"Immaginare Dio. Provocazioni postmoderne al cristianesimo"

Recensione dell’ultimo volume del teologo calabrese Francesco Cosentino

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di Armando Matteo

ROMA, sabato, 21 gennaio 2012 (ZENIT.org).- Con uno stile accattivante e con alle spalle un una conoscenza molto approfondita della più recente produzione teologica, il teologo calabrese Francesco Cosentino, con il suo ultimo libro, edito da Cittadella Editrice, prova a chiedersi cosa significa oggi, per un credente, “immaginare Dio” e quali ricadute questa fondamentale interrogazione abbia sul pensiero e sulla prassi cristiana. È proprio intorno a tale problema – l’immagine di Dio che uno stile di essere cristiani veicola e avalla – che egli coglie l’urgenza maggiore del tempo presente, quello postmoderno, che continuamente e per varie ragioni, oggi provoca la religione cristiana. Ma non c’è solo questo.

L’originalità dell’approccio di Cosentino, infatti, sta nel considerare la postmodernità come un movimento culturale e spirituale caratterizzato non solo da “ostilità” e “indifferenza” nei confronti del cristianesimo, ma anche dalla possibilità di indicare sentieri nuovi. I principali vettori di aspetto più positivo del lavoro che la cultura contemporanea opera sulla tradizione occidentale vengono individuati nella categoria del pluralismo e dell’ermeneutica debole e infinitamente aperta e nella valorizzazione del vissuto affettivo.

Su questo sfondo, Cosentino si sforza di interrogare gli ambiti della teologia cristiana che abbisognano di un nuovo investimento di energie e di pensiero. A tal proposito egli richiama l’urgenza di una rivisitazione della struttura metafisica cui deve far affidamento il pensare teologico, la necessità di una riscrittura della grammatica del rapporto tra fede e ragione e infine la migliore messa a fuoco della fondamentale dimensione “immaginativa” della coscienza.

Particolarmente interessante il discorso sull’immaginazione, su cui del resto punta di più Cosentino. Essa è da intendere come «l’intima disposizione interiore del vissuto affettivo dell’uomo e dei movimenti sotterranei e spesso impliciti del cuore, laddove nasce e si sviluppa anche una certa particolare e personale immagine di Dio. Anche coloro che appaiono disaffezionati nei confronti della fede cristiana e dichiarano una qualche forma di ateismo, in realtà hanno maturato nel loro campo interiore un’immagine di Dio, magari proprio quella in virtù della quale hanno scelto di prendere le distanze dalla fede o in base alla quale la percepiscono come una proposta senza senso per la loro realtà» (78). Un discorso teologico, un annuncio kerigmatico, una riflessione catechetica, una prassi credente che non tengano in debito conto di questa fondamentale regione dell’umano sono pertanto destinati al fallimento. Si deve invece riconoscere oggi soprattutto «che ogni uomo e ogni comunità credente hanno continuamente bisogno di purificare, rivedere e convertire la loro immagine di Dio nell’umile consapevolezza che Dio è sempre Colui che si svela e che insieme ci supera; dall’altra, sarà necessario lavorare con ogni mezzo teologico e pastorale, per una effettiva guarigione dell’immagine di Dio, laddove essa si presenta offuscata da residui umani o presentazioni parziali e inopportune che ne oscurano la bellezza» (80).

A questo punto il discorso non può non trasferirsi sul piano più prettamente ecclesiologico o pastorale: quale Chiesa, infatti, potrebbe favorire un tale nuovo “immaginare Dio” cui ci sollecita e provoca un confronto aperto e pieno con la postmodernità?

Dalle numerose intuizioni via via affiorate nel testo e nel solco di quelle ancora incompiute svolte del Concilio Vaticano II, nasce il progetto di una Chiesa veramente aperta, capace di dialogo all’interno e di una prassi di ospitalità verso l’esterno, una Chiesa che si avverte in cammino con chi è in ricerca, una Chiesa sul serio interessata alla vita buona della gente e pertanto capace di parole profetiche circa i dinamismi che segnano l’esistenza umana personale e collettiva; una Chiesa che si affida non alle sue strutture, ai suoi titoli onorifici e bancari, alle scomuniche e alle condanne, ma a quel Dio di cui Gesù rappresenta l’immagine insuperabile: « […] È un Dio che non pianifica la vita dell’uomo svuotando l’avventura dell’esistere dalla possibilità di altri percorsi e, proprio per questa sua attenzione alla libertà umana, ammette anche il dolore, la sofferenza e l’esperienza del limite. Rifiuta l’ambivalenza della violenza […] facendosi umile e povero e scegliendo l’atteggiamento di un viandante che vuole solo indicare la via e precederci in essa, senza ricatto, coercizione e moralismo. Non si appella al suo “essere Dio” se non per suscitare nell’uomo il desiderio amabile di una vita riuscita e di una felicità senza confini e non si lancia in anatemi e minacce ma, al contrario, piange il dispiacere di ogni Gerusalemme che uccide i profeti e non ne ascolta la voce […] il volto di Gesù di Nazareth ci mostra un Dio che ha a cuore la storia dell’uomo e le sorti del suo esistere. Un Dio dal tratto signorile e ospitale che diventa grembo per l’espressione di ogni uomo e culla per la sua continua creazione» (109).

Ecco allora il punto di concentrazione massima dell’itinerarium mentis che il volume fa compiere al lettore: nel tempo del disincanto della ragione, della crescente apatia e indifferenza esistenziale della questione Dio, della fluidità dei percorsi e delle parabole di vita, dell’avvento imperioso della tecnica, dell’imporsi di una globalizzazione mondiale precipitosa; ma ancora nel tempo del ritorno del sacro, di un’avvolgente continua insoddisfazione dei soggetti, della difficile resa a uno scetticismo ingombrante, «emerge il bisogno di un cristianesimo che provochi, che scuota, che rompa la sordità del torpore, che riaccenda quei filtri critici che gli stili di vita odierna e la cultura dei mass-media continuano a spegnere; un cristianesimo capace di far germogliare dentro il vissuto dell’uomo e delle comunità cristiane, della cultura e della società, una feconda crisi da cui possano nuovamente sorgere delle domande. Emerge dunque la necessità di un cristianesimo appaia sulla scena del camminare odierno, come un ospite “leggero”, capace di suscitare nuovi “perché”, di mettere in crisi le strutture di pensiero e di mentalità già assodate nella cultura e negli stili di vita, di allargare l’orizzonte in cui l’uomo pensa la propria esistenza e il proprio stare al mondo; occorre perciò una pre-evangelizzazione capace di risvegliare il cuore, riaccendere i desideri, allargare gli orizzonti esistenziali delle possibilità, riportare l’uomo a suo io più autentico e sorprenderlo» (144).

Una bella sfida, per chiunque abbia voglia di intraprenderla.

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ZENIT Staff

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