Il trionfo dell'arte

Le pitture della chiesa di Sant’Urbano alla Caffarella

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

di Paolo Lorizzo*

ROMA, sabato, 28 luglio 2012 (ZENIT.org).- La ricchezza pittorica della chiesa di Sant’Urbano alla Caffarella merita un’analisi dettagliata che ne metta in luce qualità artistiche ed elementi di grande rilevanza storica.

Come abbiamo precedentemente sottolineato, l’edificio, immerso nell’omonimo polmone verde del suburbio romano, rappresenta un elemento architettonico di grande importanza, in quanto ingloba nelle sue strutture un tempio del II secolo d.C. praticamente intatto.

Nell’Alto Medioevo il tempio romano venne ristrutturato e trasformato in chiesa dedicata a Sant’urbano, quando qui vi vennero trasferite le sue reliquie. Nell’XI secolo le pareti interne dell’edificio vennero quasi interamente ricoperte da affreschi divisi in due ripiani ed ipoteticamente datati al 1011, inbase ad un’iscrizione la cui veridicità è ancora al vaglio degli studiosi. La fascia pittorica inferiore è molto deteriorata e conserva soltanto alcuni frammenti mentre la fascia superiore è in ottime condizioni ed ancora quasi perfettamente leggibile.

Il ciclo pittorico superiore presenta trentaquattro riquadri cosi suddivisi: venti pannelli con scene del Nuovo Testamento, quattro narranti scene del martirio di alcuni personaggi tra cui S. Lorenzo e dieci narranti la storia dei SS. Urbano e Cecilia. Quest’ultima serie possiede in particolare un grande valore storico perché trattasi della prima rappresentazione narrativa incentrata su questi due santi (in precedenza erano rappresentati fuori da contesti narrativi), più antica della celebre rappresentazione conservata presso il portico di S. Cecilia in Trastevere. L’importanza sta nel fatto che la loro iconografia qui identificata ha fornito un modello per le rappresentazioni successive in altri contesti artistici.

Sfortunatamente molti dei tratti pittorici furono notevolmente alterati durante la ristrutturazione generale avvenuta nel 1634, anno in cui vennero anche tamponati gli ‘intercolumni’ (gli spazi compresi tra una colonna e l’altra), costruito il piccolo campanile a vela, ricostruito e riconsacrato l’altare. Nonostante gli interventi di restauro pittorico del XVII secolo siano facilmente distinguibili, risultano particolarmente importanti le due copie fatte realizzare dal Cardinale Francesco Barberini ancora oggi conservate pressola Biblioteca Apostolica Vaticana. Fortunatamente, oltre al supporto delle copie, ad aiutare gli studiosi sono i tratti pittorici completamente diversi. L’affresco medievale infatti è molto semplice e risponde a canoni convenzionali privi di qualsiasi ‘soggettività artistica’, ma piuttosto ricchi di errori che spesso vengono ‘riparati’ nel XVII secolo.

Esaminando attentamente gli affreschi di epoca medievale si nota come colui che li ha realizzati è a conoscenza sia della tecnica artistica bizantina che di quella romana riferibile alla seconda metà del IX secolo. In quest’epoca si scorge un impoverimento delle tematiche e delle espressioni artistiche, ma non nelle pitture della Caffarella. la cui vigoria e il dinamismo rappresentano una chiara eccezione per l’epoca, soprattutto per il ciclo pittorico riferibile a S. Cecilia. Siamo dunque di fronte ad un ciclo di affreschi che potrebbero definirsi ‘di transizione’ in quanto si liberano dal ‘laccio’ della cultura bizantina vera e propria ed acquisiscono quella naturalezza popolare che sfocerà più avanti in un realismo e ad una complessità decorativa tipica del XII secolo.

La rigidità bizantina delle figure e la ricchezza, spesso eccessiva, delle vesti e degli ornamenti, lascia il posto ad una maggiore semplicità e ad un realismo che spesso sfocia in scene di violenza e crudeltà, quasi a voler utilizzare questo mezzo per renderle quanto più vive e reali. Questo naturalmente non significa che la ‘bottega’ pittorica che lavorò a Sant’Urbano abbia rappresentato il prototipo su cui poi si basarono gli artisti per elaborare cicli pittorici a Roma. La chiesa di S. Urbano infatti era piuttosto distante dal centro della cultura artistica cittadina ed è quindi più facile ipotizzare come potesse essere soltanto una delle tante espressioni della pittura romana dell’epoca. Con il passare dei secoli, grazie alla sua posizione decentrata, è stato possibile preservare detta documentazione pittorica, cosa che invece non è accaduto per altri edifici cittadini, maggiormente soggetti a distruzioni, sovrapposizioni, saccheggi o rifacimenti integrali.

Ad una quota più bassa, situata in corrispondenza dell’altare, è visibile una cappella sotterranea che presenta delle pitture che non hanno subito successive manomissioni e si inquadrano perfettamente senza alcuna superfetazione. La rappresentazione principale è quella della Madonna con il Bambino fra i ss. Urbano e Giovanni, le cui immagini sono rese da linee squadrate e da atteggiamenti stanti e ieratici, tipici della cultura bizantina, ragion per cui è possibile abbassare la datazione dell’affresco al X secolo.

La chiesa di Sant’Urbano, uno dei pochi gioielli storici romani giunti intatti fino a noi, nonostante sia poco accessibile al turismo di massa, rappresenta una delle tappe fondamentali della cultura storico-artistica ed archeologica della capitale, degna di essere visitata ed apprezzata.

* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione