Il sacerdote nella Celebrazione eucaristica del Corpus Domini

Rubrica di teologia liturgica a cura di don Mauro Gagliardi

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ROMA, giovedì, 3 giugno 2010 (ZENIT.org).- L’articolo odierno è dedicato alla solennità del Corpus Domini. Padre Michael Lang, Officiale della Congregazione per il Culto Divino e Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, ripercorre le principali tappe storiche che hanno condotto alla definitiva affermazione di questa importante ricorrenza liturgica. Richiamando i testi eucologici della Messa del giorno, egli offre alcune riflessioni teologico-spirituali, che si estendono anche alla tradizionale processione del Santissimo Sacramento. In particolare, si sottolinea il legame del Giovedì Santo e del Tempo di Pasqua con la solennità del Corpus Domini e l’importanza peculiare di quest’ultima per la vita spirituale dei sacerdoti (don Mauro Gagliardi).

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Uwe Michael Lang

La solennità del Corpo e del Sangue del Signore, nelle parole di Papa Benedetto XVI, «ci invita a contemplare il sommo Mistero della nostra fede: la Santissima Eucaristia, reale presenza del Signore Gesù Cristo nel Sacramento dell’altare. Ogni volta che il sacerdote rinnova il Sacrificio eucaristico, nella preghiera di consacrazione ripete: “Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue”. Lo dice prestando la voce, le mani e il cuore a Cristo, che ha voluto restare con noi ed essere il cuore pulsante della Chiesa»[1].

1. Le origini della festa del Corpus Domini[2]

Le origini remote della festa del Corpus Domini si trovano nello sviluppo del culto dell’Eucaristia nel corso del Medioevo. Le dispute dottrinali fra Pascasio Radberto († 865) e Ratramno di Corbie († 868), e soprattutto fra Berengario di Tours († 1088) e Lanfranco di Pavia († 1089), portarono ad un chiarimento della dottrina sulla presenza reale di Cristo nel Sacramento e, di conseguenza, ad un più sentito e diffuso culto dell’Eucaristia.

Nel secolo XIII si manifesta un movimento più ampio di devozione eucaristica presso il popolo ed anche fra i teologi, con un forte contributo dato dal nuovo ordine francescano. Il Concilio Lateranense IV (1215), precisando la dottrina della Chiesa con la formula della transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, ha spinto ad un ulteriore sviluppo del culto eucaristico. Lo stesso Concilio prescrisse l’obbligo della comunione annuale a Pasqua e la custodia dell’Eucaristia in un luogo sicuro[3]. Nella liturgia si diffuse la prassi di elevare l’ostia ed il calice durante la Messa per il desiderio dei fedeli di vedere e di adorare le specie consacrate.

La solenne celebrazione del Corpus Domini, come la conosciamo anche oggi, è dovuta all’ispirazione della religiosa fiamminga Santa Giuliana di Cornillon (1191-1258). La festa, istituita nella diocesi di Liegi, nell’attuale Belgio, nel 1246, si diffuse rapidamente, grazie anche all’impegno del fiammingo Giacomo Pantaleone di Troyes, in seguito eletto papa col nome di Urbano IV (1261-1264). Egli incluse la festa nel calendario liturgico generale con la Bolla Transiturus de hoc mundo, dell’11 agosto 1264[4]. Tuttavia, a causa di diverse vicende, essa fu celebrata in tutta la Chiesa solo dopo il Concilio di Vienne (1311-1312).

Secondo la Vita di Santa Giuliana, Cristo stesso le disse il principale motivo per cui desiderava questa nuova festa, cioè per ricordare l’istituzione del Sacramento del suo Corpo e Sangue in maniera particolarmente solenne, il che non era possibile il Giovedì Santo, quando la liturgia è segnata dalla lavanda dei piedi e della Passione del Signore. Tale festa porterà ad un aumento di fede e grazia per i cristiani, che saranno indotti a partecipare con maggiore attenzione a ciò che invece vivono, nei giorni ordinari, con minore devozione o persino con negligenza.

