Il Papa dà lezione di giornalismo, ma soprattutto di rispetto per la libertà

Le recenti esternazioni del Papa hanno un valore nel metodo con cui sono avvenute, oltre che nel merito delle sue asserzioni

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Il tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali, come presentato dal Pontificio Consiglio pertinente, è: “Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’uomo”. “L’essere umano – è scritto nell’annunzio – si esprime soprattutto nella capacità di comunicare”. Nella comunicazione – si legge più avanti – possiamo tanto esprimere noi stessi, “quello in cui crediamo”, quanto “conoscere le persone con cui siamo chiamati a vivere”. 

Queste persone, in grande maggioranza, non credono in quello che crediamo noi. E allora la comunicazione reciproca, se non vuole decadere al livello del dialogo tra sordi, o peggio nel reciproco scambio di anatemi, di scomuniche e di offese,  deve necessariamente tendere ad una comune ricerca della verità.

Il Papa, da poco insediato sulla Cattedra di Vescovo di Roma, ha subito dimostrato che cosa intende per comunicazione, per dialogo. Lo ha fatto in due modi: rivolgendosi ad un mezzo di comunicazione di orientamento non cattolico, ed accettando la provocazione dialettica di un giornalista che si dichiara non credente.

Nel merito del suo discorso, Francesco ha compiuto un’affermazione inusuale per un Pontefice: “la verità è soggettiva” ha detto. Si tratta di una proposizione che suona  indubbiamente come rivoluzionaria, ed infatti  subito i fautori dell’autoreferenzialità della Chiesa si sono stracciati le vesti, gridando scandalizzati che il Pontefice aveva abdicato alla sua funzione di difensore della Verità rivelata.

A ben guardare, però, l’affermazione del Papa è di una semplicità disarmante: se è vero che la verità sta dentro ciascuno di noi, che l’uomo, in quanto munito della ragione, a lui data in quanto fatto ad immagine e somiglianza di Dio, se è vero che ciascuno di noi è per sua natura depositario di una sua parcella, di una piccola scintilla del vero, da ciò discende per tutti un dovere ed un diritto: il dovere di far conoscere agli altri il nostro contributo alla verità e il diritto di essere presi in considerazione.

E se la verità è soggettiva, ciò significa che la si raggiunge soltanto mediante la dialettica. Vi è dunque un  dovere, che consiste nel mettere in comune questa parte della verità che sta in noi, e vi è anche un diritto, quello  di essere ascoltati dagli altri, perché il nostro apporto possa contribuire alla comune ricerca e quindi  al bene di tutti.

Se la ragione è di ogni uomo, se la parte di verità apportata da ciascuno ha sempre una dignità ed una importanza, negarsi alla discussione, al dialogo, alla dialettica – tutte espressioni che hanno in comune la stessa radice greca “dià”, che designa il rapporto, la comunicazione, il transito delle idee da un uomo all’altro, allora non è morale, e non è degno di un cristiano, sottrarsi a questo confronto.

In un mondo in cui prospera il fanatismo, il particolarismo tendenzialmente intollerante ed esclusivo, la Chiesa si propone come soggetto del dialogo, ma anche come luogo – luogo perfino fisico, in certi casi – in cui  tale dialogo può avvenire.

Pensiamo al convegno che si svolge attualmente a Roma, per iniziativa della Comunità di Sant’Egidio,  tra le religioni, pensiamo all’incontro ad Assisi con il Papa nel giorno di San Francesco, anche questo occasione di dialogo ecumenico, e vedremo come la Chiesa non ha bisogno di rinnegare formalmente le proprie proposizione del passato: essa è in prima linea nel diffondere tutte le libertà, di coscienza, di pensiero, di parola, di stampa, nel mondo.

Pensiamo al fatto che la Chiesa da voce a chi non ce l’ha, permettendogli di dire ciò che vuole. Benvenuti dunque alla Giornata delle Comunicazioni sociali, uomini e donne di buona volontà di tutto il mondo!

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Alfonso Maria Bruno

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