Il rinnovamento cattolico del cardinale Schuster

Presentato il volume della dott.ssa Elena Nobili sul periodo romano del beato arcivescovo di Milano

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di Salvatore Cernuzio  

ROMA, sabato, 9 giugno 2012 (ZENIT.org) – “Uomo di mirabile sapienza e dottrina, che svolse con grande sollecitudine l’ufficio di pastore per il bene del suo popolo”. Così recita il martirologio del beato Alfredo Ildefonso Schuster, cardinale e arcivescovo cattolico italiano, abate del monastero benedettino di San Paolo fuori le Mura dal 1918 al 1929 e arcivescovo di Milano nel periodo del fascismo e del dopoguerra.

Proprio a Milano, il Centro culturale San Benedetto ha organizzato, presso il cinema-teatro Osoppo, una conferenza dedicata al beato, in conclusione dell’itinerario che ha visto la mostra “Unità d’Italia. Una storia di persone e di Idee”, esposta in 30 città per il 150° dell’Unità d’Italia.

Nell’ambito dell’incontro è stato presentato il libro Ildefonso Schuster tra storia e rinnovamento cattolico, di Elena Nobili, dott.ssa in Scienze storiche filologiche e letterarie dell’Europa e del Mediterraneo. Il volume, come dichiarato dall’autrice, è incentrato sul periodo romano del benedettino, in quanto, la storiografia a lui dedicata finora “si è occupata quasi esclusivamente del periodo fascista e della guerra”.

Tale storiografia – ha spiegato – ha dato vita a diverse interpretazioni che vedevano Schuster tra i “vescovi filofascisti”, o altre che lo giudicavano “ingenuo” per non aver colto pienamente le conseguenze politiche dei suoi gesti.

Orientando le ricerche sul periodo romano del beato – attraverso la documentazione relativa al periodo del II dopoguerra – emerge, invece, una particolare sensibilità di Schuster verso le chiese orientali, gli ebrei, la liturgia, e una serie di scelte accolte solo successivamente dalla Chiesa con il Concilio Vaticano II.

In particolare, le ricerche della dott.ssa Nobili presso numerosi archivi romani, ritraggono la figura di uno Schuster pienamente dedito al sostegno del movimento liurgico, ovvero quel movimento di rinnovamento cattolico che in Francia iniziò la sua attività nel mondo benedettino a fine ‘800, e che in Italia si affermò solo nel secolo successivo, a causa di alcune opposizioni.

Schuster fu “il vero protagonista delle idee del movimento”, ha dichiarato la Nobili, a partire dalla passione, alimentata fin da bambino, per l’archeologia, che “non consisteva solo nello scoprire luoghi o segni del passato, ma nella riscoperta dei siti in cui i primi cristiani avevano operato”.

“Questo suo percepire il passato come qualcosa di vivo – ha spiegato – lo portò a partecipare a celebrazioni che avvenivano nelle catacombe e nelle quali si leggevano gli antichi inni”. Mosso dal desiderio di ricostruire l’ambiente fisico ma anche liturgico dei primi cristiani, l’Arcivescovo incentrò i suoi studi “sugli elementi che avevano reso la liturgia antica così attiva e sentita nel passato”, in modo che i fedeli del XX secolo la rivivessero con la stessa profonda partecipazione.

Il beato benedettino, infatti, si fece tra i principali sostenitori della necessità di introdurre la messa dialogata, ritenendo necessario “che non fosse più solo il chierichetto a rispondere al sacerdote durante le funzioni, ma l’intero gruppo di fedeli aiutati da opuscoli bilingue distribuiti durante le celebrazioni”. Nonostante l’opposizione di numerosi ambienti, tra cui quelli gesuiti, Schuster portò avanti l’idea di fornire ai fedeli una traduzione con commento dei vari passi della celebrazione e pubblicò, nel 1915, un primo contributo dal titolo Le sacre stazioni quaresimali.

