Il vocabolario di Papa Francesco

ELLEDICI

«Il vocabolario di Papa Francesco»: 50 parole per scoprire un "comunicatore straordinario"

Presentato ieri il volume curato dal giovane salesiano Antonio Carriero e firmato da grandi vaticanisti e scrittori. Una mappa per comprendere gesti e parole del Pontefice argentino che tanti giovani reputano “un figo”

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È un piccolo miracolo editoriale il libro «Il vocabolario di Papa Francesco», volume edito dalla casa editrice salesiana Elledici che raccoglie le riflessioni di 50 vaticanisti, giornalisti e scrittori sulle parole chiave del pontificato di Bergoglio. Un ‘miracolo’ perché è riuscito a mettere insieme “persone di estrazione e preparazione differente, per dare uno strumento utile durante il Giubileo”, come ha suggerito il bravo Alessandro Gisotti, vaticanista della Radio Vaticana e autore di una delle voci del vocabolario (“Popolo”), durante la presentazione del libro avvenuta ieri pomeriggio nella sede dell’emittente.

Tutto merito di don Antonio Carriero, sdb, giovane salesiano entusiasta che “bussando a tante porte” è riuscito ad armonizzare e coordinare questo lavoro che rivela nuove sfaccettature di un Papa che della comunicazione, non solo verbale ma anche fisica, ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia. Dalla A di “abbraccio” alla V di “vergogna” (“La Z non abbiamo fatto in tempo, altrimenti avremmo inserito ‘zanzare’”, ha spiegato simpaticamente il curatore), il volume traccia una mappa utile a comprendere meglio il linguaggio genuino del Papa argentino.

Un linguaggio che risente del suo “animo latinoamericano” e del “cammino di pastore”, come ha sottolineato mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, durante la presentazione. Un linguaggio che è come “una scintilla che richiama la fiamma divina”, ha affermato mons. Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense.  Un linguaggio che è “frutto dello spagnolo, con un’inflessione porteña e un substrato sottile ma profondo del piemontese derivante dalla nonna”, ha spiegato padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, tra le persone più vicine al Santo Padre.

Un linguaggio che, soprattutto, sortisce quasi sempre un effetto nella vita quotidiana della gente, come dimostrano gli scritti dei giornalisti che hanno offerto gratuitamente il proprio contributo, partendo proprio dalle proprie esperienze. Aldo Maria Valli, Stefania Falasca, Gianni Valente, Nello Scavo, Gaetano Vallini, Francesco Antonio Grana, Guido Mocellin, Massimo Introvigne tra le più note firme presenti; a fianco a loro gli interventi dei cardinali Parolin e Ravasi che hanno curato due prefazioni e mons. Nunzio Galantino la postfazione. 

Tutti hanno scandagliato minuziosamente le parole di un Pontefice che sin dalla sua prima apparizione dalla Loggia delle Benedizioni, il 13 marzo 2013, si è dimostrato “un grande comunicatore”. Ma già da tempo per il Papa argentino le parole avevano un peso fondamentale. Come ha ricordato padre Spadaro: “In un discorso del 1999 l’allora monsignor Bergoglio esprimeva la sua preoccupazione per il processo di svilimento delle parole. Parole senza peso proprio, che non si fanno carne, che si svuotano dei loro contenuti”. Per lui, “la parola era il discrimine tra Cristo come idea e Cristo come persona”. 

Per questo ha sempre prestato molta attenzione a cosa dire e cosa scrivere. Anche nei discorsi a braccio “quello che dice non nasce da idee preconfezionate ma dalla sua visione della realtà”; c’è “una dimensione creativa – ha annotato Spadaro – parlare a braccio è per lui un parlare creativo che nasce da un’ispirazione”. 

Da qui si spiega l’uso di parole come “spuzza”, “misericordiare”, “balconear” o espressioni come “scaricare le tenebre”: neologismi impastati da diverse lingue e dialetti che però rinforzano il concetto al punto che chi ascolta difficilmente possa dimenticarlo. “Francesco non si esprime come un comunicato stampa – ha sottolineato il direttore de La Civiltà Cattolica, il primo ad intervistare Bergoglio – ma usa un linguaggio ‘mimetico’ di quello orale, cioè di uno che è abituato a stare a contatto con la gente”

Al contrario della comunicazione di Giovanni Paolo II che “era frutto dello studio della parola nella poetica e nel teatro”, per cui il “gesto fioriva dalla parola”, in Francesco “è la parola che sprigiona il gesto”. Quel gesto d’impatto che “aiuta i giornalisti a fare il titolo”. Il Papa è infatti “sempre dentro l’evento comunicativo, non è l’attore di una parte o un discorso scritto”, ha sottolineato il gesuita. Il suo obiettivo è sempre e solo uno: la “liberazione del logos evangelico”, “l’annuncio del Vangelo”.

