Il padre: simbolo archetipo della poesia

Tre dediche poetiche alla figura paterna in occasione della “festa del papà”

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La “festa del papà” è una ricorrenza, celebrata in tutto il mondo, che ebbe origine ai primi del ‘900 negli USA, dove si festeggia nel mese di giugno. In Italia e nei paesi cattolici, la festa coincide invece con il 19 marzo, il giorno dedicato a S. Giuseppe, padre putativo di Gesù e simbolo di umiltà e dedizione.

Nella tradizione della festa sono quindi due presenti due aspetti: il padre umano e il padre divino, che appartengono alla storia dell’umanità e al sentimento vivo dei credenti. L’idea di un padre divino, pronto al dono generoso della vita e provvido nel fornire i beni necessari all’esistenza, era presente anche nelle società antiche. Con la nascita di Gesù, questa antica religiosità assume una valenza più profonda ed affine al sentire dell’uomo. “Da quando Gesù è venuto nel mondo – scriveva infatti, nella sua catechesi, Giovanni Paolo II –, la ricerca del volto di Dio Padre ha assunto una dimensione ancora più significativa. Nel suo insegnamento Gesù, fondandosi sulla propria esperienza di Figlio, ha confermato la concezione di Dio come padre, già delineata nell’Antico Testamento; anzi l’ha evidenziata costantemente, vissuta in modo intimo e ineffabile, e proposta come programma di vita per chi vuole ottenere la salvezza”. 

Il mondo moderno, nel quale l’approccio deterministico e scientifico ha spesso indebolito il senso del trascendente, ha invece sviluppato la riflessione sulla paternità sulla base della funzione simbolica della figura paterna.

Il padre è il mediatore del rapporto con la realtà. Il suo ruolo etico e culturale è quello di protettore dalle insidie del mondo; pone le regole necessarie alla convivenza; garantisce la sopravvivenza fisica e psicologica del figlio nell’universo minaccioso che lo attende dopo la separazione dall’alveo materno (naturalmente la funzione del simbolo non sempre coincide con l’immagine che esso assume nella vita concreta, dove oggi viviamo una crisi evidente del ruolo paterno, conseguenza anch’essa della deriva materialista che ha investito le società secolarizzate).

Insomma, per dirla con le parole di Carlo Cerracchio, psicoterapeuta e fondatore dell’Aipep (Associazione Italiana Psicologia e Psicoterapia Onlus), “Il padre è un grande archetipo che contiene tante possibilità di significato, utilizzate in base alla storia personale e al particolare contesto culturale e storico del vissuto”.

Queste brevi riflessioni preludono al tema poetico odierno, che riguarda appunto la “festa del papà”, e puntano ancora una volta a evidenziare come la poesia sia lo strumento per eccellenza per interpretare e portare alla luce ciò che sedimenta nel cuore dell’uomo, dandogli voce e possibilità di condivisione.

Una delle caratteristiche di questa rubrica è quella di mettere a confronto ispirazioni e stili poetici diversi che ruotano intorno a uno stesso tema. Un angolo visuale capace di dare conto della costante dialettica tra forma e contenuto, e della variegata creatività con cui i poeti rappresentano il loro mondo interiore.

Iniziamo allora con un classico della poesia. Una composizione poetica del premio Nobel Salvatore Quasimodo (1901-1968) che pone a suggello un verso tra i più noti della letteratura italiana contemporanea: “Oscuramente forte è la vita”. La poesia s’intitola Al padre ed è tratta dalla raccolta La terra impareggiabile (1958).

Il poeta si sofferma sulla tragedia del 28 dicembre 1908, quando Messina fu distrutta dal terremoto. In questo contesto drammatico, emerge la figura del padre: “La tua pazienza / triste, delicata, ci rubò la paura, / fu lezione di giorni uniti alla morte”. Il padre che, al compimento dei suoi novant’anni, viene nobilitato dal figlio ponendogli idealmente sul capo una corona regale, una mitria pontificale simbolo di altissima dignità, insieme all’omaggio più riverente conservato nella cultura isolana: “Baciamu li mani”.

AL PADRE

di Salvatore Quasimodo

Dove sull’acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da due giorni, è dicembre d’uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele dissecate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verità e lame
nei giochi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.
La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.
Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po’ più in là dell’odio e dell’invidia.
Quel rosso del tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d’aquila.
E ora nell’aquila dei tuoi novant’anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d’Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo – difficile affinità
di pensieri – per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
“Baciamu li mani”. Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.

*

La poesia che segue, intitolata Al padre celeste, è stata scritta dal Beato Giacomo Alberione (1884-1971) , che può ritenersi, per acclamazione popolare, il patrono della Rete, degli utenti di Internet e dei programmatori informatici. Ma soprattutto don Alberione fu l’uomo che dette nuovo impulso alla missione evangelizzatrice della Chiesa fondando la “Famiglia Paolina”, che svolge la funzione di faro di verità avvalendosi dei moderni mass media.

L’analogia dei titoli delle due composizioni poetiche – Al padre (Quasimodo) e Al Padre Celeste (Alberione) – offre un’immediata evidenza del concetto, accennato in apertura, relativo alla compresenza del padre umano e del padre divino. Possiamo inoltre osservare che anche don Alberione, al pari di Quasimodo, ricorre alla metafora della corona (la “corona dei giusti”) come culmine e compimento di un ciclo vitale.

AL PADRE CELESTE

del Beato Giacomo Alberione

Padre Celeste,
io credo alla tua sapienza ed al tuo amore.
Credo che mi hai creato per il Paradiso,
mi hai segnata la via per giungervi
e che là mi aspetti per il premio del servo fedele.
Dammi luce e mostrami questa via;
concedimi la forza di seguirla con generosa corrispondenza.
Te ne prego, per Gesù Cristo tuo Figlio e per Maria mia Regina e Madre,
perché in morte possa anch’io dire con S. Paolo:
“Ho percorsa la mia strada, e so che mi attende la corona dei giusti”.
Amen.

*

Ed ecco infine un componimento di Maria Teresa Greco, che ha il tono e l’andamento di una filastrocca per esprimere in versi pensieri e sentimenti che appartengono alla psicologia di un bambino.Dopo le due alte espressioni precedenti che racchiudono il senso del “padre umano”, interpretato dal poeta premio Nobel, e del “padre divino”, interpretato dal poeta Beato, questa filastrocca conclude la nostra ideale “trilogia” in versi dedicata alla figura paterna. Dimostrando, ancora una volta, la grande varietà di colori di cui si avvale la tavolozza della parola poetica.

AL MIO PAPÀ

di Maria Teresa Greco

Ci
ha detto la maestra, con molta serietà,
che quest’anno toccava a noi
scrivere una poesia per la festa del papà.
L’impresa non è facile, si sa, ci siam sentiti persi,
siamo più grandi, è vero,
ma non tanto da scrivere dei versi.
Non basta un po’ di fantasia per scrivere un augurio speciale,
quello che ciascuno vuol fare al suo papà ideale.
Potrei dire che è un tesoro,
che ha un cuore d’oro,
che è il più forte del mondo,
che il suo amore per me è profondo,
che non è mai stanco
anche se lavora tanto.
Potrei fare tante rime, anche meno scontate,
per dire quel che fa nelle sue lunghe giornate.
Però tutto questo è evidente, non c’è nulla di speciale.
Vorrei qualcosa di diverso, di veramente originale.
D’improvviso le parole escono dal cuore,
quanta emozione, quanta felicità, nel dire semplicemente:
ti voglio tanto bene, mio caro e buon papà!

***

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Massimo Nardi

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