Il posto della speranza nella spiritualità benedettina

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di Maurizio Tripi

ROMA, venerdì, 10 settembre 2010 (ZENIT.org).- Con la festa della Natività di Maria, si è aperto l’8 settembre a Roma, presso la comunità di Sant’Anselmo all’Aventino, il 6° Simposio internazionale del Communio Internationalis Benedictinarum (Cib).

Una settimana di lavori (dall’8 all’15 settembre) vedrà un gruppo internazionale di suore benedettine affrontare il tema della “Speranza nella Spiritualità Benedettina”.

Presenti numerose delegate provenienti da Europa, Africa e America. A supervisionare i lavori l’Abate Primate Notker Wolf, che presiederà una solenne celebrazione liturgica il 14 settembre alle 11.30 a Norcia, nella Basilica di S. Benedetto, durante il pellegrinaggio con la Comunità.

Per approfondire la spiritualità e il carisma del Cib, ZENIT ha intervistato la messicana suor Maricarmen Bracamontes di Torreòn.

Qual è l’importanza di questo 6° Simposio?

Suor Maricarmen: Questa riunione fa ricordare il testo di S. Gregorio, perché da una parte sono convinta che un solo e uno stesso cuore benedettino batte nel profondo della nostra universale diversità, dall’altra parte perché non ho alcun dubbio che noi stiamo attraversando un momento storico di oscurità e abbiamo bisogno di una luce, proprio come S. Benedetto, che brilli dall’alto e che ci dia una chiarezza nel mezzo della nebbia.

Ci siamo raccolte qui per condividere le nostre esperienze vive di speranza. Per me Rudolfo Cardenal descrive bene la Speranza quando dice che è il contenuto delle promesse di nostra madre e Dio Padre incarnata in Gesù Cristo, instancabilmente aperta al futuro, sostenuta e animata dalla Divina Ruah, che ricrea vita nella storia umana.

La promessa della speranza è dunque sempre viva ?

Suor Maricarmen: La domanda “chi andrà per noi?” posta a Isaia (Is 6,8) scaturisce dal cuore di Dio, un cuore che ha pietà di un popolo oppresso in ogni angolo del mondo, e quella domanda ancora una volta è un invito ai discepoli di Dio dovunque si trovino. Colui che ci chiama è “misericordioso e pietoso, fermo nell’amore e di fedeltà” (Es 34,6). Dio ci ha detto: “Anche se i monti si spostassero e i colli fossero rimossi, il mio amore non si allontanerà da te” (Is 54,10). Quando ci rendiamo conto che siamo partecipi della misericordia di Dio nella storia dell’umanità riceviamo la forza che solo la bontà divina ci può dare. E infine, perché gli strumenti delle buone opere si concludono con l’invito a “mai disperare della misericordia di Dio” (RB 4,74)

Possiamo quindi parlare di una riflessione in una prospettiva olistico-relazionale?

Suor Maricarmen: La via benedettina conduce a un processo di integrazione che abbraccia le varie dimensioni della coscienza umana: cognitiva (la mente), affettiva (il cuore), etica, morale (la volontà e tutte le sue potenzialità); religiosa (l’anima). Questa integrazione ci rende possibile amare in un modo unificato ed è la condizione per avanzare sulla via della conversione. “L’officina dove dobbiamo lavorare molto e fedelmente in tutte queste opere è il recinto del monastero e la stabilità nella comunità” (RB 4,78).

La dinamica monastica incoraggia i processi di integrazione in coloro che vivono nel “monastero”, che è il luogo dove noi chiediamo a Dio con le più insistenti preghiere di portare a compimento il lavoro divino sulle nostre vite: Che tutti siano uno. Se perseveriamo, cercando di vivere nella “conversatio”, l’esperienza dell’amore incondizionato di Dio gradualmente integra tutte le dimensioni del nostro essere, e così diveniamo unificati in noi e in mezzo alla diversità e pluralità che ci caratterizza. Il risultato di tutto ciò è che viviamo con trasparenza e coerenza, che non separiamo i nostri giudizi dai nostri sentimenti, o la nostra condotta dal nostro credere. In questo modo la nostra integrità e responsabilità sociale e personale non ci permetterà di “dire una cosa e farne un’altra” o stabilirci in una vita di contraddizioni e incoerenze.

La Chiesa affronta attualmente dei momenti difficili. Reclama la Speranza?

Suor Maricarmen: Ovviamente. Mi sembra che in alcuni settori della Chiesa si sia scivolati indietro nel dialogo con i segni dei tempo che fu tanto incoraggiato dal Concilio Vaticano II. Quei segni hanno rivelato che per secoli, sia nella società che nella Chiesa, gli sforzi furono fatti per contenere la diversità e la pluralità così caratteristiche dell’umanità. Oggi molti gruppi umani, con diverse visioni della realtà, stanno venendo alla ribalta e chiedono di essere riconosciuti, rispettati e integrati. I nuovi metodi di comprensione e di scoperta dell’umanità rendono sorpassati i vecchi sistemi di relazione basati sul dominio, la sottomissione e l’emarginazione. Quei sistemi del passato consideravano alcuni esseri umani superiori agli altri basandosi sulla razza, il genere, la classe sociale, l’età, l’ideologia, la religione ecc. Di fronte a una più chiara consapevolezza della dignità comune di tutti gli esseri umani, l’assenza di dialogo fra coloro che sono aperti ai segni dei tempi e quelli che continuano ad aderire a visioni del passato e a chiudere le loro menti e il loro cuore al cambiamento storico che stiamo vivendo reclama la speranza.

Da una prospettiva di fede, siamo consapevoli e convinti che tutta l’umanità, nelle sue differenze, sia stata creata con uguale dignità a immagine e somiglianza divina. Siamo figli di Dio e sorelle e fratelli fra di noi in Cristo, che è la nostra pace (Eph 2,14), e in lui ogni discriminazione ed emarginazione è superata (Gal. 3, 26-28).

Da questa consapevolezza udiamo la chiamata e ci apriamo con saggezza e maturità al nostro mondo col suo urgente bisogno di riconoscere la diversità, di promuovere l’integrazione e incoraggiare il dialogo e la partecipazione. Emergono dunque molte sfide.

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ZENIT Staff

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