D’accordo mons. Celli che ha spostato l’attenzione anche su altri aspetti della comunicazione bergogliana: “Il tono della sua voce, gli ammiccamenti con gli occhi, i movimenti…”. “La particolarità del Papa è di ‘creare comunicazione’”, ha rimarcato il presule, “quando lo ascoltiamo a Santa Marta o nell’udienza generale o in altri discorsi lui crea l’evento”, perché “non pronuncia solo parole”.

E proprio questa sua forma di comunicazione rende palpabile quella “cultura dell’incontro” da sempre predicata: “Il Papa ha la capacità di essere vicino, di essere accanto” agli uomini e le donne di oggi, con “l’incedere però del pellegrino, mai sopra, mai davanti, mai dietro, ma accanto”. E “uomini e donne hanno percepito questo essere vicino del Papa”, questa sua “capacità di accompagnare, senza etichettare”.  

Nel suo parlare, ha evidenziato Celli, “Papa Francesco ha la capacità grande di esprimere simpatia, accoglienza. Tu non ti senti giudicato ma accolto”, perché anche nella sua comunicazione è fondamentale “l’atteggiamento del buon samaritano: non solo essere vicino e accompagnare, ma farsi carico”.

Proprio questo rende il linguaggio di Bergoglio unico nel suo genere, tanto da essere elevato ad oggetto di studio nella prestigiosa Pontificia Università Lateranense. Lo ha raccontato mons. dal Covolo: “Da salesiano, attivo da 46 anni nel campo dell’educazione – ha detto – vedo nella comunicazione di Francesco due cose imparate insegnando ai bambini: mai mettersi a spiegare una cosa se non l’hai prima capita bene tu, e preoccuparsi di come esprimerla in un linguaggio adatto a quelli che ti ascoltano”. 

Il Papa rende evidente tutto questo con il suo “modo di parlare così simpatico”, di uno “che ha interiorizzato fino in fondo” ciò che dice e che vuole farlo comprendere agli altri. Perciò, ha spiegato il rettore, il vocabolario del Papa è divenuto materia di studio nell’Ateneo. Ad esempio, nell’Istituto Redemptor Hominis, che si occupa della formazione sacerdoti, è stato introdotto un corso di omiletica “in cui la parte centrale è occupata dall’inserto della Evangelii Gaudium dedicato alla predicazione in cui il Papa mette a frutto le sue esperienze dirette”. “Quando sento parlare il Papa mi sembra che parli con le viscere materne del nostro Dio”, ha aggiunto dal Covolo. 

Per questo piace a tutti, anche ai giovani. Proprio loro hanno ispirato don Carriero a realizzare il volume: “Non mi sono svegliato la mattina e ho detto facciamo un vocabolario sul linguaggio di Papa Francesco. Questo libro nasce dal grande amore che nutro verso il Papa. Amore nato grazie a mia nonna che mi obbligava da piccolo a guardare le dirette dell’Angelus e alimentato dalla fedeltà che Don Bosco chiedeva ai suoi seguaci verso il Successore di Pietro, esclamando: ‘Viva il Papa, chiunque esso sia!’”.

La spinta definitiva però “è stata vedere un ragazzo della scuola in cui insegno con la foto sul cellulare del Papa che fa l’ok”. “Gli ho chiesto perché ce l’avesse e mi ha risposto: ‘Perché Francesco è un figo”. “Il Papa piace ai giovani – ha sottolineato il salesiano – e lo si constata anche sui social network dove lui crea eventi, fa ambiente, attraverso i suoi gesti o citazioni tipo ‘Dio spray’, ‘Chiesa ospedale da campo’ e via dicendo”.

“Abbiamo corso un po’ per costruire il vocabolario – ha
concluso don Carriero – ma volevamo uscire in prossimità del Giubileo in modo che i cristiani e non solo potessero confrontarsi con queste 50 parole del Papa”. Perché? “Perché vorremmo che aiutasse tutti ad arricchire il proprio vocabolario interiore: quello di chi crede, per cui sarà un ‘ripasso’, ma anche quello di chi per qualche motivo si è allontanato dalla Chiesa, per cui speriamo possa essere un’occasione di riavvicinamento”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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