Fortezza e temperanza (Perugino)

Il valore insostituibile della costanza umana

È un atto scorretto iniziare una qualsiasi opera personale o collettiva, per poi rinviare la sua soluzione a tempi non certi e indefiniti

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È dalla lettera di san Giacomo Apostolo che emerge il significato chiaro e inconvertibile della costanza nella vita di ognuno. “Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge” (Gc 5,7). L’Apostolo fa capire che non c’è spazio per l’apatia o la rassegnazione, quando si è credenti e si vive in direzione di una verità universale, come quella della venuta del Figlio dell’Uomo. Nello stesso modo, anche se trattasi di cose piccole o grandi della vita quotidiana, non si può non essere costanti in tutto ciò che si è deciso di intraprendere.
Ogni cosa va portata a termine. È un atto scorretto iniziare una qualsiasi opera personale o collettiva, per poi rinviare la sua soluzione a tempi non certi e indefiniti. La società di oggi spesso è costretta a subire i riflessi sfavorevoli di un comportamento sociale incostante, presente più volte nelle azioni individuali e in quelle dei gruppi organizzati rispetto all’articolazione della realtà odierna. Il contadino, scrive San Giacomo, non tralascia il controllo giornaliero dei suoi campi, per essere sicuro che le piogge siano strumento di fertilità e non di alterazione dei prodotti coltivati. Una traccia di grande attualità che consente ad una comunità nel suo insieme di irrobustire le sue radici.
Le parole dell’apostolo sono anche un santo suggerimento per non cadere nella tentazione di rallentare la conversione del cuore. Cosa grave che spinge il mondo a consegnarsi al falso richiamo della caducità terrena, spogliata ormai dai suoi veri legami con il cielo. Un cristiano non può rinunciare ad essere in qualsiasi occasione costante e deciso nel suo “viaggio”, nonostante le afflizioni o le intemperie a cui si può facilmente andare incontro. Nella lettera ai Romani si arriva persino a vantarsi delle afflizioni, non certo per masochismo fisico e spirituale, ma nel convincimento che la stessa sofferenza produce perseveranza.
Il messaggio che arriva fino a noi è forte, rivoluzionario e capace di smuovere il seme pericoloso dell’indolenza quotidiana. Leggendo la lettera, si capisce come il dolore sia un generatore di giuste aspettative. Chi può negare che la perseveranza, nata da mille affanni, a sua volta non sia in grado di produrre esperienza? Ma la cosa più bella la troviamo alla fine di questa singolare catena. È l’esperienza infatti che, a tempo dovuto, nella vita solleciterà la speranza. La concepirà; la metterà sul podio delle attese degli uomini; la farà grande rivestendola della verità che viene da Cristo.
La fede sarà il collante di questi passaggi vitali per chiunque vorrà vincere la sua battaglia.
Leggiamo chiaramente in San Giacomo: “Considerate una grande gioia, fratelli miei, quando vi trovate di fronte a prove di vario genere, sapendo che la prova della vostra fede produce costanza. E la costanza compia in voi un’opera perfetta, affinché siate perfetti e completi, in nulla mancanti” (Gc 1,2-4). In queste espressioni così illuminate, ritorna il trinomio afflizione-perseveranza-speranza. La fede lo amalgama e lo porta ad essere perfetto dinnanzi agli occhi di Dio, ma soprattutto lo stabilizza e lo rende efficace lungo il percorso giornaliero. Tante realtà lavorative di vecchia e nuova generazione si trovano su questa strada, senza magari conoscere la fonte tridimensionale che li guida.
Bisogna perciò essere sempre fedeli a ciò che si è stabilito di portare avanti con santa convinzione.  Nella parabola del Figliol prodigo la fedeltà del padre all’amore per il figlio trionfa come il sole di primavera. Qui la costanza, in una silenziosa attesa, diventa lo strumento potente di fede che porterà il genitore, alla fine, a riabbracciare il discendente perduto. La persistenza interiore presuppone inoltre la compostezza delle proprie azioni, ma anche il rispetto verso i fratelli, con animo misericordioso e aperto al superamento di ogni controversia, allontanando la spinta a ricercare motivi di divisione e di incomprensione.
Perseverare nel nome del Signore significa anche sapersi rinnovare. È la trasformazione di ciò che è insito nell’animo che dà la spinta propulsiva a superare eventuali ostacoli. Certo ci sono le giuste convenienze naturali a scuotere ogni interesse personale o collettivo, ma non bastano se le motivazioni del cuore stanno legate a vecchi pensieri o a moti di un’indole frenata. L’uomo nuovo, pronto a sradicare dalla sua mente qualunque paura o residuo di cattività e di inoperosità, avrà l’energia necessaria per non tradire le sue attese e fare grandi cose. Non è difficile, se si vuole e si crede, avere la pazienza e la costanza dei grandi profeti. Scrive Giacomo: “Fratelli miei, prendete come modello di sofferenza e di pazienza i profeti, che hanno parlato nel nome del Signore” (Gc 5,10).
Ma oggi c’è la costanza di voler smuovere le montagne, come sollecitava Gesù dinnanzi al tragitto di fede dei suoi discepoli? Come ci si prepara a questa eventualità? Si vive l’Eucaristia con consapevolezza? Non si è forse, al contrario dei profeti, impazienti dinnanzi ad ogni piccolo ostacolo e dispiacere? Il nostro rapporto con Dio e la Chiesa non è spesso regolato come una relazione empirica fine a sé stessa? Le risposte sono davanti ai nostri occhi e tendono ad offuscare delle verità a cui in molti non fanno affidamento. In più occasioni si tende a far prevalere la sfera soggettiva su quella oggettiva; quella umana sulla Parola; gli atti antropici su ciò che viene da Dio.
Una dicotomia che riduce la forza dei valori necessari nel mitigare la spinta verso un relativismo della politica, dell’economia e della fede, deformando il senso dell’eternità che la natura disegna nei suoi riflessi ontologici. Il tutto in un tempo dove, nonostante un progresso positivo dell’uomo, si allungano le distanze tra la speranza e la disperazione; tra l’opulenza e lo sconforto sociale generale; tra il diritto alla vita e lo sterminio che avviene ogni giorno nel Mediterraneo e nelle aree mediorientali in guerra permanente. Si ritorni, nella fede, al vero valore insostituibile della costanza solidale. Passaggio che consentirà ad ognuno di dire, alla fine del cammino compiuto, come san Paolo a Timoteo: “Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho serbato la fede(2Tm 4,7).

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Egidio Chiarella

Egidio Chiarella, pubblicista-giornalista, ha fatto parte dell'Ufficio Legislativo e rapporti con il Parlamento del Ministero dell'Istruzione, a Roma. E’ stato docente di ruolo di Lettere presso vari istituti secondari di I e II grado a Lamezia Terme (Calabria). Dal 1999 al 2010 è stato anche Consigliere della Regione Calabria. Ha conseguito la laurea in Materie Letterarie con una tesi sulla Storia delle Tradizioni popolari presso l’Università degli Studi di Messina (Sicilia). E’ autore del romanzo "La nuova primavera dei giovani" e del saggio “Sui Sentieri del vecchio Gesù”, nato su ZENIT e base ideale per incontri e dibattiti in ambienti laici e religiosi. L'ultimo suo lavoro editoriale si intitola "Luci di verità In rete" Editrice Tau - Analisi di tweet sapienziali del teologo mons. Costantino Di Bruno. Conduce su Tele Padre Pio la rubrica culturale - religiosa "Troppa terra e poco cielo".

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