Il rapporto tra Chiesa e arte secondo i testi del Vaticano II

Mons. Daniel Estivill illustra il suo ultimo saggio, utile per chi svolge attività pastorale in questo campo

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ROMA, venerdì, 13 luglio 2012 (ZENIT.org) – La Chiesa e l’arte secondo il Concilio Ecumenico Vaticano II è il titolo del libro del sacerdote e docente Daniel Estivill, che come sottotitolo propone Note per un’ermeneutica della riforma nella continuità (edizioni LUP, 167 pp).

Il libro offre una guida alla lettura dei testi conciliari riguardanti il rapporto tra Chiesa e arte, in particolare il cap. VII della Costituzione Sacrosanctum Concilium.L’intenzione che emerge chiaramente è quella di sottolineare alcuni aspetti rilevanti e, nel contempo, aprire l’orizzonte ad ulteriori riflessioni, sempre nella linea ermeneutica suggerita da Benedetto XVI.

L’autore, che è docente alla Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana, ha scritto il libro pensando, in primo luogo, alla formazione di coloro che sono chiamati a svolgere attività pastorali, nelle quali l’arte religiosa può diventare un valido strumento di evangelizzazione, soprattutto in questo tempo chiamato giustamente la “civiltà dell’immagine”. Eppure, il testo si presenta anche alla portata di chi si interessa genericamente nell’argomento, e degli stessi artisti che desiderano conoscere il pensiero della Chiesa in materia.

Di seguito proponiamo l’intervista che il sacerdote argentino ha concesso a Zenit.

Come nasce l’idea di scrivere questo libro?

Mons. Estivill: Nasce con l’intenzione di dare una risposta all’appello del Papa Benedetto XVI, formulato in un discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005), nel quale il Pontefice chiede che i testi del Concilio Vaticano II vengano correttamente interpretati. A questo proposito, di fronte a un’ermeneutica della rottura e della discontinuità, il Santo Padre propone un’ermeneutica della riforma nella continuità.

Vediamo più discontinuità o continuità?

Mons. Estivill: Ogni riforma implica, in qualche modo, una discontinuità, ma quando si dice che il Concilio deve essere letto secondo un’ermeneutica della riforma, si sta ad indicare che si tratta di una discontinuità solo “apparente”, e cioè, che riguarda le cose contingenti. Invece, nel chiarire che tale ermeneutica deve essere anche “nella continuità” s’intende sottolineare che, nei principi di fondo, il Concilio mantiene e approfondisce una solida continuità rispetto alla natura intima e alla vera identità della Chiesa.

Il Papa si riferiva all’arte nel suo discorso?

Mons. Estivill: Il Santo Padre formulava nella suddetta allocuzione una serie di domande sul Concilio Vaticano II in genere, sulla sua applicazione e sui risultati ottenuti. Mi sono quindi permesso di estendere, per analogia, tali interrogativi al campo dell’arte, e così oso domandarmi: quale è stato il risultato del Concilio per quanto riguarda l’arte religiosa e sacra? È stato recepito nel modo giusto l’insegnamento conciliare su questa materia? Nella ricezione del Concilio, cosa ha dato buoni frutti; cosa ha causato confusione oppure ha prodotto risultati insufficienti o addirittura errati? Che cosa resta ancora da fare per riprendere l’orientamento del Concilio sull’arte nella Chiesa?

Ardua impresa, specialmente se si parla di “spirito conciliare”!

Mons. Estivill: Infatti, è importante distinguere tra ciò che effettivamente ha affermato il Concilio e ciò che è stato comunemente chiamato “spirito del Concilio”. Mi sono impegnato a rileggere i testi conciliari sul tema dell’arte sacra per scoprire con oggettività quello che realmente è stato proposto dal Concilio. Purtroppo, non poche volte, in nome del cosiddetto “spirito conciliare” si è andati oltre le intenzioni del Concilio, anzi più di una volta, in opposizione alle medesime intenzioni.E cosa ha scoperto?

Mons. Estivill: In primo luogo che i documenti del Concilio Vaticano II, che il Santo Padre ci ha invitato a rileggere, aprono strade di rinnovamento e dialogo con il mondo dell’arte, mostrando, nel contempo, una forte continuità con la visione che la Chiesa ha da sempre sostenuto in questo campo. Inoltre, nel leggere i testi conciliari, ho anche costatato che esistono, purtroppo, alcune riletture ispirate ad un’ermeneutica della rottura e della discontinuità, che hanno creato “falsi miti”.

Falsi miti! Interessante, può spiegarsi meglio con un esempio?

