Il Paraclito e l'Islam

La trasformazione del termine greco “paràcletos” in “periclytòs” operata dall’Islam segna una nota di demarcazione religiosa fondamentale

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Per i cristiani il Paraclito è lo Spirito santo. Basta leggere il vangelo di Giovanni che è molto chiaro. Egli parla del “Consolatore” (paràcletos in greco) e promette di inviarlo dopo la sua ascesa al cielo: «Ma il Consolatore, lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26) ed inoltre: «Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore (paràcletos); ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future» (Gv 16,7-13).

I cristiani hanno interpretato e creduto fin dall’inizio, senza ombra di dubbio, che queste espressioni ed altre contenute nei vangeli si riferiscono al dono dello Spirito che dà origine alla Chiesa. In ambito islamico invece la promessa di Gesù sarebbe rivolta ad annunciare la venuta di Maometto. Che esistesse questa interpretazione, evidentemente, si sapeva e non da oggi, ma era considerata una questione di disputa tra esperti. Attualmente si va diffondendo, insieme ad una più puntuale informazione sull’Islàm e alla lettura diretta del Corano, ed è sostenuta nell’insegnamento delle scuole coraniche e nella propaganda mussulmana, attivata soprattutto da ex-cristiani.

Non sembri fuori luogo, pertanto farne oggetto di riflessione. La deviazione interpretativa di questi testi è suffragata da una trasformazione del termine greco paràcletos, in periclytòs. Questo secondo vocabolo significa “esaltatissimo”, “molto lodato” e sarebbe tradotto in arabo con il vocabolo ahmad, il nome di Mu-hamad, Maometto in italiano. Ciò è affermato nel Corano nella Sura 61 al versetto 6, dove Dio rimprovera gli Israeliti perché non hanno creduto a Gesù figlio di Maria quando disse: «Io sono inviato a voi da Dio come confermatore della Torà e come annunziatore di un Inviato, di nome Ahmad, che verrà dopo di me»[1].

La trasformazione del vocabolo da paràcletos a periclytòs si trova in un tardino Vangelo apocrifo detto di Barnaba. Nelle discussioni con i cristiani i musulmani ritengono che paràcletos sarebbe una lezione manipolata, come del resto essi pensano che sia manipolata tanta parte del vangelo[2]. Questa interpretazione è divulgata nel catechismo islamico in lingua italiana[3].

Questa operazione religiosa culturale rientra nell’ottica della affermazione radicale e intransigente del monoteismo assoluto e nel presupposto che i testi cristiani, come quelli ebraici sono sottoposti all’unica e legittima e veridica interpretazione che parta dalla ultimitività della rivelazione coranica, nella quale si trova la spiegazione e il compimento delle parole che Dio ha affidato ai profeti che l’hanno preceduta. Questa interpretazione sembra trovare qualche accoglienza in ambito cristiano, tra persone molto, troppo, disponibili a ciò che appare nuovo e inedito.

La concezione che l’Islàm ha del Cristianesimo è quella di una religione provvisoria destinata a preparare la definitiva religione rivelata da Dio per mezza dell’ultimo profeta. Il processo storico di sviluppo della Rivelazione fino alla pienezza dei tempi che ha il fondamento, per i cristiani, all’interno della storia della salvezza narrata nel primo e nel secondo Testamento all’interno dell’unica rivelazione biblica che si apre con Mosè e si chiude con gli Apostoli di Gesù, è stata allargata dalla geniale fantasia mistica di Muhammad alla religione islamica con evidente decadimento delle religioni precedenti. La teologia cristiana della sostituzione operata nei confronti di Israele si riversa come sostituzione islamica nei confronti del Cristianesimo.

I cristiani europei sono chiamati oggi ad interrogarsi se sono disposti a considerarsi i precursori dei musulmani e la porta d’ingresso della loro fede. Queste osservazioni impongono un dialogo serio e senza reticenze tra cristiani e mussulmani, e non intendono escludere che vi sia un disegno di salvezza per coloro che appartengono alla famiglia di Abramo attraverso il figlio Ismaele e certamente oggetto di un disegno di Dio, clemente e misericordioso. Chiarendo ad essi la nostra fede fondata sulla rivelazione del suo Figlio Gesù Cristo nella pienezza dei tempi, non si esclude stima, amore, dialogo e collaborazione con i veri credenti, i fedeli dell’Islàm, come ha insegnato la Chiesa nella Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra aetate, sulle relazioni con le religioni non cristiane. Senza ipocrisie e infingimenti.

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Apparso in Una città per il dialogo. Bollettino di informazione dell’Associazione Centro Universitario Ecumenico “S. Martino” e del Centro Internazionale di Accoglienza della Gioventù Perugia, 74 (giugno 2004), pp. 1-2.  

Note:

[1] Vedi Il Corano, Utet, coll. Vlassici, a c. di M.M. Moreno 1967, p. 510, nota; cfr. anche altre edizioni del Corano, ad esempio Il Corano, a c. F. Peirone, Mondadori, Milano 1979, vol. 2°, p. 779, nota p. 782.

[2] Vedi L. Tescaroli, Cristiani e mussulmani. Dialogo o monologo?, Emi, Bologna 1981, p. 79; M. Borrmans, Orientamenti per un dialogo tra cristiani e mussulmani, Pont. Università Urbaniana, Roma 1988, p. 110; G. Dal Ferro, Nel segno di Abramo. Ebraismo e Islàm a confronto con il Cristianesimo, Ed. Messaggero, Padova 2002, p. 277.

[3] Abu Bakr Dyabar al Dyazari, La via del musulmano, a c. Unione studenti islamici, Centro culturale islamico di Milano e Lombardia e Ucoi, Milano 1990, p.38.

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ZENIT Staff

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