Il rogo del Corano negli Stati Uniti infiamma l'Afghanistan

Un’ondata di violenza scuote il Paese

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di Paul de Maeyer

ROMA, domenica, 3 aprile 2011 (ZENIT.org).- La “tempesta perfetta” creata dai pastori evangelici statunitensi Terry Jones e Wayne Sapp, che dopo un breve “processo” avevano bruciato domenica 20 marzo in pubblico un esemplare del Corano a Gainesville, in Florida, continua a mietere vittime.

L’epicentro dell’ira musulmana è stato questo fine settimana l’Afghanistan, dove un’ondata di manifestazioni di protesta da parte di gruppi di musulmani locali si è conclusa con un bilancio molto pesante: una ventina di morti, fra cui anche 7 stranieri che lavoravano per le Nazioni Unite, e decine di feriti.

L’ondata è scoppiata venerdì 1° aprile nella provincia settentrionale di Balkh, quando nella città di Mazar-i-Sharif – considerata relativamente calma – una folle inferocita di dimostranti ha assaltato dopo la preghiera nel famoso santuario della Moschea Blu (il nome della città significa infatti “Nobile Santuario”) la sede delle Nazioni Unite.

Dopo aver attaccato e disarmato le guardie di sicurezza, che avevano ricevuto l’ordine di non sparare, i manifestanti hanno distrutto gli uffici e aperto la caccia ai dipendenti presenti nell’edificio. Alcuni di loro, che avevano cercato di rifugiarsi in un bunker, sono stati comunque uccisi. Si tratta di tre dipendenti europei dell’ONU, fra cui anche una donna, la norvegese Siri Skare. Gli altri due europei sono Joakim Dungel e Filaret Motco, rispettivamente di nazionalità svedese e rumena. Oltre ad almeno quattro manifestanti, sono rimaste uccise nell’assalto anche quattro guardie di sicurezza nepalesi (ex Ghurka) dell’ONU.

La Missione delle Nazioni Unite di Assistenza all’Afghanistan (UNAMA in acronimo inglese) è presente nel Paese centro-asiatico dal 2002 ed è guidata attualmente dal diplomatico svedese Staffan de Mistura, nominato inviato speciale del segretario generale Ban Ki-moon nel gennaio 2010. La missione è divisa in 8 uffici regionali e 15 uffici provinciali, e impiega 1.500 persone, per circa l’80% afghane. L’attacco di questo venerdì è stato il più sanguinoso finora lanciato contro l’ONU nel Paese.

Questo sabato, 2 aprile, è invece degenerata una manifestazione nella città meridionale di Kandahar. Secondo il New York Times, migliaia di dimostranti, fra cui anche alcune persone armate che si erano infiltrate nel corteo, hanno prima incendiato una scuola secondaria per ragazze sovvenzionata dagli USA – la Zarghona Ana High School for Girls – e bruciato macchine e autobus; quando poi hanno cercato di avvicinarsi agli uffici locali delle Nazioni Unite sono intervenute le forze dell’ordine afghane, aprendo il fuoco. Anche se il capo della polizia provinciale, Khan Mohammad Mojayed, ha negato che i suoi uomini avrebbero sparato direttamente sulla folla, anche a Kandadar il bilancio della violenza è pesante: almeno nove morti e più di 90 feriti.

Mentre dimostrazioni più pacifiche si sono svolte domenica 3 aprile a Jalalabad e nei giorni scorsi nella capitale Kabul, nella città occidentale di Herat e nella provincia settentrionale di Takhar, oltre alla rabbia dei musulmani per il rogo del Corano tre elementi hanno alimentato le proteste secondo il Washington Post (2 aprile): la frustrazione della popolazione per la decennale presenza di truppe statunitensi su suolo afghano, le prediche degli imam e i talebani. Questi ultimi avrebbero giocato secondo il quotidiano un ruolo “sporco” nel degenerarsi delle manifestazioni.

