“In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”

Questo il titolo del convegno della Cei, in programma a Firenze dal 9 al 13 novembre prossimi. Lo storico Guiducci ne approfondisce i temi

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Dal 9 al 13 novembre del 2015 la Chiesa Italiana tornerà a incontrarsi nelle sue diverse componenti per riflettere in modo comunitario sul tema: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Il tema è particolarmente attuale alla luce dei più recenti, drammatici avvenimenti (guerre, immigrati, morti drammatiche di soggetti in fuga, anti-semitismo riemergente) che hanno scosso il mondo e la stessa Europa (inclusa l’Italia). Già nel 1987, il prof. Vittorio Mencucci (liceo “Perticari” di Senigallia) scriveva: “Dopo Auschwitz e Hiroshima è più possibile parlare di umanesimo? Certamente, se vogliamo ancora parlarne, lo dobbiamo fare in maniera totalmente diversa: non più la retorica esaltazione dell’uomo, ma la lucida presa di coscienza dei nostri limiti e la fatica del riscatto. L’umanesimo contemporaneo non guarda tanto lo sfolgorante ideale, quanto la bruciante realtà, anche se non dimentica di essere in cammino verso quella terra di libertà che mai ha abitato e che tuttavia costituisce l’irrinunciabile patria. L’umanesimo contemporaneo si caratterizza quindi come umanesimo critico”.
A questo punto, in che termini si può parlare oggi di umanesimo? È corretto annotare che esiste un vecchio umanesimo, sostituito da uno “nuovo”? E quali sono le diverse espressioni dell’umanesimo odierno? Ancora: quale significato si può attribuire all’affermazione che il nuovo umanesimo è in Gesù Cristo? Quest’ultima frase non potrebbe diventare un motivo di attrito con fedeli di altre confessioni religiose? Abbiamo rivolto tali interrogativi allo storico prof. Guiducci. Ecco le risposte che ci ha dato.

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Prof. Guiducci, attualmente, in che termini si può parlare di umanesimo?
L’espressione “umanesimo” non rimanda necessariamente a degli schemi rigidi. Irrinunciabili. A delle affermazioni intoccabili. Conduce, piuttosto, verso un modo sempre nuovo di tentare in qualche modo di affrontare il ‘mistero’ di ogni persona, la sua irripetibilità, originalità, il suo essere contemporaneamente realtà materiale e immateriale, di approfondire il trascendente che questa emana attraverso segni, linguaggi e respiri dell’anima.

È corretto affermare che esiste un vecchio e un nuovo umanesimo?
Le definizioni statiche, in genere, non emanano il respiro della vita. Quello che si può sottolineare è che in ogni secolo, si può percepire – nelle sensibilità delle più diverse popolazioni – l’esigenza di individuare delle caratteristiche “umane”, cioè delle tipicità che possono essere ascritte alla persona in quanto tale. E di costruire ambienti “a misura d’uomo”.

Un processo non facile…
No, perché nel corso della storia sono emerse situazioni palesemente ingiuste, divisorie, squilibranti, oppressive.

Ad esempio…
La suddivisione degli aggregati umani in livelli sociali o in classi (superiori ed inferiori), differenti a seconda dell’origine, della razza, dell’etnìa, del credo religioso; l’accentuazione di ruoli apicali funzionali a logiche di dominanza (il forte vince il debole); la distribuzione inappellabile di funzioni legate alla forza politica, dinastica, economica; i criteri di valutazione dell’importanza dell’altro basati sull’efficienza fisica (penalizzanti chi è fragile, debole, bisognoso di assistenza)…
Per tale motivo, la riflessione in termini di ‘umanesimo’, pur con significative eccezioni, ha tardato a svilupparsi in modo diffuso.
Non si riusciva ad uscire da un’impostazione societaria ove diverse discriminanti disegnavano realtà locali segnate da squilibri e da ingiustizie.

