Il sacerdote: pastore della comunità e non animatore

Mons. Leuzzi interviene al II incontro formativo per i cappellani universitari e ospedalieri sulla Costituzione Dogmatica Lumen Gentium

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Pubblichiamo il discorso pronunciato da mons. Lorenzo Leuzzi, Vescovo ausiliare di Roma, durante il II incontro formativo per i cappellani universitari e ospedalieri sulla “Costituzione Dogmatica Lumen Gentium” svoltosi, lunedì 14 gennaio, presso il Seminario Romano maggiore.

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Tra i problemi più diffusi e di grande rilevanza teologico-pastorale del post Concilio è da annoverare quello relativo all’identità del presbitero nella vita della comunità cristiana.

Per i sacerdoti impegnati nelle cappellanie, ossia nella pastorale d’ambiente, si tratta di un problema che affonda le sue radici non solo nella vita pastorale della Chiesa ma anche, direi soprattutto, nel rapporto tra Chiesa e società contemporanea (Cf. Gaudium et Spes). In un certo qual modo il cappellano, più di ogni altro sacerdote, può incontrare difficoltà ancora maggiori, sia sul piano dell’identità presbiterale, sia del ministero da svolgere, vagando talvolta tra dimensione spirituale e sociale, oltremodo tra loro difficilmente coniugabili.

a.  La Lumen Gentium e il mistero della Chiesa:

C’è una famosa espressione di Alfred Loisy: «Gesù annunciò il regno di Dio ed è venuta la Chiesa». La vita dei sacerdoti è drammaticamente condizionata da questa affermazione, perché pone una prima e decisiva dicotomia: il Regno di Dio, contenuto essenziale dell’evangelizzazione, da una parte; la Chiesa, società religiosa gerarchicamente costituita, dall’altra.

Il sacerdote se sceglie il Regno di Dio, soddisfa la sua esigenza di svolgere un ruolo sociale nella società; se invece sceglie la Chiesa, soddisfa la sua esigenza di uomo di culto e di maestro di verità religiose nella comunità cristiana.

Apparentemente le due prospettive possono sembrare contrapposte, ma in realtà orientano la vita del sacerdote verso il suo essere animatore spirituale e sociale nella Chiesa e nel mondo, con il grande rischio di perdere sia il mondo sia la Chiesa. È la vera crisi del sacerdote. Non si tratta di una crisi affettiva o spirituale, ma è perdita della realtà: l’animatore spirituale e sociale è lentamente emarginato dalla storia e non c’è formazione né spirituale, né pastorale che tenga. È fuori e basta!

Di quale realtà è privo oggi il sacerdote?

Della Chiesa! Perché la Chiesa nella sua natura più profonda non è una realtà né spirituale, né sociale, ma è in Cristo una realtà storico-dinamica. È il suo Corpo, non come metafora, ma come realtà ontologica (cf. LG n. 7). Questa vera natura della Chiesa unisce in sé sia l’annuncio del Regno di Dio, sia la dimensione storico- esistenziale della comunità cristiana. Infatti il Regno di Dio è Cristo stesso e la Chiesa è la sua dimora, nella quale abita la pienezza storica di Cristo Signore. Il Vivente è la luce (LG. n. 1) che illumina e sostiene la Chiesa, la quale è il popolo di Dio non come categoria sociologica – sia essa sociale o religiosa – ma come comunità unita al Verbo di Dio – il Logos – che di essa ne è l’origine, il fondamento e la meta.

Cristo non è il fondatore di una comunità religiosa che annuncia il Regno di Dio, ma la presenza del Regno di Dio nella storia. A differenza del popolo dell’Antico Testamento, la Chiesa è popolo di Dio non solo in quanto appartenente a Dio – secondo lo schema dell’alleanza del Sinai – ma in quanto posta in essere dalla Parola-Logos. Non una comunità di seguaci del Maestro ma una comunità di generati dalla Parola-Logos, perché senza questa generazione non è possibile essere nella Chiesa: «Il Figlio di Dio, unendo a sé la natura umana e vincendo la morte con la sua morte e resurrezione, ha redento l’uomo e l’ha trasformato in una nuova creatura» (LG n. 7).

La Chiesa non appartiene al mondo religioso, ma a quello della storicità, perché la Parola-Logos ha posto in essere la nuova creazione, che sussiste esistenzialmente nella Chiesa, in quanto è la storicità dell’uomo che è trasformata non il bisogno religioso o sociale dell’uomo. A queste due necessità possono rispondere anche altre proposte religiose e culturali, tuttavia nessuna di esse può raggiungere la storicità dell’uomo e trasformarlo in nuova creatura. I cristiani non sono seguaci del Maestro, ma uomini nuovi la cui esistenza è assunta dalla Parola-Logos, che deve crescere costruendo la Chiesa, che è «il suo corpo e il compimento di Lui» (LG n. 7).