Mons. Estivill: Ad esempio, non è vero che il Concilio abbia dichiarato che “finalmente” le porte della Chiesa si erano aperte per accettare indiscriminatamente qualsiasi tipo di manifestazione dell’arte contemporanea. Per giustificare tale errata affermazione si cita spesso la Gaudium et Spes, dove si legge: “siano riconosciute dalla Chiesa anche le nuove tendenze artistiche adatte ai nostri tempi” (GS, 62), ma ci si dimentica che, proprio nello stesso numero, senza andare oltre, si aggiunge: “quando [le nuove tendenze] con un linguaggio adeguato e conforme alle esigenze liturgiche, innalzano lo spirito a Dio”. Chi conosce la storia dell’arte e la storia della Chiesa sa benissimo come la Chiesa in Occidente è stata da sempre aperta alle novità in materia d’arte e sa anche che essa, lungo i secoli, ha accolto tali novità nel suo seno nobilitandole ed esaltando attraverso di esse il genio umano. Eppure, è anche noto come di fronte alle novità la Chiesa ha saputo sempre selezionare quelle che sono compatibili con i principi della fede.

E cos’altro ha ritrovato?

Mons. Estivill: Una distinzione basilare è quella stabilita dalla Sacrosanctum Concilium (122) tra arte, arte religiosa e arte sacra, che non è una mera distinzione tematica ma concettuale. Lo stesso Papa Benedetto XVI, conferma la validità e l’importanza di una tale distinzione ed indica, nel contempo, quale caratteristica essenziale dell’arte sacra, la sua destinazione alla liturgia (cfr. Opera Omnia, 2010, vol. XI, p. 132).

Un altro aspetto degno di menzione è il rispetto della Chiesa per la libertà di espressione nell’arte: una libertà, però, “ordinata” al servizio liturgico; una libertà guidata e illuminata dal munus regendi dei pastori; una libertà soggetta a discernimento, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra arte e morale. Anche su questo punto si rivela chiarificante il pensiero teologico del Papa, che afferma: “La libertà dell’arte, che deve esserci anche nell’ambito più strettamente circoscritto dell’arte sacra, non coincide con l’arbitrarietà” (Opera Omnia, 2010, vol. XI, p. 132).

Per un’azione pastorale a partire dall’arte, serve una buona formazione?

Mons. Estivill: Questo è un altro aspetto sul quale insiste espressamente la Sacrosanctum Concilium (127 y 129), e ciò in risposta ad una realtà storica concreta: a partire dell’entrata in scena dell’Illuminismo si è scatenato un processo di crescente contrasto tra fede e ragione, tra cultura cattolica e tendenze artistiche di avanguardia. Perciò, dal momento che oggi si vive in un ambiente non impregnato dai valori della fede, si fa indispensabile una adeguata formazione teologica in relazione all’arte, sia per gli artisti, che devono conoscere i fondamenti del dogma e della storia della salvezza, sia anche per il clero, chiamato a dialogare con il mondo dell’arte. In questo senso, la formazione che auspica il Concilio dovrebbe essere orientata a proteggere ed approfondire la vera identità dell’arte sacra; un’identità fondata sulla base di una ricca tradizione iconografica, di una chiara opzione per il figurativo, di un sano equilibrio tra realismo visuale e trascendente sacralità, di un’umile vocazione di servizio alla divina liturgia.

Quindi tutti i sacerdoti dovrebbero essere esperti in arte?

Mons. Estivill: La Sacrosanctum Concilium (129) chiede che nel curriculum di formazione del clero si includa la storia e l’evoluzione dell’arte sacra, così come i sani principi sui quali devono fondarsi le opere d’arte a servizio della Chiesa. La finalità di una tale richiesta non è quella di fare dei sacerdoti degli “esperti in arte”, bensì quella di prepararli perché sappiano apprezzare e conservare le opere d’arte della Chiesa e perché possano orientare gli artisti nell’esecuzione delle loro opere. Non dobbiamo dimenticare che dietro i grandi capolavori dell’arte si nasconde quasi sempre un teologo, incaricato di stabilire il programma iconografico e di dare gli orientamenti di fondo, che insieme alle forme artistiche costituiscono, per così dire, l’anima dell’opera d’arte. A volte, anche se non sempre, il “teologo” può coincidere col committente. Ma nella realtà concreta, chi assume questi ruoli se non colui che esercita il ministero pastorale? Una tale responsabilità pastorale è di capitale importanza, perché l’arte nella Chiesa è un prezioso strumento per la trasmissione della fede e per la celebrazione del culto divino.

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ZENIT Staff

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