Il nuovo Redemptoris Mater di Città del Capo

L’Arcivescovo Stephen Brislin racconta dell’apertura del Seminario nella Diocesi sudafricana e dell’urgenza della nuova evangelizzazione nel mondo

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di Junno Arocho e Salvatore Cernuzio

ROMA, venerdì, 16 novembre 2012 (ZENIT.org) – Dieci nuovi seminari aperti in un solo anno. È un record, ma soprattutto un “dono” che lo Spirito Santo ha concesso al Cammino Neocatecumenale. L’ultimo nato è il Redemptoris Mater di Città del Capo, voluto da mons. Stephen Brislin, arcivescovo della città sudafricana.

Proprio mercoledì scorso il presule ha firmato a Roma gli statuti durante una solenne celebrazione eucaristica nella cappella lituana delle Grotte della Basilica di San Pietro, ai piedi dell’effigie della Madonna della Porta dell’Aurora.

Nell’omelia mons. Brislin ha fatto riferimento agli scontri fra studenti e polizia nella Capitale, di cui è stato involontario testimone durante il tragitto fino al Vaticano. “Oggi purtroppo cresce un sentimento di rabbia, che coinvolge troppo spesso i giovani, e che anche in Sudafrica in questo momento stiamo sperimentando – ha dichiarato infatti l’arcivescovo -. Questa rabbia è sintomo di una sete di verità, del desiderio di dare un senso pieno alla vita. Noi sappiamo che l’unica risposta a questa sete è la persona di Gesù Cristo morto e risorto”.

Citando il Vangelo del giorno (Lc 17, 11-9), Brislin ha concluso: “Oggi noi siamo come  l’unico dei dieci lebbrosi guariti tornato da Gesù per ringraziarlo. Siamo venuti qui, infatti, per ringraziare il Signore del dono di questo Seminario che viene a portare una speranza alla nostra diocesi e a tutta l’Africa”. Al termine della celebrazione, ZENIT lo ha intervistato.

***

Eccellenza, il nuovo Redemptoris Mater nasce da una sua precisa volontà. Perché? Che valore aggiunto dà questo seminario alla diocesi di Cape Town?

Mons. Brislin: A Città del Capo ci sono comunità Neocatecumenali da più di 25 anni e credo che questo sia il logico passo successivo non solo per il Cammino ma anche per la crescita della stessa Diocesi.  

Inoltre la caratteristica principale dei Redemptoris Mater – e in questo è stata profetica l’intuizione dell’iniziatore Kiko Arguello – è di non presupporre la fede nei candidati al sacerdozio in quanto non sempre le famiglie di provenienza hanno potuto trasmettere la genuinità della fede. Quindi il metodo principale formativo è un’iniziazione cristiana dei candidati che va di pari passo a quella filosofico- teologica.

Questa modalità di iniziazione è fondamentalmente quella portata avanti dall’itinerario Neocatecumenale in  piccole comunità, in cui si vive la presenza reale di Cristo attraverso la parola, i sacramenti dell’eucaristia e della penitenza e l’amore all’altro. Tutto questo settimanalmente fino a vivere nella propria vita la presenza di Cristo Risorto.

Nel decreto costitutivo lei riporta alcune indicazioni del messaggio di Benedetto XVI al recente Sinodo su quella che è la grande sfida della Chiesa del nostro tempo: la nuova evangelizzazione…

Mons. Brislin: Purtroppo non ero al Sinodo, ma ho ricevuto ottimi “feedback” dai nostri delegati del Sud Africa. Credo che la nuova evangelizzazione confermi la natura missionaria della Chiesa che vuole portare Cristo alla gente e alle culture che non hanno mai sentito parlare di Lui. Nel mondo secolarizzato di oggi ci sono poi molte persone che conoscono Gesù Cristo e che forse erano cristiane, ma che ora si sono allontanate dalla fede, sono diventate apatiche, indifferenti e hanno perso interesse a condurre una vita cristiana. Bisogna quindi riaccendere la fede nei loro cuori; penso sia questo il cuore del messaggio del Papa: annunciare Cristo alle culture ormai secolarizzate, materialistiche e totalmente indifferenti alla presenza di Dio. Per realizzarlo, però, è necessario un aiuto.

Crede che il Redemptoris Mater possa essere un contributo in tal senso?

