Papa a Yerevan - © PHOTO.VA - OSSERVATORE ROMANO

Il Papa prega a Yerevan: "L'ecumenismo testimonia che Cristo è vivo"

Prima tappa del viaggio di Bergoglio in Armenia l’ingresso nella Cattedrale Armena Apostolica con Karekin II. Ricorda i “momenti di prova” degli armeni e il sostegno ricevuto da Cristo

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“Considero un prezioso dono di Dio potermi avvicinare al santo altare dal quale rifulse la luce di Cristo in Armenia”. Un Papa Francesco visibilmente emozionato fa ingresso nella Cattedrale Armena Apostolica della Santa Etchmiadzin, a Yerevan, prima tappa del suo viaggio in Armenia.
Il Pontefice è entrato in processione insieme al Catholicos di Tutti gli Armeni, Sua Santità Karekin II, mentre il coro canta l’Hrashapar, inno dedicato a San Gregorio l’Illuminatore, fondatore della Chiesa Apostolica Armena e venerato come santo anche da cattolici ed ortodossi.
Nel suo discorso, dopo un momento di preghiera ecumenica, ha definito “segno di amore” più forte delle “parole”, l’invito che gli ha rivolto Karekin II, rappresentante supremo della Chiesa Apostolica Armena
“In questa solenne occasione – ha proseguito – rendo grazie al Signore per la luce della fede accesa nella vostra terra, fede che ha conferito all’Armenia la sua peculiare identità e l’ha resa messaggera di Cristo tra le Nazioni. Cristo è la vostra gloria, la vostra luce, il sole che vi ha illuminato e vi ha donato una nuova vita, che vi ha accompagnato e sostenuto, specialmente nei momenti di maggiore prova”.
Il pensiero corre al genocidio subito dal popolo armeno un secolo fa. Papa Bergoglio si recherà al Memoriale, insieme a Karekin II e a un gruppo di familiari di sopravvissuti all’eccidio, domani, 25 giugno.
“Mi inchino di fronte alla misericordia del Signore, che ha voluto che l’Armenia diventasse la prima Nazione, fin dall’anno 301, ad accogliere il Cristianesimo quale sua religione, in un tempo nel quale nell’impero romano ancora infuriavano le persecuzioni”, ricorda il Pontefice. Il quale riconosce agli armeni il merito di aver fatto della fede in Cristo non “un abito che si può indossare  o togliere a seconda delle circostanze o delle convenienze, ma una realtà costitutiva della sua stessa identità, un dono di enorme portata da accogliere con gioia e da custodire con impegno e fortezza, a costo della stessa vita”.
Di qui il ricordo della Lettera scritta da San Giovanni Paolo II, nel 2001, in occasione del 1700esimo anniversario del battesimo del popolo armeno, nel quale si legge che da quell’evento “non sarà più possibile da allora pensare che, tra le componenti di tale identità (del popolo armeno, ndr), non figuri la fede in Cristo, come costitutivo essenziale”.
Papa Francesco chiede dunque al Signore di benedire gli armeni “per questa luminosa testimonianza di fede, che dimostra in modo esemplare la potente efficacia e fecondità del Battesimo ricevuto più di millesettecento anni fa con il segno eloquente e santo del martirio, che è rimasto un elemento costante della storia del vostro popolo”.
Affronta poi il tema dell’ecumenismo, inevitabile in un contesto di questo tipo. Parla di quello tra Chiesa Cattolica e Chiesa Apostolica Armena come di un dialogo “sincero e fraterno, al fine di giungere alla piena condivisione della Mensa eucaristica”.
Il Vescovo di Roma elenca una serie di tappe significative che hanno contribuito all’avvicinamento tra le due Chiese. Ringrazia i predecessori di Karekin II, Loro Santità Vasken I e Karekin I, e i suoi predecessori, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
La “reciproca stima e fraterna collaborazione” tra cristiani, secondo il Papa, è quanto mai importante ora, in un mondo “purtroppo segnato da divisioni e conflitti, come pure da gravi forme di povertà materiale e spirituale, compreso lo sfruttamento delle persone, persino di bambini e anziani”.
Il Santo Padre ritiene che “lo spirito ecumenico acquista un valore esemplare anche al di fuori dei confini visibili della comunità ecclesiale, e rappresenta per tutti un forte richiamo a comporre le divergenze con il dialogo e la valorizzazione di quanto unisce”. Esso inoltre “impedisce la strumentalizzazione e manipolazione della fede, perché obbliga a riscoprirne le genuine radici, a comunicare, difendere e propagare la verità nel rispetto della dignità di ogni essere umano e con modalità dalle quali traspaia la presenza di quell’amore e di quella salvezza che si vuole diffondere”.
In questo modo – continua Francesco – si offre al mondo “una convincente testimonianza che Cristo è vivo e operante, capace di aprire sempre nuove vie di riconciliazione tra le nazioni, le civiltà e le religioni” e “si attesta e si rende credibile che Dio è amore e misericordia”. Ne deriva l’invito ai cristiani a rendere sempre più fruttuoso il cammino ecumenico, per mostrare “ad ogni persona di buona volontà e all’intera società una concreta via percorribile per armonizzare i conflitti che lacerano la vita civile e scavano divisioni difficili da sanare”.

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Federico Cenci

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