Il Rosario dell'arte e le nozze di Cana

Il cibo materiale che manca sulla mensa di Cana è, sull’altare, il cibo della vita eterna che ci è dato nel corpo e nel sangue di Gesù

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di Maria Franca Tricarico

ROMA, sabato, 13 ottobre 2012 (ZENIT.org). – Il grande mosaico di Marko Ivan Rupnik nella Cappella della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium” (Roma) si propone come “luogo rivelativo”. Il miracolo di Cana è “il principio” o “inizio” dei segni (cf Gv 2,11), ma sullo sfondo emerge l’ora della passione e glorificazione di Gesù (cf Gv 7,30; 8,20; 12,23-27; 13,1; 17,1; 19,27), quando Egli compirà l’opera della redenzione dell’umanità.

Cominciando a “leggere” la scena da sinistra, si nota un grande rotolo aperto dal quale sembrano fuoriuscire Maria e il servo. Appaiono come privi di limiti nel loro movimento. Questo espediente espressivo li rende attivi; si ha l’impressione che le parole del Vangelo di Giovanni prendano forma plastica, si materializzino e continuino a risuonare nello spazio e nel tempo.

Il rotolo è un evidente richiamo al “Verbo del Padre”. Al saluto dell’Angelo, Maria aveva ricevuto e accolto in sé la Parola per dare forma umana al Figlio di Dio. A quel saluto Maria era stata avvolta dall’amore gratuito e preveniente di Dio, un amore carico di significato intraducibile umanamente come è intraducibile la parola greca – kecharitôménê – che lo esprime. Ora è lei che a Cana, senza essere stata richiesta, si mostra preveniente, intercede per chi si trova nel bisogno; è la Mater misericordiae.

Maria poggia il piede destro su un prato mentre con l’altro è come se entrasse nella sala delle nozze per passare da qui nel presbiterio. In questo modo si ha come la sensazione della sua presenza fisica nel nostro oggi. Questo particolare del prato è come un richiamo al giardino dell’Eden e, di conseguenza, come richiamo a Maria quale “nuova Eva”.

Il parallelismo tra Eva e Maria che si afferma a partire dal II sec. con Giustino (cf Dialogo con Trifone 100, PG 6, 709-712) e con Ireneo (cf Adversus Haereses III, 22,4, Sources Chrétiennes 211, 438-445), continua ininterrotto a essere presente nella tradizione della Chiesa. Nel “Prefazio quinto della Beata Vergine Maria”, infatti, si prega: «Nel Cristo, nuovo Adamo, e in Maria, nuova Eva, è apparsa finalmente la tua Chiesa primizia dell’umanità redenta» (Messe della Beata Vergine Maria, Città del Vaticano, LEV1987, 187).

Accanto a Maria il servo versa l’acqua nelle giare: tre sono accanto a lei, le altre tre sono nella parte opposta, accanto al Cristo. Se si osserva bene, non può sfuggire che la giara sorretta dal servo si sovrappone al ventre di Maria. Nei testi eucologici sia della Chiesa d’Oriente sia di quella d’Occidente, Maria è spesso onorata col titolo di «fonte d’acqua viva»: dal suo grembo è scaturita la salvezza del mondo, Gesù Cristo. Nel Libro delle cerimonie di Costantino Porfirogenito (X sec.) così si loda la Vergine Maria: «O fiume dove corre la vita senza fine, Fonte santa…noi ti veneriamo come Theotokos, noi t’imploriamo… Coprici fino alla fine, o Madonna Fonte di Vita, con le ali della tua protezione» (da SENDLER Egon, Le icone bizantine della Madre di Dio, Cinisello Balsamo-MI, Ed.San Paolo 1995, 161-162).

Maria indossa un manto rosso e calza scarpe rosse così come si addice ai membri della famiglia imperiale: è la Theotokos, la creatura che con il suo “fiat” è diventatala Madre del Cristo Dio. Indossa anche una tunica azzurra: è la creatura che contempla il mistero ineffabile delle “meraviglie di Dio” e le custodisce in sé, come lo indica pure la mano destra posta all’altezza del petto. Con la mano sinistra, invece, “dice” al servo, di fare ciò che dirà il Figlio.