Mons. Brislin: Certamente. Penso che il nuovo seminario sia una grande spinta al movimento mondiale di portare la gente all’incontro con Cristo. I presbiteri provenienti dai vari paesi del mondo daranno, infatti, sostegno alla vita dell’Arcidiocesi di Cape Town, servendola come sacerdoti diocesani. Dopodiché, dopo un certo periodo, saranno inviati in diverse parti del mondo, in luoghi dove Cristo non è stato mai annunciato, o dove c’è bisogno di richiamare le persone alle loro radici cristiane.

Lei ha dichiarato tempo fa di voler formare un “nuovo clero” in Sud Africa. Che senso ha questa sua affermazione?

Mons. Brislin: Al momento viviamo in un mondo molto globalizzato e penso che sia importante capire in che modo siamo connessi gli uni agli altri. Il fatto che il seminario Redemptoris Mater sia internazionale è senz’altro una risorsa. È fondamentale che ci siano seminaristi di varie culture e nazioni, riuniti nello stesso luogo, formati a Città del Capo, che verranno poi inviati in diverse parti del mondo a svolgere il loro compito missionario. Quando dico, perciò, di voler formare un nuovo tipo di clero, mi riferisco proprio a quell’ardore, quello zelo di trovare nuovi modi di portare Cristo alle genti, particolarmente ai giovani. Gesù Cristo è il Signore, e attraverso la Sua passione, morte e risurrezione ci ha salvato. Il messaggio è sempre lo stesso, ma cambia il modo di comunicarlo di generazione in generazione, adeguandosi ai bisogni del tempo.

Al Sinodo è stato dedicato ampio spazio anche al ruolo dei movimenti. In che modo, secondo lei, possono servire l’evangelizzazione?

Mons. Brislin: Il Beato Giovanni Paolo II ha spiegato molto bene che il ruolo dell’evangelizzazione è un ruolo che spetta a TUTTI i battezzati. Forse nella Chiesa ci siamo un po’ convinti che l’evangelizzazione appartenga ai vescovi, ai preti e ai religiosi. Il punto, invece, è che tutti gli uomini sono chiamati ad evangelizzare nei diversi settori della vita: il lavoro, la famiglia, la cultura, l’economia e via dicendo. E il grande vantaggio dei movimenti è di motivare i laici a farsi portatori della buona notizia del Vangelo per poterlo trasmettere alla società.

Poco fa, ha firmato gli statuti del Seminario dentro la Basilica di San Pietro. Che valore ha questo per lei?

Mons. Brislin: Ieri ho avuto il grande privilegio di vedere le reliquie di San Pietro e, ancora una volta, mi sono davvero commosso perché mi sono sentito profondamente unito al primo Papa, al primo degli apostoli. Mi ha fatto riflettere sul fatto che quello che predichiamo noi, è lo stesso messaggio che predicavano San Pietro e gli Apostoli, lo stesso predicato negli ultimi 2000 anni.

Firmare a San Pietro significa, quindi, affermare che siamo parte di questa lunga tradizione della Chiesa Cattolica universale, riconoscendo che “questa è la fede che abbiamo, la Roccia sulla quale poggia la Chiesa”. Nonostante la sua fragilità, Cristo ha scelto Pietro per fondare la sua Chiesa. E oggi noi, nonostante le nostre debolezze, i nostri peccati, proseguiamo quest’opera, appoggiati alla Roccia donataci da Cristo e predicando lo stesso messaggio di salvezza.

Un’ultima domanda:  il documento post-Sinodale Africae Munus ha dedicato una lunga sezione alla nuova evangelizzazione. Vuole dare un incoraggiamento ai tanti africani che leggono ZENIT in questo Anno della Fede?

Mons. Brislin:. La fede è molto viva in Africa, e possiamo certamente gioire di questo. Il fatto, però, che la maggior parte degli Africani sia profondamente spirituale, non deve farci pensare di essere esenti dal secolarismo imperante di questo mondo. Al contrario, dobbiamo continuare ad avere l’ardore, l’energia e l’entusiasmo per proclamare il Vangelo in nuovi modi. È anche vero che l’Africa è un paese con molti problemi e difficoltà; guardiamo, però, a Cristo come unica via di speranza per il futuro. È Lui che può salvare il Paese: se Lo portiamo nei cuori della gente ed evangelizziamo davver
o i paesi e le nazioni, possiamo generare “giustizia, pace e riconciliazione”, i grandi doni, cioè, auspicati dall’Africae Munus.

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ZENIT Staff

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