Quale è stato il passo successivo?
In modo faticoso si è arrivati a comprendere, in più aree geografiche, che occorreva individuare delle idee innovative (senza escludere le voci del passato), trovare un pensiero-forte, in grado di transitare dai localismi, dai particolarismi, dagli assetti “intoccabili”, a un principio di dignità diffusa, generalizzata. Solo affermando (o ri-affermando) tale dignità, presente in ogni essere umano, è stato possibile affrontare il passaggio successivo: quello legato ai diritti e ai doveri su base paritaria.

Esiste, comunque, un’eredità positiva che abbiamo ricevuto da precedenti umanesimi?
Sì. Certamente. Senza arrivare necessariamente a filosofi quali Protagora (“di tutte le cose misura è l’uomo”) o Socrate (per lui, e per i Sofisti, tutto il centro della riflessione filosofica è la vita [etica] dell’uomo), si può comunque affermare che la riscoperta dello studio delle humanae litterae (dal XV sec.), cioè della grammatica, della retorica, della storia, della poesia e della filosofia, ha fornito apporti utili.
È stata importante la grande fiducia rivolta all’intelligenza umana, allo studio del mondo classico. Non bisogna poi dimenticare, ed è solo un esempio, l’Enchiridion militis cristiani di Erasmo da Rotterdam (1466-1536), e il valore attribuito – nel 1700 – ai sentimenti (Romanticismo) e alla ragione (Illuminismo).
La nuova civiltà non vuole più tutori. E lotta per una propria autonomia. L’affermazione di quest’ultima fa crollare la struttura piramidale del medioevo. La ragione rifiuta ogni limite e si proclama assoluta, sia nella comprensione della storia (idealismo), sia nella comprensione della natura (positivismo). (Mencucci, 1987)
In tale contesto, il sostegno alle capacità dell’essere umano ha condotto, ad esempio, ai grandi progressi della medicina, allo straordinario sviluppo di molte invenzioni, ai famosi viaggi di esploratori in terre ancora non note… Contemporaneamente, nella ragione assoluta scompare l’uomo concreto, quello che ciascuno di noi è nella sua irripetibile individualità.

Quindi, in un certo senso, lei conferma che sarebbe più corretto parlare di umanesimi e non di umanesimo…
Gli umanesimi segnano dei percorsi. Dei modi di vedere che partono dalle culture locali. Dai vissuti quotidiani. Nell’umanesimo, inteso come termine generale, si tende a evidenziare una tendenza, un quadro generale, una convergenza di contributi mirata a comprendere l’essere umano e il tessuto sociale ove questo interagisce.

Quali sono le diverse espressioni dell’umanesimo odierno?
Una volta che sono stati accantonati (dove è stato possibile) gli effetti di una visione distorta dell’essere umano (es. schiavitù, razzismo, anti-semitismo, violenze padronali, espansionismo bellico, ecc.), diventa possibile ricomprendere quello che già in epoche precedenti venne definito come umanesimo integrale.
In pratica, si parte dalle dimensioni della persona: essere se stessi (identità), essere con gli altri (socialità), essere per gli altri (impegno), per estendere una visione sempre più globale.
Si delinea, in tal modo, una dinamica precisa:
-l’identità conduce alla consapevolezza di un ruolo (in termini ecclesiali: alla vocazione);
-la socialità accompagna a conoscere le situazioni e a sapere restare dentro queste realtà (in termini ecclesiali: comunione);
-l’impegno richiama ogni persona all’assunzione di responsabilità e alla costruzione paziente di convergenze (in termini ecclesiali: missione).
L’umanesimo odierno, in definitiva, ha in sé caratteri che si ritrovano pure in altre fasi storiche. Però, ha davanti un mondo che cambia in continuazione. Che è segnato da processi di globalizzazione. Da logiche che attingono a criteri tra loro difformi. Da prassi che, nel trascorrere dei decenni, si trasformano in regole.