Questa profonda trasformazione dell’esistenza storica dell’uomo, e non semplicemente religiosa o sociale, pone la Chiesa – come la persona di Gesù di Nazaret – ad essere nella storia e non solo oltre la storia. Ipotizzare una Chiesa puramente spirituale è un contro senso, perché significherebbe negare i contenuti della Dei Verbum. Nello stesso tempo, l’essere nella storia non significa che non possa esistere una presenza di Dio che vada oltre lo schema della comunità sociologica, sia essa religiosa o sociale.

È questo il mistero della Chiesa: non una comunità sociologica, sia religiosa che sociale, ma una vera realtà storica divino-umana (cfr. LG. n.8).

b. Il sacerdote: pastore della comunità e non animatore

La Chiesa per la sua intrinseca storicità ontologica è “la dimora di Dio” tra gli uomini e pertanto non è riducibile ad una esperienza religiosa. La sua vita (l’azione pastorale) è costruzione dell’organismo storico (“visibile” cfr. LG n. 8) e non semplice animazione spirituale e sociale. Tale costruzione è possibile per il dono delle virtù teologali che il battezzato riceve nella e per la sua esistenza ecclesiale.

I sacerdoti, «saggi collaboratori dell’ordine episcopale» (LG n. 28), sempre – ma soprattutto quando hanno ricevuto un mandato apostolico, come la nomina di cappellano – devono avere consapevolezza di essere pastori di quella comunità loro affidata e non semplici animatori.

L’animatore è colui che aggrega a sé la comunità attraverso le varie attività pastorali; il pastore è colui che rende visibile con la sua persona (in capite Christi) la presenza operante del vero fondamento della comunità: Cristo Signore, la Parola- Logos.

Sempre il sacerdote-cappellano è chiamato a rendere questa testimonianza: la sua persona non solo rimanda, come il Precursore, ma si pone come “pietra” visibile di quella invisibile, sulla quale i battezzati devono fondare la propria vita. Non esiste una separazione tra vita pubblica e vita privata del sacerdote, ma è sempre pastore di quella comunità.

Infatti la sua comunità non esiste solo quando si manifesta pubblicamente, ma è realmente esistente anche quando i suoi sono dispersi nella città, come accade per la vita delle cappellanie. Per questa ragione il cappellano deve essere ancora più strutturato come pastore, perché nelle cappellanie è maggiore la tentazione di seguire la via, forse più appagante (ma solo momentaneamente), dell’animazione.

Il cappellano, in quanto pastore, è chiamato ad un’azione pastorale molto più complessa: quella di dar vita ad una comunità che cresce in Cristo sapendo che i battezzati possono non sempre essere storicamente partecipanti alla vita della sua comunità, perché operanti in Parrocchia o in altre realtà ecclesiali.

La comunità di cappellania loro affidata non è esaustiva per se stessa, ma è la presenza della Chiesa Locale in quell’ambiente, che deve servire non solo coloro che vi partecipano ma tutta la comunità diocesana, perché tutti i battezzati possano dare testimonianza del Vangelo nei diversi ambienti della città. In tal modo, il cappellano è strettamente unito al ministero del Vescovo, che ne assume e sostiene la sua azione costruttiva nella cappellania e nella Chiesa Locale.

Il passaggio dal cappellano animatore al cappellano pastore è decisivo per il futuro della nuova evangelizzazione. La scelta del Concilio di riflettere sulla natura della Chiesa non è stata casuale ma determinante,
perché la diakonia della storia, che sarà descritta dalla costituzione pastorale Gaudium et Spes, dipende dalla costruzione della Chiesa. Se sarà una costruzione puramente sociologica, sia pure di alto livello spirituale e sociale, la Chiesa sarà estromessa dalla storia; se invece sarà una costruzione divino-umana, per la presenza della Parola-Logos nella storia, potrà aiutare la società ad essere se stessa.

Talis ecclesiologia, talis theologia et tota vita christiana”. Questo slogan che ho imparato da giovane è quanto mai attuale. “Dimmi quale Chiesa stai costruendo e ti dirò qual è la tua vita sacerdotale”: insieme vogliamo e dobbiamo essere pastori per costruire il Corpo di Cristo!

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ZENIT Staff

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