Il presidente dell'Unione armeni d'Italia: "Grati al Papa e alla sua sincerità"

Baykar Sivazliyan commenta le dure reazioni della Turchia e di Erdogan alle parole del Pontefice e spiega perché è così importante mantenere viva la memoria

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Esistono pagine della storia troppo a lungo trascurate e che spesso ricevono la dovuta attenzione solo in prossimità di tristi ricorrenze. È il caso del genocidio armeno di cui si commemora, questo 24 aprile, il centesimo anniversario. Fra il 1915 e il 1916, in piena Prima Guerra Mondiale, il governo dell’Impero Ottomano, allora guidato dai cosiddetti “Giovani Turchi”, si rese responsabile dello sterminio di oltre un milione e mezzo di armeni. Anche se manca ancora unanimità di vedute sul calcolo delle vittime, numerosi storici considerano quello armeno come “il primo vero genocidio del XX secolo”. Una posizione sostenuta ufficialmente da 21 Stati, fra cui Italia e Vaticano, ribadita anche da papa Francesco lo scorso 12 aprile con replica durissima nei giorni successivi del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Riguardo l’intera questione, ZENIT ha interpellato Baykar Sivazliyan, presidente dell’Unione armeni d’Italia.

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Perché il genocidio armeno si commemora proprio il 24 aprile?

Nella notte del 24 aprile 1915 la polizia ottomana arrestò la maggior parte degli intellettuali e dei capi politici e religiosi della comunità armena di Istanbul, punto di riferimento di tutti gli armeni residenti nei territori dell’Impero. Molti di loro non avrebbero visto la mattina dopo, incarcerati e assassinati senza sapere il perché. Questi armeni trucidati erano tutti cittadini ottomani. Per la prima volta nella storia uno Stato organizzava lo sterminio di una parte della propria popolazione. Fu l’inizio di un anno di massacri sistematici che portò alla morte di circa 1,5 milioni di armeni.

Cosa significano per voi le parole di Papa Francesco?

Come cittadini italiani di origine armena ci fa piacere sentire ancora una volta la solidarietà della Chiesa cattolica. Papa Francesco, persona giusta, ha avuto il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Questo ci rende tristemente felici perché i nostri morti finalmente cominciano ad avere una tomba. Noi non riusciremo a commemorare davvero la loro morte finché i responsabili non riconosceranno le proprie colpe. Il Pontefice si è rivolto non solo agli armeni, ma anche al cuore dei turchi. Come popolo credo che loro abbiano capito, ma come governo non ancora. Non bisogna poi dimenticare che il Papa ha parlato anche di riconciliazione e dialogo, ma Erdogan ha completamente trascurato questa parte del discorso. Speravamo che le parole di Francesco potessero essere un’occasione di apertura, ma purtroppo non è andata così. Nel popolo turco ormai troviamo parecchia gente che ha il coraggio di riconoscere ciò che è successo. Si tratta soprattutto di movimenti giovanili e della società civile con cui, come associazione, abbiamo anche dei rapporti. Noi speriamo che, prima o poi, questi soggetti spingeranno il proprio governo a riconoscere il tutto.

Secondo voi perché Bergoglio ha usato parole così nette e decise?

Perché non ha conosciuto il genocidio solo attraverso i libri, ma anche entrando direttamente in contatto con i discendenti di coloro che, all’epoca, emigrarono in Argentina per sfuggire alle persecuzioni. Attualmente circa 30mila armeni risiedono in Argentina. Questo grande uomo ha visto le lacrime di queste persone e ha potuto toccare con mano il nostro dramma. Ha avuto il coraggio di non pensare alla “realpolitik”, ma alla verità con la “V” maiuscola e per questo ha la nostra più grande gratitudine.

Lei ha parlato della comunità armena in Argentina, ma quanti sono attualmente gli armeni in Italia e nel mondo?

I cittadini italiani di origine armena sono circa 3mila, più altrettanti di passaggio per studio o lavoro. In Russia sono 2 milioni così come negli Stati Uniti. Un’altra comunità molto numerosa è quella francese, che conta più o meno 860mila unità. In totale, nel mondo, ci sono 10 milioni di armeni, ma di questi solo 3 milioni vivono nella Repubblica di Armenia, a testimonianza della diaspora seguita al genocidio.

Che effetto le hanno fatto le dichiarazioni di Erdogan che si è detto pronto a cacciare dalla Turchia i residenti armeni?

Non è la prima volta che Erdogan minaccia la comunità armena. Lo fa perché non ha argomentazioni serie da mettere sul tavolo. In Turchia risiedono 100mila armeni di cui 60mila sono cittadini turchi. Quindi come può cacciarli oggi nel 2015 con la legislazione internazionale e i diritti umani? Quasi tutti si trovano a Istanbul perché i loro antenati si rifugiarono lì dopo la fine della Prima Guerra Mondiale quando, in regime di armistizio, la città fu occupata dalle truppe alleate.

Secondo lei perché il dramma del popolo armeno non è stato ancora riconosciuto universalmente a livello internazionale?

Gli Stati che ancora non riconoscono il genocidio armeno lo fanno solo per motivi di opportunismo politico, per non compromettere i rapporti con la Turchia. Da parte loro i turchi hanno inoltre approfittato del fatto che l’Occidente a lungo si è voltato dall’altra parte. Ma già nel 1915 e nel 1916, il nunzio apostolico Angelo Maria Dolci inviava disperatamente lettere in Europa per spingere quei Paesi a fare qualcosa per questi cristiani portati al patibolo senza motivo.

Lei vede qualche analogia fra le persecuzioni contro gli armeni e quanto stanno subendo tutti i cristiani nei territori occupati dall’Isis?

Il Cristianesimo ha le sue radici in Oriente ed è giusto preoccuparsi di quanto sta accadendo. Il vero problema è che l’Isis attacca tutto ciò che vede diverso da sé: non solo i cristiani, ma anche altri musulmani e l’eredità di civiltà pre-cristiane. Dobbiamo far loro capire che questo mondo è di tutti e dobbiamo imparare tutti a convivere. Vedo in grosso pericolo la vita dei cristiani in Oriente anche per grandi errori dell’Occidente.

Questo triste centenario è un’occasione in più fare luce su una terribile pagina della storia troppo a lungo dimenticata?

Parlare di queste cose è l’unico antidoto perché non si ripetano. L’importanza della memoria è ancora più rilevante da questo punto di vista.

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Alessandro de Vecchi

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