Sulle spalle di Maria e sulla fronte si notano tre stelle, esse rimandano alla sua verginità prima, durante e dopo il parto. In questo modo l’iconografia esprime la comprensione teologica che la Chiesaha del mistero di Maria; precisamente – come dice Sant’Agostino -, si vuole esprimere la verità di fede del concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo (cf Natale del Signore, Discorso 186,1, PL 38). E Clemente di Alessandria scrive: «una è la Madre vergine; mi piace chiamarla Chiesa» (Il Pedagogo, Roma, Città Nuova 2005, I, 42.1, 74). Nel mosaico di Rupnik Maria è dunque presentata anche come figura della Chiesa.

Sulla destra del mosaico, quasi pendant con la scena di Maria e il servo, c’è il Cristo. Non è seduto a mensa. Come Javhé si manifestò a Mosè nella luce e nel fuoco, così egli ci appare qui nella luce e nel fuoco dell’amore (l’oro e il rosso che gli fanno da sfondo); è crocifisso e risorto. Con la sua offerta al Padre sulla croce, l’albero dell’Eden si è trasformato in albero della vita.

Il Cristo ha le braccia sollevate verso l’alto nel tipico gesto dell’orante; indossa lo stichárion, la tunica di colore bianco, simbolo di luce sfolgorante, trattenuta in vita da una cintura; sulle spalle ha l’epitrachílion (la stola): è il Sommo ed Eterno Sacerdote. S. Giovanni Crisostomo dice che come «Mosè alzò le mani verso il cielo e fece scendere il pane degli angeli, la manna, il nostro Mosè-Cristo alza le mani verso il cielo e ne porta il cibo che non perisce» (Catechesi battesimale 3,26).

Anche nell’opera di Rupnik il “terzo giorno” di Cana (cf Gv 2, 1-2) si risolve nel “terzo giorno” della Pasqua gloriosa di Gesù a Gerusalemme (cf Gv 20,1). Se Cana è l’inizio della rivelazione dell’amore di Dio, la Pasqua è la manifestazione piena di quest’amore. E a Cana e poi sotto la croce, c’è sempre Maria: la Madre “ausiliatrice” dei figli del Figlio che, con e come Giovanni, l’accolgono nella “casa della propria fede” (cf Gv 19,27).

Al centro del mosaico ci sono gli sposi di Cana. Il loro volto pervaso di mestizia evoca i tradimenti all’alleanza fra Dio e Israele, suo popolo. Sono seduti dietro una tavola spoglia. Le giare dove l’acqua è trasformata in vino e il vino in sangue fanno da raccordo tra questa mensa e la nuova mensa, l’altare che è collocato davanti al mosaico sullo stesso asse ottico.

Il mosaico è tutto un movimento; ossia, a seconda del punto in cui ci si colloca, gli sguardi delle figure mutano direzione. Non è difficile trovare il punto di osservazione che consente di vedere gli sguardi di Maria e del Cristo rivolti verso l’altare che ora sostituisce la mensa di Cana. E gli invitati a questa “nuova mensa” siamo noi. Su di essa, ogni giorno, nella celebrazione eucaristica, si fa memoria del mistero della salvezza, si celebra e si rinnova la Nuova ed Eterna Alleanza tra Dio e l’uomo. Il cibo materiale che manca sulla mensa di Cana è ora, sull’altare, il cibo della vita eterna che ci è dato nel corpo e nel sangue di Gesù, lo “Sposo messianico” (cf Prefazio della Messa “Santa Maria di Cana”, in Messe della Beata Vergine Maria, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana 1987, 28).

(Adattamento da Mazzarello M. L. – Tricarico M. F., Il Rosario dell’arte. Preghiera-Contemplazione-Annuncio, Leumann-TO, Elledici 2009).

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ZENIT Staff

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