Il Regno di Gesù non è "politico" ma relativo alla Verità e all'Amore

Benedetto XVI concelebra la solennità di Cristo Re assieme ai nuovi cardinali

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di Luca Marcolivio

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 25 novembre 2012 (ZENIT.org) – Nel giorno della solennità di Cristo Re, papa Benedetto XVI ha concelebrato la Santa Messa nella Basilica di San Pietro, con i sei nuovi cardinali, nominati all’ultimo concistoro, il secondo dall’inizio dell’anno.

L’omelia del Santo Padre è stata preceduta dall’indirizzo di omaggio del neocardinale James Michael Harvey, a nome di tutti i nuovi porporati. “Nell’accettare dalle Sue mani l’onore del Cardinalato – ha detto Harvey – ci impegniamo con piena volontà, sorretti dalla Grazia divina, ad essere operatori perseveranti e responsabili della Nuova Evangelizzazione, conformando innanzitutto le nostre vite nel modo più aderente al Vangelo, per così offrire al prossimo l’agognata amicizia con il Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo ed unico Salvatore del mondo, Rivelazione suprema della verità su Dio e sull’uomo”.

Nella liturgia odierna Cristo, in quanto Re dell’universo, ci invita a “rivolgere lo sguardo al futuro, o meglio in profondità, verso la meta ultima della storia, che sarà il regno definitivo ed eterno di Cristo”, ha detto il Papa all’inizio dell’omelia.

Il nucleo della regalità di Gesù è nella sua totale estraneità a qualunque potere politico o terreno. Eppure, come emerge dal Vangelo di oggi, viene presentato a Pilato come il “sedicente Re dei Giudei” e, per questo, arrestato, insultato e schernito fino alla condanna a morte. Ma il Regno di Cristo “non è di quaggiù” (Gv 18,36).

Ciononostante il ruolo di Gesù è stato frainteso dalla stessa gente entusiasmata dal miracolo della moltiplicazione dei pani che voleva “farlo re, per rovesciare il potere romano e stabilire così un nuovo regno politico, che sarebbe stato considerato come il regno di Dio tanto atteso”.

Quell’episodio prodigioso è, in un certo senso, “uno spartiacque nella sua attività”: da un lato la folla “non comprende” ed “è delusa”, dall’altro Gesù “si ritira sul monte da solo a pregare” (cfr. Gv 18,10-11). Da quel momento “il cammino verso la Croce si fa sempre più chiaro”.

Molti discepoli hanno travisato le parole del Maestro, pensando “ad un regno politico, instaurato anche con l’aiuto della forza”. Persino Pietro nel Getsemani sfodera la spada per difenderlo (cfr. Gv 18,10-11). Ma il regno di Dio “è un regno completamente diverso da quelli terreni” e Cristo, compiendo la volontà del Padre fino in fondo, intende instaurarlo “non con le armi e la violenza, ma con l’apparente debolezza dell’amore che dona la vita”.

Di fronte a Pilato che ostinatamente gli domanda: “dunque tu sei re?”, Gesù gli risponde in modo affermativo ma il suo regno non è riferito “al dominio, bensì alla verità”. Precisamente alla “verità di un Dio che è amore (cfr. 1Gv 4,8.16) e che vuole stabilire un regno di giustizia, di amore e di pace (cfr. Prefazio)”.

Anche nella Prima Lettura odierna (cfr. Dn 7,13-14) si allude all’arrivo di un messia il cui potere “non tramonta mai” e “non sarà mai distrutto, non è quello dei regni della terra che sorgono e cadono, ma è quello della verità e dell’amore”.

Nella Seconda Lettura (cfr. Ap 1,5-6) si fa riferimento ad un “regno fondato sulla relazione con Dio, con la verità, e non di un regno politico”. Con il suo sacrificio, Gesù ci rende “veri figli adottivi” di Dio, non affascinati dalla “logica mondana del potere” ma portatori nel mondo della “luce della verità e dell’amore di Dio”.

L’Apocalisse, inoltre, contiene un invito a “convertirsi sempre di nuovo al regno di Dio, alla signoria di Dio, della Verità, nella nostra vita”, analogamente alle parole “Venga il tuo regno” che recitiamo nel Padre Nostro.

Il Santo Padre ha poi ricordato ai nuovi cardinali l’“impegnativa responsabilità” di “dare testimonianza al regno di Dio, alla verità”, ovvero di “far emergere sempre la priorità di Dio e della sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze”.

Benedetto XVI ha quindi concluso invitando i porporati a farsi “imitatori di Gesù” che “davanti a Pilato, nella situazione umiliante descritta dal Vangelo, ha manifestato la sua gloria: quella di amare sino all’estremo, donando la propria vita per le persone amate”.

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ZENIT Staff

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