Il valore economico e spirituale della condivisione

La cooperazione e la condivisione sono fattori di sviluppo economico e sociale

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La condivisione economica è l’utilizzo in comune di una risorsa e si riferisce all’uso congiunto ed è anche correlato anche al processo di dividere e distribuire al liberi uso di un bene. La condivisione in senso economico slega il concetto di proprietà dal concetto di prodotto ed è considerata un aiuto economico e ambientale; e secondo degli esperti l’economia del dono può giocare un ruolo significativo nell’economia di mercato.

Il tema della condivisione strutturalmente intrecciato ai temi delle problematiche economiche e sociali, sostituendosi alla competizione, alla avidità e all’egoismo; la condivisione e la cooperazione vengono inoltre considerate le vie di accesso più importanti alla felicità dei singoli dei gruppi.

I temi del dono, della solidarietà e di uno stile di vita più basso o sobrio, caratterizzato da meno consumi materiali e più ricchezza interiore, giocano un ruolo chiave nel pensiero del filosofo Andrea Braggio,il quale era la premessa per una filosofia della condivisione, che rivaluta l’uomo in quanto essere spirituale, capace di andare oltre il proprio ego e di dare un senso alla propria vita prendendosi cura degli altri.

Infatti: se l’era industriale si basava sul flusso dell’autorità dall’alto al basso,sull’importanza del capitale, l’era della condivisione non potrà che essere orientata che alla partecipazione a domini collettivi aperti.

È certamente giusto che le molteplici iniziative riguardanti il sostegno economico continuino a fare appello alla generosità dei singoli credenti soprattutto, e al fatto che essi, come membri di una comunità, dovrebbero gioire nel sentirsi partecipi della sua concreta vita quotidiana.

Questi richiami infatti, presentano forti ragioni per archiviare la diffusa prassi di tanti battezzati che si limitano ad essere semplici spettatori e fruitori di servizi religiosi.

Tali riferimenti tuttavia, potrebbero essere integrati e arricchiti da altri di natura biblica dato che i gesti di solidarietà tra le Chiese dei primi anni sono presentati nella Bibbia come espressioni di autentica fede cristiana.

Si può anzi dire che la condivisione dei beni materiali fra coloro che professavano la stessa fede appare uno dei fenomeni più originale del cristianesimo delle origini e tale da poter essere considerato esemplare e normativo per i cristiani di ogni tempo. Ecco allora che, tenendo conto di alcune riflessioni che si fanno sul nuovo testamento vorrei soffermarmi su due brani tratte dalle lettere paoline.

Nella seconda lettera ai Corinzi di Paolo troviamo un invito da lui rivolto ai destinatari a partecipare alla grande colletta da lui iniziata in Macedonia a favore della Chiesa di Gerusalemme che, in quel momento (siamo intorno all’anno 57) si trovava in precarie condizioni materiali: “ Vogliamo farvi nota , fratelli, la grazia di Dio concessa alla chiesa di Macedonia […]”.

“Possiamo testimoniare infatti che hanno dato secondo i loro mezzi spontaneamente domandandoci con insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio a favore dei santi” (8,13). Colpisce , in questo brano, la parola “grazia” ripetuta due volte. Paolo afferma che la colletta dei Macedoni è una grazia (charis, nel testo greco, da cui l’italiano carezza), cioè un dono che ha due soggetti e due destinatari.

Il soggetto è Dio stesso e i destinatari sono i cristiani della Macedonia ai quali aveva dato la possibilità di dare aiuto ai fratelli poveri di Gerusalemme. Aiutare chi è nel bisogno è un dono spirituale che si fa a se stessi.

Lo ricorda il grande Agostino quando scrive:” Aiuta il prossimo con il quale cammini ,per poter giungere a colui con il quale desideri rimanere”. E lo ricorda anche il folgorante motto di una notissima preghiera ispirata a San Francesco D’Assisi.

Sì, la generosità verso gli altri è una carezza che primariamente illumina il volto di chi la dà. L’altro soggetto della grazia, nella lettera paolina, sono gli stessi macedoni la cui generosità fu in provvidenziale sostegno per la Chiesa di Gerusalemme. Donando il poco che avevano , lo accrebbero. Perché quando un dono è ri-donato per divenire perdono-dono per qualcuno- accresce di molto il suo valore spirituale. Sì vivere è aiutare a vivere come qualcuno ha detto.

“Vado a Gerusalemme – scriveva Paolo nella lettera ai Romani – a rendere un servizio a quella comunità:” la Macedonia e la Caia infatti hanno voluto fare una colletta a favore dei poveri che sono nella comunità di Gerusalemme.

L’hanno voluta perché sono ad essi debitori: essi infatti, avendo partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere loro un servizio sacro anche nelle loro necessità (15,26-27) da rilevare che questo movimento di carità non è chiamato con l’usuale termine di colletta (loghea) ma con un termine di assoluto valore teologico: leituorgia.

E si sa che la liturgia realizza ed esprime un singolare rapporto non solo con Dio ma anche con la chiesa intera. La parola liturgia racchiude infatti una linea verticale (l’amore a Dio) e una orizzontale (l’amore verso il prossimo).

La prima linea propria dell’antico testamento, si realizzava nel culto che i sacerdoti del tempio di Gerusalemme rendevano a Dio a nome di tutto il popolo. È la dimensione sacra della liturgia.

La seconda linea, di natura profana, indicava nell’antica Grecia le opere sociali che alcuni cittadini (detti liturghi) compivano a favore del popolo : una strada, un ponte etc….. In questa lettera con la parola liturgia Paolo unisce le due prospettive perché il concreto gesto di condivisione economica dei cristiani della Macedonia e della Acaia, è, insieme, una raccolta di danaro e un atto liturgico.

È un servizio di solidarietà per i poveri e d’amore verso Dio, che in essi si identifica come egli stesso ci rivela- “Ogni volta che avete fatto queste a uno solo dei miei fratelli più piccolo l’avete fatta a me” (MT 25,40).

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Nicoletta Carbonaro

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