Quale significato si può attribuire all’affermazione che il nuovo umanesimo è in Gesù Cristo?
L’incontro con la Persona di Gesù Cristo ha come primo effetto quello di rompere ogni tipo di isolamento. Di solitudine. Di fatalismo. Di non-vita.
Viene neutralizzato l’io guerriero, e si cammina avendo in cuore e in mente una visi
one diversa dell’esistere, del mondo, del quotidiano, dell’imprevisto, della sofferenza, della morte. Non si rincorre il tempo, ma si vive l’oggi di Dio.

È un dato-chiave…
Sì. Il Figlio di Dio non si è incarnato per stravolgere il positivo che è già presente nell’umano, ma per valorizzarlo ulteriormente. Gesù non umilia, non spaventa, e non sovrasta in modo terrificante, asfissiante, angosciante. Piuttosto, accompagna. Sostiene (attraverso la Sua Grazia). Guida in modo da non far cadere le persone in due estremi: quello dell’auto-salvezza, e quello del nichilismo, dell’auto-distruzione (tendenza emersa con il fallimento delle pretese assolute).
Certamente siamo in presenza di una salvezza divina (Gesù libera dal peccato e dalla morte), ma siamo anche davanti a un messaggio che riconduce a un umanesimo veramente integrale.

Ovviamente ci sono delle conseguenze…
Sì. Sono diverse. Una di queste è l’abbattimento di nuovi idoli. Degli estremismi religiosi. Dei ragionamenti umani che assolutizzano questa o quella dimensione dell’essere senza tener conto di tutto un progetto di vita. Un altro aspetto riguarda il senso del limite. Nella Sacra Scrittura il limite non è visto come costante mortificazione dell’essere umano, come sconfitta che distrugge ogni speranza, ma è presentato come un aspetto creaturale. L’uomo non è un assoluto, ma è espressione dell’Assoluto.

Prof. Guiducci, “il nuovo umanesimo è in Gesù Cristo”. Questa frase non potrebbe costituire un motivo di attrito con i membri di altre confessioni religiose?
Ogni confessione religiosa, a ben vedere, è in cammino verso forme di umanesimo integrale. Certamente, i vari fedeli possono seguire strade diverse:
il silenzio interiore ed esteriore (anticamera dell’ascolto), l’auto-disciplina (alternativa al disordine), la ricerca di equilibrio (superamento delle situazioni di non-guerra), di armonia (comprensione del tutto), di dominanza delle passioni (rispetto di sé e degli altri), il culto degli antenati (attenzione ai processi positivi di continuità), la memoria degli eroi (esaltazione delle virtù), la composizione tribale segnata da culti (ricomposizione di un’unica attenzione a realtà superiori all’uomo), la riflessione su manifestazioni della natura, sul male (con le sue conseguenze), sulla presenza di un ente supremo, ecc..

Quindi, lei presenta una lettura ‘positiva’…
Si può dire che, in qualche modo, ogni persona tende a ricomporre in sé e con gli altri un equilibrio ove l’elemento religioso rimane un fattore non debole.
Tale equilibrio diventa una specie di porta d’ingresso. Verso la pace. E quindi verso il recupero di tutti quegli aspetti che rendono migliore l’essere umano.
È proprio su quest’ultimo punto che i fedeli di altre confessioni religiose possono incontrare il Cristianesimo. Lei comprende, che ciò ha dei risvolti politici e sociali immediati.

In che senso?
Nel senso che se è importante recuperare tutti quegli aspetti che rendono migliore l’essere umano, è necessario – allora – impostare delle politiche che favoriscano tale processo con la scuola, con il lavoro, con il welfare, con le attività di socializzazione a tutti i livelli, con un programma capace di ricordare che la diversità è una ricchezza.
E ovviamente anche sul piano sociale esistono delle conseguenze significative. Si tratta di creare una rete di solidarietà, delle scuole di umanità, dei percorsi di allenamento all’altro, delle azioni di prossimità…

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fonte: CarloMafera.wordpress.com

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ZENIT Staff

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