La festa fu stabilita per il giovedì dopo l’Ottava di Pentecoste, il primo giovedì dopo il Tempo Pasquale, secondo il Calendario liturgico dell’usus antiquior. La festa è così chiaramente legata al Giovedì Santo, ed esprime il suo carattere essenziale: «Nella festa del Corpus Domini, la Chiesa rivive il mistero del Giovedì Santo alla luce della Risurrezione»[5].

2. La Messa

Nonostante qualche dubbio degli storici, è stato confermato dalla ricerca recente che la Messa e l’Ufficio del Corpus Domini sono stati composti da san Tommaso d’Aquino per ordine del papa Urbano IV. La Messa originale è rimasta la stessa nelle varie edizioni del Missale Romanum fino agli anni Cinquanta del secolo XX, con l’eccezione del Kyrie tropato[6] (preso da una fonte più antica), che era sparito nel Messale di San Pio V (1570).

Per l’epistola si è scelto il brano dell’apostolo Paolo sull’istituzione dell’Eucaristia (1Cor 11,23-29) in una versione più breve dello stesso testo, utilizzato durante la Messa in cena Domini il Giovedì Santo (1Cor 11,20-32). In questo quadro si inserisce anche il brano evangelico (Gv 6,56-59) dal grande «discorso eucaristico» di Gesù, che segue al miracolo della moltiplicazione dei pani.

Oltre le solite preghiere e antifone, la Messa contiene una lunga sequenza, della penna stessa dell’Aquinate, il Lauda Sion. Questa sequenza è un bell’esempio di come la lex credendi si esprima nella lex orandi, come accenna Benedetto XVI:

«Poco fa abbiamo cantato nella Sequenza: “Dogma datur christianis, / quod in carnem transit panis, / et vinum in sanguinem – È certezza a noi cristiani: / si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino”. Quest’oggi riaffermiamo con trasporto la nostra fede nell’Eucaristia, il Mistero che costituisce il cuore della Chiesa. […] Pertanto quella del Corpus Domini è una festa singolare e costituisce un importante appuntamento di fede e di lode per ogni comunità cristiana. È festa che ha avuto origine in un determinato contesto storico e culturale: è nata con lo scopo ben preciso di riaffermare apertamente la fede del Popolo di Dio in Gesù Cristo vivo e realmente presente nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia. È festa istituita per adorare, lodare e ringraziare pubblicamente il Signore, che “nel Sacramento eucaristico continua ad amarci ‘fino alla fine’, fino al dono del suo corpo e del suo sangue” (Sacramentum caritatis, 1)»[7].

San Tommaso d’Aquino ha assegnato alla Messa del Corpus Domini il Prefazio della Natività del Signore: «Nel mistero dei Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle cose invisibili»[8]. Questa scelta è significativa, in quanto stabilisce un’intima connessione fra il mistero dell’Incarnazione e quello della Transustanziazione: nel Sacramento è realmente e sostanzialmente presente il Cristo vivente, Corpo, Sangue, Anima e Divinità.

Nel Missale Romanum del 1962, attualmente normativo per la forma straordinaria del Rito Romano, il Prefazio della Natività è stato sostituito con quello Comune. Tuttavia, nel 1962, quattro nuovi prefazi sono stati approvati per alcune diocesi, tra cui un Prefazio del Santissimo Sacramento utilizzabile anche per il Corpus Domini.

Nel Missale Romanum del 1970 e nelle successive edizioni tipiche, i testi eucologici della festa sono rimasti essenzialmente gli stessi, mentre è stato assegnato il nuovo Prefazio della Santissima Eucaristia. La differenza principale è l’arricchimento delle letture secondo il ciclo dei tre anni (Anno A: Dt 8,2-3.14b-16a, 1Cor 10,16-17, Gv 6,51-58; Anno B: Es 24,3-8, Ebr 9,11-15, Mc 14,12-16.22-26; Anno C: Gen 14,18-20, 1Cor 11,23-26, Lc 9,11-17).

