Il progetto di una teologia naturale induttiva per il dialogo con i non-credenti

All’Urbaniana una serie di tre lezioni del filosofo inglese Richard Swinburne

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di Gabriella Ianieri

ROMA, lunedì, 28 novembre 2011 (ZENIT.org) – L’ISA – Istituto di ricerca della non credenza e delle culture della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana – nei giorni 22-24 novembre 2011, ha invitato presso l’Auditorium Giovanni Paolo II, il filosofo analitico inglese Richard Swinburne, che ha esposto in tre lezioni il suo progetto di una Teologia Naturale Induttiva.

Partendo dalla convinzione che molte persone oggi sono interessate alla Teologia Naturale, perché hanno bisogno di argomenti atti a giustificare le proprie credenze in ambito religioso, la ricerca di Swinburne intende offrire una risposta alle domande sulla ragionevolezza della fede, in primis nei confronti di colore che negano l’esistenza di Dio.

La particolarità della proposta di Swinburne è senz’altro data dalla prospettiva attraverso la quale affronta la problematica: convinto che la ragione possa e debba farsi carico del tentativo di articolare con linguaggio scientifico le credenze religiose, Swinburne ricorre al metodo delle scienze sperimentali, esaminando la questione dell’esistenza di Dio come un’ipotesi scientifica e valutandola quindi con il metodo induttivo, metodo cioè che, date premesse evidenti, arriva a conclusioni probabili.

Nei tre incontri, il filosofo ha esposto i punti principali del suo progetto di Inductive Natural Theology: al primo momento, un’introduzione alla sua prospettiva e relativa metodologia, ha fatto seguito nella seconda giornata una lectio incentrata sul tema: “la semplicità di Dio e la complessità del multiverso”; il terzo momento, infine, è stato riservato al “problema del male”.

Particolarmente importante è stata la prima lecture, che ha introdotto alla peculiarità della sua prospettiva di pensiero: The Project of Inductive Natural Theology”. Swinburne parte dalla considerazione dei quattro criteri utilizzati dalle scienze particolari per verificare la fondatezza di un’ipotesi: 1) che renda il dato probabile; 2) che sia semplice; 3) che concordi con le conoscenze di sfondo, con quanto già conosciamo nelle aree vicine all’ipotesi (background knowledge); 4) che non esistano ipotesi “rivali”: altre teorie che possano giustificare il dato con pari o maggiore probabilità.

Swinburne sottopone il teismo al vaglio dei quattro criteri, mostrando che il criterio della semplicità (2) è implicitamente soddisfatto perché il teismo considera Dio come Persona essenzialmente onnipotente, onnisciente e libera. L’essenziale bontà divina inclina a pensare che Dio abbia predisposto le necessarie condizioni per la vita: l’universo fisico e le leggi della natura che lo governano e che sono capaci di condurre all’esistenza la realtà tutta (1).

Le ipotesi alternative possibili (esistenza di dèi deboli o di una pluralità di dèi) non sono caratterizzate da pari o più alto grado di semplicità; dunque non soddisfano il criterio n°4. Il criterio n°3 invece non è rilevante, data l’impossibilità di un background knowledge: l’ipotesi teista ha il pregio di comprendere tutto.

Nella seconda lezione Swinburne, ha invitato a penetrare più profondamente la teologia naturale induttiva e a familiarizzare con il suo linguaggio, che al tempo stesso presenta i toni particolari delle scienze sperimentali, ma conserva o riprende sfumature di concetti della metafisica ed anche della teologia rivelata.

Applicando il suo metodo, Swinburne conclude che la causalità fisica del mondo richiede una causalità ultimativa personale, eterna ed inestesa, che risiede nell’onnipotenza divina: Dio ha posto in essere e sostiene l’universo, donando le leggi naturali, atte a perfezionarlo e a condurre all’esistenza ogni forma di vita.

Evidentemente ogni altra teoria che si ferma ad una spiegazione meramente fisica dell’universo è in se stessa più complessa dell’ipotesi teista e non soddisfa il criterio n° 4. Il filosofo si sofferma in particolare sulla teoria del multiverso, secondo la quale molti sarebbero gli universi esistenti, ciascuno con differenti condizioni iniziali e quindi differente cammino evolutivo; data l’ipotesi è data anche la probabilità di trovare, nella molteplicità, un universo rispondente alle caratteristiche del nostro, così come lo conosciamo.

L’ipotesi per Swinburne non è valida perché mancano le ragioni minime per credere nell’esistenza di un multiverso e comunque rimarrebbe una teoria ben più complessa dell’ipotesi teista, considerando che non arriva ad una causalità ultimativa, ma si ferma alla constatazione (astratta) di infinite causalità inanimate per spiegare la molteplicità di universi fisici.

Inevitabilmente, nel dialogo con credenti e atei, uno dei temi spinosi da affrontare è il problema del male. Swinburne non si sottrae al compito, e nella terza lezione ha proposto la sua ricerca di una spiegazione alla posizione ‘non-interventista’ di Dio, se esiste, rispetto al male che la creatura commette o subisce: il Suo silenzio non gioca forse a favore della Sua inesistenza?

La sua tesi, che intende sottolineare come l’evidente presenza di mali non è di per sé evidenza dell’inesistenza di Dio, consiste nel sostenere che Dio non può darci “cose buone in quantità abbondante senza permettere molto male nel corso della vita”.

Al ciclo di lezioni, hanno partecipato numerosi studenti -anche di altre università-, e docenti, che hanno animato un vivace e animato dibattito alla fine di ogni lecture.

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ZENIT Staff

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