Secondo un portavoce del Governo della provincia di Balkh, Sher Jan Durani, fra i più di venti dimostranti arrestati in seguito ai disordini nella città di Mazar-i Sharif c’erano varie persone armate. La presunta mente dietro alla violenza – così ha specificato il numero due della polizia della provincia, Rawof Taj – è originaria dalla provincia di Kapisa, una roccaforte dell’insorgenza. E a Kandahar, alcuni manifestanti portavano bandiere bianche, il colore del movimento dei talebani, come ha riferito il Washington Post. Da parte sua, il movimento fondamentalista ha negato ogni suo coinvolgimento. “I talebani non c’entrano nulla in questo, è stato un puro atto di musulmani responsabili”, ha dichiarato un portavoce, Zabiullah Mujahid, in una telefonata con l’agenzia Reuters (2 aprile). “Gli stranieri hanno portato l’ira degli afghani su loro stessi bruciando il Corano”, ha ribadito.

Anche il capo della missione ONU in Afghanistan ha puntato un dito accusatore verso il movimento dei talebani o gruppi di insorgenti affiliati ai cosiddetti “studenti”. Ma la missione ONU non si fermerà. “Sono profondamente rattristato e sono anche sconvolto da quello che ho visto, ma noi continuiamo il nostro lavoro”, ha detto de Mistura (WP, idem). Non ci lasceremo scoraggiare, ha aggiunto il diplomatico svedese, che ha annunciato comunque uno “spostamento temporaneo” a Kabul degli 11 funzionari ONU rimanenti a Mazar-i-Sharif. Da Nairobi, in Kenya, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha condannato l’assalto come “oltraggioso e codardo”.

Dal canto suo, il Presidente americano Barack Obama ha espresso le sue condoglianze alle famiglie delle vittime dell’assalto e ha definito il recente rogo del Corano “un atto di estrema intolleranza e fanatismo”. Allo stesso tempo, così si legge in un comunicato della Casa Bianca, il gesto di Jones e Sapp non giustifica l’uccisione di persone innocenti, che è “rivoltante e un affronto alla decenza e alla dignità umana” (The Associated Press, 2 aprile).

Non si è mostrato pentito invece Terry Jones. Anzi, il “focoso” pastore del Dove World Outreach Center – una piccola chiesa evangelica fondata nel 1986 – ha rincarato la dose. “Dobbiamo considerare questi Paesi e questa gente responsabili per quello che hanno fatto e per qualsiasi pretesto che hanno usato per promuovere le loro attività terroristiche. È ora di ritenere responsabile l’islam”, ha detto (The Daily Mail, 2 aprile). “L’islam non è una religione di pace”, ha continuato, invitando il Governo statunitense e le Nazioni Unite a prendere delle misure contro chi diffonde odio contro i cristiani e contro le minoranze.

Comunque, per la BBC, che questo venerdì ha pubblicato un profilo di Jones, il pastore si è rivelato una persona problematica ancora prima del suo molto controverso progetto del “Burn a Koran Day”. Prima di prendere la guida del Dove World Outreach Center, Jones aveva fondato in Germania una Chiesa evangelica a Colonia – la “Christliche Gemeinde Köln” -, che avrebbe lasciato per divergenze nel 2008. Una corte amministrativa di Colonia ha condannato del resto Jones nel 2002 per utilizzo improprio del titolo di “dottore”. Il pastore è stato accusato anche dalla propria figlia, Emma Jones, e da un ex membro della sua Chiesa di abusi finanziari. Il pastore ha avuto anche problemi con il fisco della Florida per aver violato lo status di esenzione fiscale, di cui gode la sua Chiesa.

Per la missione ONU e per le forze internazionali presenti in Afghanistan, la nuova violenza è fonte di preoccupazione. Mentre il trasferimento della responsabilità della sicurezza agli afghani dovrebbe concludersi entro il 2014, poco più di una settimana fa il Presidente Hamid Karzai aveva annunciato che proprio la città di Mazar-i-Sharif sarà una delle prime aree a ritornare sotto controllo afghano. Il passaggio delle consegne dovrebbe avvenire il 1° luglio prossimo, come ha ricordato l’Agence France-Presse (3 aprile).

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ZENIT Staff

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