelli d’incidenza prossimi al 50% si osservano tra le famiglie senza occupati né ritirati dal lavoro.

La povertà relativa mostra alcuni segnali di miglioramento fra gli anziani. Tuttavia, una vulnerabilità in termini economici permane soprattutto nel Mezzogiorno, dove risulta relativamente povero il 27,2% degli anziani. In Italia il sistema di trasferimenti sociali è meno efficace nel contenere il rischio di povertà rispetto ad altre realtà nazionali del contesto europeo: la quota di popolazione a rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali è più bassa solo del 5% rispetto a quella prima dei trasferimenti. Nel 2012 l’indicatore sintetico “Europa 2020”, che considera le persone a rischio di povertà o esclusione sociale, ha quasi raggiunto in Italia il 30%, soglia superata solo dalla Grecia tra i paesi europei.

Secondo l’Istat, inoltre, negli ultimi quattro anni (2010-2013) si è assottigliata la quota di lavoratori dipendenti under 30 nel settore privato, dal 18,9% al 15,9%. Aumentato il peso relativo della quota femminile, dal 40,9% del 2010 al 41,9% del 2013. Il tasso di disoccupazione della popolazione straniera si attesta nel 2012 al 14,1% (+2 punti percentuali rispetto al 2011). I valori più alti si registrano al Nord dove il tasso raggiunge il 14,4% (16,3% per la componente femminile).

Rispetto alla tipologia contrattuale si è evidenziato che il numero medio di lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato, nel 2013, è diminuito rispetto all’anno precedente (-1,3%). Il fenomeno riguarda soprattutto i lavoratori più giovani diminuiti del 9,4%. Nel periodo 2010-2013 il peso dei giovani rispetto al complesso dei lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato è passato dal 16,8% al 14,0%.

Stipendi bloccati. Secondo l’Istat, lo scorso anno, la retribuzione mensile netta è risultata di 1.304 euro per i lavoratori italiani e di 968 euro per gli stranieri. Rispetto al 2011, il salario netto mensile è rimasto quasi stabile per gli italiani (4 euro in più) mentre risulta in calo di 18 euro per gli stranieri, il valore più basso dal 2008. In media, la retribuzione degli uomini italiani è più elevata (1.432 euro) di quella corrisposta alle connazionali (1.146 euro). Il divario retributivo di genere è più accentuato per la popolazione straniera, con gli uomini che percepiscono in media 1.120 euro e le donne soltanto 793. I lavoratori sovra istruiti (in possesso cioè di un titolo di studio più elevato rispetto a quello prevalentemente associato alla professione svolta) sono il 19% circa dei lavoratori italiani, mentre la quota supera il 40% fra i lavoratori stranieri e raggiunge il 49% fra le occupate straniere.

Infine, l’84,9% dei pensionati ha redditi pensionistici inferiori a 2.000 euro lordi e in particolare il 46,3% dei pensionati inferiori a 1.000 euro, solo il 15,1% dei pensionati ha un reddito superiore a duemila euro. Dal 2010 al 2012 il numero di pensionati è diminuito mediamente dello 0,68%, mentre l’importo annuo medio è aumentato del 5,4%. 

Questi dati forniti oggi dall’Istat sulla povertà assoluta e relativa in Italia, dicono che il nostro Paese è malato gravemente, una malattia che colpisce soprattutto le persone più fragili. Per uscire da questa drammatica situazione, come scrive Papa Francesco nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione”.

“E’ una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, di un mercato divinizzato dove regnano speculazione finanziaria, corruzione ramificata, evasione fiscale egoista”, afferma il Papa. E ai politici dice: “Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo. […] Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato”.

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Carmine Tabarro

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