In Africa ci sono le tombe dei missionari, non di funzionari dell'ONU

Intervista al presidente del comitato scientifico dell’associazione Harambee

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ROMA, mercoledì, 22 giugno 2011 (ZENIT.org).- Per conoscere l’importanza della religione in Africa basta andare nei cimiteri, dove si vedono le tombe di missionari e sacerdoti, non quelle di funzionari dell’OMS o dell’ONU. Particolarmente oggi, ci sono molti interessi economici e investimenti in Africa, ma bisogna capire che il primo capitale è quello umano, altrimenti si cadrà nell’insuccesso e nella speculazione.

Sono alcune delle idee venute a galla nella tavola rotonda organizzata martedì dalla Onlus Harambee a Roma, il cui presidente del Comitato scientifico culturale, Giovanni Mottini, ha spiegato a ZENIT alcune delle problematiche esistenti.

La vostra Onlus appoggia i progetti di istituzioni religiose o laicali?

Giovanni  Mottini: Harambee appoggia l’istruzione sia religiosa che non religiosa. L’unica condizione è che siano realtà locali. Per quanto possa essere utile o efficace, non ci interessa appoggiare ONG italiane o europee che lavorano in Africa.

Ci interessa che siano i locali i protagonisti direttamente coinvolti, perché nel momento in cui sosteniamo un progetto facciamo anche un lavoro di ‘capacity building’ che rende il beneficiario anche protagonista locale e lo fa crescere attraverso il progetto che gli abbiamo dato.

Insegniamo anche a scrivere il progetto, di modo che questa prima esperienza con noi – che comunque può ripetersi – diventi anche un aumento di conoscenza che permetta di proporsi ad altri finanziatori pubblici o privati.

Qual è la percentuale dei progetti che avete appoggiato tra le istituzioni religiose e quelle civili?

Giovanni Mottini: Direi circa metà e metà. Le religioni sono una realtà molto significativa nei Paesi in via di sviluppo, e sono anche quelle che danno la testimonianza più forte.

Dico sempre che per capire cosa fanno i missionari in Africa e per farlo capire la cosa migliore è andare a vedere un cimitero africano, perché lì non trovo le tombe dei funzionari dell’OMS o dell’ONU, ma quelle dei missionari, perché stanno con la gente fino in fondo, soffrendo con loro, correndo gli stessi rischi e condividendo fino in fondo la loro esperienza, perché è un’esperienza di vocazione, quindi vissuta in pienezza.

Oggi qui a Roma cosa si discute?

Giovanni Mottini: Nella tavola rotonda di oggi vogliamo confrontarci con un mondo che sulla realtà del continente africano è sempre più presente, perché l’Africa in questo momento continua ad essere per certi versi una terra incognita, una nuova America alla quale tutti si stanno rivolgendo.

Non si deve demonizzare né criminalizzare un interesse economico o commerciale del mercato nei confronti dell’Africa, ma vorremmo dare un contributo che rafforzi soprattutto la dimensione di umanizzazione che deve esserci nel mercato, rendendosi quindi conto che il primo capitale è quello umano.

E il successo che si vuole per un’impresa in Africa passa per un’attenzione profonda e autentica all’interlocutore locale, a quello che sarà il proprio partner o collaboratore…  Altrimenti anche quell’esperienza di mercato rischia di essere destinata all’insuccesso, o finisce in una economia di rapina o di speculazione.

C’era qualche idea con l’azienda italiana Cremonini?

Giovanni Mottini: E’ presente in due Paesi africani, in Angola e a Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo). Ci interessa iniziare un dialogo con loro perché siamo convinti che possiamo apportare un patrimonio intangibile come quello della valorizzazione delle risorse umane. Questo per loro è una garanzia anche per fare buoni affari.

Ci sarà quindi un progetto?

Giovanni Mottini: Siamo ancora a una fase precedente. L’idea è che quando le grandi multinazionali parlano di ‘social responsability’ lo facciano in termini veramente autentici, umani e umanizzanti, che non sia semplicemente una strategia in più di ‘customer service center’.

Come nasce Harambee, il progetto, da quanti anni?

Giovanni Mottini: Harambee nasce come iniziativa quasi spontanea per la canonizzazione di San Josemaría Escrivá, con l’idea di lasciare un segno attraverso un’iniziativa che fosse un ringraziamento a San Josemaría per il suo insegnamento sulla formazione cristiana e la santità, e un impegno concreto dei cristiani nelle realtà sociali. In concreto, in una realtà paradigmatica del mondo com’è l’Africa.

Si propone pertanto di intervenire a sostegno di progetti educativi. Il suo target specifico è l’educazione, intesa come ‘educere’, dal latino, vale a dire tirare fuori, specialmente dai giovani e dai bambini africani, il massimo potenziale come premessa per costruire il futuro del continente.

Quali le iniziative più interessanti che avete svolto?

Giovanni Mottini: Abbiamo sostenuto progetti nel campo educativo in una ventina di Paesi africani, molto diversi tra loro, come le scuole dei campi profughi nel Sudan portate avanti dalle suore canossiane, le iniziative ad esempio per la formazione degli insegnati in Kenya, sapendo che in Africa c’è bisogno di migliorare la qualità della formazione scolastica. I bambini vanno a scuola, ma la qualità dell’insegnamento è scarsa.

Perché la scuola e il settore educativo?

Giovanni Mottini: Il nostro motto non e ‘fare scuole’, ma ‘fare scuola’. Vuol dire creare un sistema efficace di qualità dell’insegnamento. Abbiamo fatto anche formazione professionale, ma tendiamo soprattutto ai bambini tra gli 8 e 10 anni, quando c’è la massima recettività e possono costruire quegli strumenti intellettivi che poi li rendono capaci di autonomia, scelte, iniziative, spirito di intraprendenza.

Sappiamo che si tratta di una scelta che richiede coraggio, in un campo poco spettacolare come potrebbe essere ad esempio quello della salute. Salvare un bambino è molto spettacolare, evidentemente, ma poi la domanda è: una volta salvato questo bambino, che adulto ne faccio?

Un bambino istruito non si distingue da uno non istruito, però il suo futuro è molto diverso. Questo richiede coraggio e una grande prospettiva da parte nostra e dei nostri donatori. Per questo c’è anche un grande lavoro in Europa per l’educazione, la formazione e una vera solidarietà che non è soltanto la solidarietà del dare, ma quella dell’essere, che impegna in prima persona e rende il nostro donatore complice di un progetto innovativo. Chiediamo al nostro donatore di investire in qualcosa che non vede e non vedrà, ma che c’è, molto più intellettuale e più profondo.

Qual è la vostra pagina web?

Giovanni Mottini: http://www.harambee-africa.org/

Qui ci sono tutte le informazioni e anche i progetti in corso e quelli realizzati.

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ZENIT Staff

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