Il segreto di William Shakespeare

Su “La Civiltà Cattolica”, padre Peter Milward S.I. riporta le scoperte e gli studi che dimostrano la cattolicità del grande scrittore inglese

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Nel quaderno numero 3981 datato 14 maggio, la Civiltà Cattolica, riporta un interessantissimo saggio di padre Peter Milward S.I., in cui si dimostra la cattolicità di William Shakespeare, di cui ricorre quest’anno il quattrocentesimo anniversario della morte. Il saggio “La testimonianza di William Shakespeare è interessante e documentato, da non perdere. Ne riportiamo una parte.
Ha scritto padre Peter Milward S.I.: “Nel 1999 Shakespeare emerse da un sondaggio della BBC come l’uomo del millennio. Sorge spontanea una domanda: quanti di quei votanti lo conoscevano quale egli era veramente? In qualche modo Shakespeare resta un enigma per tutti, compatrioti e non, dai suoi tempi fino ai nostri.
Fra i tanti elementi di mistero affiora anche quello della sua probabile identità cattolica, rimasta nascosta per via della persecuzione anticattolica perpetrata dalla regina Elisabetta, che proseguì quella iniziata dal re suo padre.
Già in uno dei Sonetti Shakespeare riconosce questo triste fatto: I may not evermore acknowledge thee («Non potrò mai più riconoscerti», Son. 36). Egli si trovava costretto a nascondere la propria identità dietro una maschera da attore, esprimendosi, a denti stretti.
William Shakespeare (1564-1616) visse e lavorò in uno dei periodi più turbolenti della storia inglese, in cui un regime dittatoriale aveva imposto dall’alto all’intera nazione una religione di Stato elaborata a tavolino. Per la maggioranza della popolazione, rimasta cattolica, furono tempi bui.
Grazie a studiosi privi di pregiudizi, il cattolicesimo shakespeariano è emerso sempre più chiaramente, soprattutto confrontando le sue opere, infarcite di riferimenti «scorretti», con la sua vita.
Cattolica fu la famiglia di origine (e diversi dei suoi parenti finirono al patibolo come traditori politico-religiosi), cattolici furono gli amici (dai padrini di battesimo dei figli ai grandi nobili londinesi a lui vicini), cattolici furono gli ambienti che frequentò (conosceva personalmente diversi artefici della «Congiura delle Polveri»).
Nato e cresciuto in campagna, a Stratford, nel Warwickshire, William lasciò il paese diretto a Londra per ragioni mai chiarite; divenne prima attore e dopo drammaturgo; poi, al culmine del successo, quando il Governo inasprì le leggi anticattoliche, tornò a vivere a Stratford.
In seguito, però, da uomo ormai ricco, acquistò un misterioso palazzo londinese, dove non abitò mai; si scoprì solo successivamente che si trattava di un centro cattolico clandestino.
Con la famosa battuta di Amleto: «Spezzati, cuore mio, perché devo tenere la lingua a freno!».
Da un certo punto di vista, infatti, il personaggio di Amleto non è che una delle numerose maschere del drammaturgo.
Per questo egli lo lascia assolutamente libero di esprimersi, tranne che per una cosa, «che non si può mostrare»: quella cosa, cioè, che egli chiama «il cuore del suo mistero» e che non è disposto a rivelare ai suoi falsi amici e spie del re, Rosencrantz e Guildenstern.
Sembra che Shakespeare abbia tenuto segreto il nucleo del suo mistero fino ai suoi ultimi giorni di vita.
Ecco perché Richard Davies, un pastore anglicano che dimorava nei pressi di Stratford a fine Seicento, lo accusò di «essere morto papista».
Per la pubblica testimonianza che resero come martiri della fede, sia Thomas More (giustiziato nel 1535) sia Edmund Campion (giustiziato nel 1581) furono canonizzati dalla Chiesa cattolica.
Alla morte di Shakespeare, invece, nel 1616, praticamente nessuno, neppure i gesuiti inglesi, lo celebrò come cattolico. Quanto alla testimonianza di Davies, essa rimase a lungo sepolta nella biblioteca del Corpus Christi College, a Oxford.
Per trovare un altro riferimento al cattolicesimo shakespeariano dobbiamo attendere fino al tempo del beato card. Newman, il quale, nel suo Idea of a University (1873), affermò: «Esiste certamente in tutti noi un motivo di gratitudine per il fatto che il più illustre degli scrittori inglesi abbia così poco di protestante da permettere ai cattolici di reclamarlo senza esagerazione come uno di loro».
Newman aveva in mente un cattolico specifico, vale a dire uno dei suoi colleghi convertiti di Oxford, Richard Simpson, le cui note sull’argomento furono poi riordinate da un sacerdote oratoriano, Henry S. Bowden, e pubblicate con il titolo The Religion of Shakespeare nel 1899.
Ancora più incisive furono le parole di G. K. Chesterton, nel suo libro su Chaucer (1932): «Il fatto che Shakespeare fosse cattolico è qualcosa che ogni cattolico avverte come vero attraverso ogni sorta di buon senso convergente».
Non a caso, il riferimento alla «convergenza» rivela l’influsso di un’altra opera di Newman, la Grammatica dell’assenso (1870), che insisteva sul fatto che la convergenza di numerose probabilità indipendenti equivale a una certezza.
Questo procedimento è applicato anche dal personaggio di Ippolita, nel Sogno di una notte di mezza estate, quando ella ammette che il «racconto della notte» narrato dagli innamorati di Atene, per quanto «strano e fantasioso», pare «andare a formare qualcosa di grande consistenza».
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Il testo integrale del saggio di padre Peter Milward S.I si può leggere sul sito de La Civiltà Cattolica

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ZENIT Staff

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