3. La Processione

In tutto il mondo, il Corpus Domini è segnato dalla solenne processione eucaristica che segue alla Messa. Anche a questo riguardo, la festa riprende la celebrazione del Giovedì Santo, che termina con la processione eucaristica all’altare della reposizione. Va rilevato, però, che la processione del Giovedì Santo ricorda l’esodo del Signore dal Cenacolo alla solitudine del Monte degli Ulivi, dove fu tradito da Giuda, e quindi ha in sé un aspetto oscuro e triste: è la notte che conduce alla Passione del Venerdì Santo. Invece, la processione eucaristica del Corpus Domini si svolge nella gioiosa luce della Risurrezione. Nel portare il Cristo Sacramentato attraverso città e villaggi, sui prati e sui laghi, la Chiesa opera «quasi in obbedienza all’invito di Gesù di “proclamare sui tetti” ciò che Egli ci ha trasmesso nel segreto (cf. Mt 10,27). Il dono dell’Eucaristia, gli apostoli lo ricevettero dal Signore nell’intimità dell’Ultima Cena, ma era destinato a tutti, al mondo intero»[9].

Nella solenne celebrazione del Corpus Domini in innumerevoli parrocchie e comunità cattoliche, si esprime la gioia nella fede, sulla quale Benedetto XVI, come teologo e come Papa, ha spesso riflettuto: la forza con la quale la verità della fede cristiana si fa strada deve essere la gioia con cui essa si manifesta. Questa gioia è una gioia pasquale, radicata nel fatto che Cristo è risorto dai morti. La Chiesa ha bisogno di sfruttare tutto lo splendore del bello, per esprimere questa gioia suprema.

Non bisogna stancarsi mai di insistere sulla priorità del culto divino, superando così una stretta interpretazione legalistica e moralistica del cristianesimo. Benedetto XVI dà l’esempio, perché è profondamente convinto che «il diritto e la morale non stanno insieme se non sono ancorati nel centro liturgico e non traggono da esso ispirazione»[10]. L’adorazione, che si esprime in modo del tutto particolare nella Messa e nella Processione del Corpus Domini, è costitutiva del rapporto dell’uomo con Dio e della giusta esistenza umana nel mondo.

In questo Anno Sacerdotale, i ministri del Santissimo Sacramento hanno una ragione in più per tornare a meditare sull’incomparabile dignità, cui sono stati chiamati per divina vocazione. L’essere sacerdoti ordinati ha un riferimento primario ed insostituibile al potere di consacrare l’Eucaristia. Ai vari motivi teologici che fanno da sfondo alla gioia di ogni cristiano dinanzi al Dono eucaristico, il sacerdote aggiunge anche la sua conformazione – di certo umanamente immeritata – al Cristo Sacerdote, che si rende presente realmente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Auguriamo pertanto ai sacerdoti di tutto il mondo di vivere la processione del Corpus Domini come momento di adorazione, contemplazione e riflessione sul grande Mistero che si rende sempre di nuovo presente nel mondo attraverso le loro mani, unte un giorno con il sacro crisma per poter consacrare e toccare il Corpo sacramentale di Cristo.

Note

1) Benedetto XVI, Angelus (10 giugno 2007).

2) Cf. L. Pristas, «The Calendar and Corpus Christi: An Historical and Theological Consideration of the Church’s Sacred Year», in U. M. Lang (ed.), The Genius of the Roman Rite: Historical, Theological and Pastoral Perspectives on Catholic Liturgy, Hillenbrand Books, Chicago 2010, pp. 159-178.

3) Concilio Lateranense IV (1215), Constitutiones, 20. De chrismate et eucharistia sub sera conservanda: in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, p. 244.

4) Cf. DS 846-847.

5) Benedetto XVI, Omelia nella Solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo (26 maggio 2005). Oggi, in molti paesi dove questo giovedì non è una festa pubblica, la festa del Corpus Domini si celebra la domenica seguente.

6) Con questa espressione si intende un’invocazione del «Kyrie, eleison» accompagnata da un versetto introduttivo chiamato «tropo», ad es.: «Signore, mandato dal Padre a salvare i contriti di cuore, abbi pietà di noi – Signore, pietà».

7) Benedetto XVI, Omelia nella Solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo (7 giugno 2007).

8) «Quia per incarnati Verbi mysterium nova mentis nostrae oculis lux caritatis infulsit: ut dum visibiliter Deum cognoscimus, per hunc in invisibilium amorem rapiamur».

9) Benedetto XVI, Omelia nella Solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo (7 giugno 2007).

10) J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, p. 16.

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ZENIT Staff

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