Il sacerdote deve essere docile verso Dio e solidale con gli uomini

La riflessione del Cardinale Vanhoye a un incontro del Pontificio Istituto Biblico

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ROMA, martedì, 8 giugno 2010 (ZENIT.org).- La docilità verso Dio e la solidarietà con gli uomini sono le due caratteristiche principali che devono contraddistinguere i sacerdoti. Lo ha detto il Cardinale Albert Vanhoye, già Segretario della Pontificia Commissione Biblica, durante un incontro organizzato in occasione dell’Anno sacerdotale presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma.

Infatti, ha spiegato il porporato secondo quanto riferito da L’Osservatore Romano, Gesù stesso ha voluto che i suoi apostoli fossero uniti a lui attraverso queste due relazioni fondamentali del cuore.

“Li ha voluti unire – ha sottolineato – alla sua relazione al Padre. Lo vediamo specialmente nell’agonia, quando egli chiede agli apostoli di ‘vegliare con lui’ e dice: ‘vegliate e pregate’. Prima aveva insistito spesso sulla necessità di fare la volontà del Padre; nel momento in cui si trova nella prova, chiede agli apostoli di condividere questa prova e questa disposizione”.

Non solo Gesù ha voluto unire a sé gli apostoli nella sofferenza e nell’obbedienza al Padre, ma anche nella misericordia verso i peccatori.

“Questo – ha detto il Cardinale – si vede in particolare nella vocazione di Matteo. Matteo era considerato peccatore: era pubblicano. Gesù manifesta per lui la sua misericordia dicendogli: ‘Seguimi!’; un onore straordinario, non soltanto essere considerato da Gesù come qualcuno da salvare, ma come un possibile collaboratore”.

Gli apostoli, poi, “sono associati al movimento di misericordia del cuore di Cristo, fin dalla loro vocazione. Non va dunque più ricercato il culto rituale esterno, di separazione: questo è il sacrificio antico. Il vero culto adesso deve attuarsi in un movimento di misericordia verso i fratelli”.

“Infatti – ha aggiunto – il sacrificio di Cristo fu un atto di misericordia estrema; non fu per niente un sacrificio alla maniera antica, non fu attuato in un luogo santo con riti speciali: fu un evento tragico, un’esecuzione di pena capitale, trasformata però dall’interno, dal cuore, in un atto di misericordia estrema”.

L’ordine sacro, ha spiegato il porporato, è “un motivo di meraviglia e di stupore continuo: vedere che Gesù ha creato questa sua presenza sacramentale non soltanto in oggetti e sostanze ma anche in una persona viva, quale è il prete. Questo è un dono straordinario di Cristo. Dobbiamo esserne consapevoli”.

Per essere sacramento di Cristo, tuttavia, il presbitero deve essere unito al suo cuore nelle due disposizioni fondamentali della mediazione sacerdotale: avere cioè “un cuore filiale verso Dio Padre e un cuore fraterno verso le parole umane”.

Il porporato ha poi fatto riferimento alla definizione del sacerdote contenuta nella Lettera agli Ebrei, dove si “esprime il contenuto di queste due qualità essenziali: l’umiltà davanti a Dio, nella docilità profonda; e la mitezza verso gli uomini, nella misericordia”.

Ed è proprio nell’agonia che “il cuore filiale di Cristo si è manifestato”, perché “lì si vede fino a che punto Gesù è stato docile al Padre, umile. Il cuore fraterno di Cristo si è manifestato anzitutto nell’istituzione dell’Eucaristia, quando Gesù diede se stesso in cibo di comunione fraterna. Però non è possibile fare una separazione tra questi due aspetti. Nell’agonia Gesù si manifesta anche fratello nostro, perché prende su di sé tutta la nostra angoscia, la nostra situazione disperata: ‘diventato in tutto simile ai suoi fratelli’ sofferenti”.

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ZENIT Staff

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