Il Rabbino di Haifa: un segno di speranza la mia presenza al Sinodo

Per la prima volta un rappresentante ebraico è presente all’assemblea

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CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 7 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Il Gran Rabbino di Haifa (Israele) ha confessato che il suo intervento, questo lunedì pomeriggio, al Sinodo dei Vescovi rappresenta un segno di speranza per la crescita delle buone relazioni tra cattolici ed ebrei.

Shear Yashuv Cohen è entrato insieme a Benedetto XVI nell’aula sinodale e ha partecipato seduto tra i Vescovi a tutta la sessione pomeridiana. Poi, dalla cattedra centrale, accanto al Papa, ha pronunciato le prime parole rivolte da un rappresentante ebraico al Sinodo dei Vescovi.

“Esiste una lunga, dura e dolorosa storia di relazioni tra il nostro popolo e la nostra fede e i leader e seguaci della Chiesa cattolica, una storia di sangue e lacrime”, ha affermato.

Il Rabbino è Copresidente della Commissione Bilaterale del Gran Rabbinato di Israele e della Santa Sede.

“Sono profondamente convinto che la mia presenza tra voi sia estremamente significativa – ha aggiunto – . Porta con sé un segno di speranza e un messaggio d’amore, convivenza e pace per la nostra generazione e per le generazioni future”.

Secondo quando ha spiegato l’Arcivescovo Nikola Eterović, Segretario generale del Sinodo dei Vescovi, la commissione organizzatrice ha ritenuto “logico” invitare all’assemblea sulla Parola di Dio un rappresentante del popolo ebraico. Benedetto XVI ha poi approvato questa decisione.

Quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, del resto, il Cardinale Joseph Ratzinger incontrava spesso rappresentanti ebraici.

Nel suo intervento al Sinodo il Rabbino, nato nel 1927 e figlio di David Cohen, un famoso Rabbino di Gerusalemme, ha illustrato ai Vescovi il ruolo centrale che la Bibbia ha nella vita e in particolare nella preghiera e nel culto degli ebrei.

Il Rabbino, che ha rivelato di essere stato introdotto dai suoi amici della Comunità di Sant’Egidio allo spirito di dialogo promosso da Giovanni Paolo II con l’incontro di Assisi del 1986, ha presentato alcuni momenti tipici del culto nella sinagoga.

“Preghiamo Dio utilizzando le sue stesse parole, come ci vengono riportate dalle Scritture”, ha affermato. “Allo stesso modo, lo lodiamo usando le sue stesse parole tratte dalla Bibbia”.

“Imploriamo la sua misericordia, ricordando che Egli l’ha promessa ai nostri antenati e a noi. Tutto il nostro servizio si basa su un’antica regola, come ci hanno riferito i nostri Rabbini e maestri: ‘Dategli ciò che è suo, perché voi e ciò che è vostro siete suoi’”.

“Crediamo che la preghiera sia il linguaggio dell’anima nella sua comunione con Dio. Crediamo sinceramente che la nostra anima sia sua, che Egli ce l’abbia donata”.

I Rabbini, quando parlano nei loro sermoni di temi come la santità della vita, la lotta al secolarismo, la promozione dei valori della fraternità, l’amore e la pace, cercano “sempre di basare le proprie parole su citazioni bibliche”, ha osservato.

“Il nostro punto di partenza si ritrova nei tesori della nostra tradizione religiosa, anche se parliamo a un mondo moderno con un linguaggio contemporaneo e affrontiamo questioni attuali”.

“E’ sorprendente constatare come le Sacre Scritture non perdano mai la loro vitalità e importanza per presentare questioni della nostra epoca – ha concluso il Rabbino –. E’ questo il miracolo della perpetua Parola di Dio”.

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ZENIT Staff

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