Uno degli aspetti più spinosi della vita del benedettino fu, tuttavia, il suo rapporto con le autorità. Schuster svolse, infatti, il ruolo di arcivescovo di Milano nel periodo fascista, durante e dopo la guerra, e fu, inoltre, il primo vescovo ad essere nominato dopo il Concordato del 1929, che prevedeva un duplice giuramento di fedeltà al Papa e al re e soprattutto al governo.

Egli, ha raccontato la Nobili, adottando “un differente approccio per il suo ministero a Roma e poi a Milano”, lottò chiaramente per i diritti della Chiesa nell’ambito dell’educazione e del matrimonio prima contro il governo liberale e poi contro quello fascista. Denunciò poi sia le violenze sulle associazioni cattoliche, sia il tentativo di limitare la presenza della Chiesa nella società. I suoi riferimenti alle Sacre Scritture – “un tentativo di dare una visione più spirituale agli eventi” – di fatto s’intrecciarono con il contesto storico e “provocarono numerosi fraintendimenti”.

L’azione pastorale di Schuster, ispirata a San Carlo Borromeo, si concentrò notevolmente sulle parrocchie: compì ispezioni minuziose sullo stato delle chiese, dei paramenti liturgici, ammonì i parroci e collocò ai vertici dell’Azione Cattolica lombarda persone non compromesse con il fascismo, invitandole a lavorare in silenzio per costruire un solido tessuto di relazioni e di fede.

Ciò testimonia che “il primo ed unico pensiero di Schuster fu il bene della Chiesa e dei cattolici italiani, tanto da credere fino all’ultimo di poter cristianizzare il fascismo” ha sottolineato la dottoressa.

Ne è conferma l’omelia Un’Eresia antiromana del ‘38, con la quale Schuster denunciò pubblicamente la dottrina antisemita da poco fatta propria dal governo italiano, provocando una profonda spaccatura sta Stato e Chiesa, oltre all’ira di Mussolini che da quel momento controllò costantemente l’opera dell’arcivescovo.

Nonostante ciò, il beato “non smise di prodigarsi a favore di quanti avevano bisogno”: sostenne i sacerdoti impegnati nella protezione degli ebrei, e intervenne a favore di quanti, come Indro Montanelli, furono rinchiusi dai nazifascisti nel carcere di San Vittore a Milano.

Anche durante il conflitto, si prodigò per la salvezza di Milano: non abbandonò i milanesi, rimanendo e dormendo in città durante i bombardamenti. Scrisse persino al re d’Inghilterra chiedendo di sospendere gli attacchi aerei sulla città, e trasformò l’arcivescovado in un centro di raccolta di abiti e scarpe per soccorrere i più bisognosi.

È rimasto alla storia, inoltre, il suo tentativo di convincere Mussolini, il 25 aprile 1945, a consegnarsi agli alleati. Questi, però, mal consigliato dai suoi fedelissimi, invece di tornare in arcivescovado decise di partire verso il confine svizzero, dove trovò la morte.

Numerosi elementi emersi nell’operato di Schuster a Roma e a Milano, hanno trovato poi la piena condivisione della Chiesa romana negli anni del Concilio Vaticano II, al quale però il benedettino, morto il 30 agosto 1954, non poté partecipare.

Il cardinale fu inoltre legato a Paolo VI da un’amicizia molto più profonda di quanto sinora la documentazione ha rivelato: ne è segno la decisione presa da Montini di chiedere l’apertura della causa di beatificazione a breve distanza dalla sua morte.

Il processo giunse a termine nel 1996, anno in cui il monaco di san Paolo fu elevato agli onori degli altari nel Duomo di Milano, alla presenza di migliaia di fedeli che accolsero l’evento con vera gioia, segno della devozione e dell’affettuoso ricordo che egli ha lasciato nel cuore dei milanesi e di chi l’ha conosciuto.

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ZENIT Staff

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