Il mistero del sé e la chiusura ontologica

La ricerca di senso e le difese innaturali

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“Ser es llama que enciende por dentro lo que fuera es trieste” (F. Rielo).

Il progresso ha, senza dubbio, un effetto di emancipazione liberando, seppur parzialmente, l’uomo da secolari fatiche. Questo avanzamento, certamente positivo, ha avuto come effetto una sorta di impigrimento nella struttura psicologica la quale, in una illusoria e prometeica rappresentazione di autosufficienza, si è ulteriormente chiusa in se stessa o, al massimo, si è impigliata nella rete tortuosa di costruzioni tanto virtuali quanto lontane dalla realtà.

Sebbene indipendente e autonomo, l’uomo moderno “consapevolmente” predilige orientarsi verso la mera ed edonistica gratificazione istintuale non riuscendo più a controllare pienamente – in una sorta di contraddizione implicita ed intrinseca –  la sua struttura bio-psicologica e i suoi richiami tanto incessanti quanto attraenti. Nella letteratura junghiana questo tema è stato trattato in profondità. Un primario compito, non solo psicoanalitico ma anche antropologico, è quello di non assecondare gli impulsi ma di riscoprire l’altro lato della natura umana. Non è un passaggio indolore perché, nella scoperta della propria indole, si va a sacrificare una parte del proprio sé (Mysterium des Selbstopfers)[1].

Sebbene sia stata interpretata nei modi più disparati, la concezione analitica junghiana va a modellarsi come una strutturazione ontologica dei valori che diviene un punto di approdo per una personalità alla mercé delle imposizioni culturali e ideologiche e sotto il giogo dell’auto-dissoluzione:

“L’analisi, infatti, tende sì a liberare gli istinti animaleschi (animalische Triebe), ma non per lasciare che questi esercitino i loro sfrenati effetti, bensì per renderli disponibili a impieghi più elevati (höhere Verwendungen).[2]” 

Contrariamente a quanto detto, si è vieppiù cristallizzata, nella realtà sociale post-ideologica e secolarizzata, la figura del “puer aeternus[3], il quale non ha alcuna intenzione di fermarsi a riflettere sui propri atti considerando la necessaria introspezione alla stregua di un inutile esercizio retorico. Nel vortice della sua vitalità, travolge ogni relazione temporale e interpersonale ponendosi perennemente al centro ma, allo stesso tempo, isolandosi in un “paradiso” fittizio dove trionfano la deresponsabilizzazione e il cinismo. Si è operato, quindi, uno sbilanciamento dell’assiologia tradizionale con un enfasi edonistica sulla fruizione dei prodotti e la soddisfazione degli appetiti a discapito di una costruzione di senso, a cui è seguita una riformulazione dell’identità oramai in balìa  del consumo e dell’appagamento contingente.

Alla già operata frattura nella struttura identitaria si sono aggiunte le magnifiche insidie della società digitale e dell’estrema specializzazione tecnica, autoreferenziale e chiusa in mondi a sé stanti. Se il relativismo, certamente pluralista ma agnostico e scettico, ha ulteriormente velocizzato il processo di frammentazione ontologica, lo sviluppo delle neuroscienze e di una certa interpretazione cognitivista ha posto l’accento su un determinismo genetico e biologico[4] riducendo il primato della persona, della sua libertà e della sua volontà[5].

Da un punto di vista esperienziale ed esistenziale questa atmosfera culturale ha fatto sì che l’individuo ergesse di fronte a sé alcune barriere, sottilmente imposte e inconsciamente accettate, a “protezione” da qualsiasi interferenza metafisica che potesse renderlo cosciente della sua innaturale, irrazionale e infruttuosa distrazione. Tali meccanismi di difesa – come li ha esposti, in modo tanto logico quanto preciso, Fernando Rielo – sono di diverso ordine:

razionale: nel momento in cui si “elude la responsabilità che comporta la negazione di Dio per alleviare  così la frustrazione esistenziale che ne deriva[6];

sostitutivo: quando si “sostituisce Dio con un’altra realtà nella quale si cerca la compensazione di fronte al vuoto prodotto dal tentativo di allontanare la presenza dell’Assoluto[7];

repressivo: laddove “si tenta di espellere dall’interiorità ogni ricordo, sentimento, pensiero o tendenza verso[8] l’Assoluto;

reattivo: dal momento che “si realizzano atti contrari ai sentimenti di insicurezza, solitudine,  colpevolezza, infelicità, ribellione, ecc. causati dalla negazione di Dio[9];

evasivo: allorquando “si tenta di fuggire dalla situazione di angoscia e di solitudine  –  prodotta dalla negazione dell’Assoluto e da ciò che ne consegue – rinunciando alla coscienza della responsabilità[10];

isolativo: poiché “la persona tenta di negare e separarsi dall’Assoluto, generalmente per motivi dolorosi o traumatici[11];          

proiettivo: nella situazione in cui “si attribuisce agli altri ciò che accade a noi stessi e che ci appare intollerabile[12];

convenzional-imitativo: quando “si pensa e si fa ciò che fanno e pensano gli altri”[13];

universalistico: ove “si eleva a universale un caso particolare.”[14]

Questi passaggi dimostrano, da un punto di vista fenomenologico, quanto tale deliberata chiusura ontologica alla trascendenza vada a ridurre la naturale predisposizione ermeneutica, intesa come interpretazione della propria esperienza personale: mettendola certamente al riparo da una dolorosa auto-analisi ma allo stesso tempo impedendo una ricerca di significato e umiliando un percorso intenzionale di un orientamento ai valori – seppur graduale, faticoso ed impegnativo. In tale artificiale irrigidimento, l’azione è condannata a un arrendevole “movimento ondivago”[15] nel silenzio amaro e desolante dell’ignavia e del disinteresse[16]:

Inversamente, l’esperienza e la riflessione dimostrano anche che impedendo all’uomo di fermarsi per compiacersi in un equilibrio semplicemente umano, individuale o sociale, l’infusione del “soprannaturale” vi introduce un principio di nuovo squilibrio che dà origine alla sua nobiltà superiore, ma anche al suo tormento.[17] 

*

NOTE

[1] “Only through th mystery of self-sacrifice can a man find himself anew. It is a genuine old wisdom that comes to light again in psychoanalytic treatment, and it is especially curious that this kind of psychic education should prove necessary in the heyday of our culture. In more than one respect it may be compared with the Socratic method, though it must be said that psychoanalysis penetrates to far greater depths.” C.G. Jung, Two Essays on Analytical Psychology, Routledge, London 1999, p. 265.

[2] E. De Caro, L’antropologia di Carl Gustav Jung. Saggio interpretativo, EDUCatt, Milano 2013, p. 39

[3] Si legga J. Hillman, Puer Aeternus, Adelphi, Milano 1999.

[4] Si veda P. Strata, La strana coppia. Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze, Carrocci, Roma 2014.

[5] Si legga M. Serri, “La filosofia non ci sta: la libertà umana è un dato di fatto”, in La Stampa, 10/10/2014.

[6] F. Rielo, Concezione mistica dell’antropologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2014, p. 90.

[7] Ibid, p. 91.

[8] Ibid, p. 92.

[9] Ibid, p. 92.

[10] Ibid, p. 93.

[11] Ibid, p. 94.

[1
2]
Ibid, p. 94

[13] Ibid, pp. 94-95.

[14] Ibid, p. 95.

[15] “Si ha l’impressione di un movimento ondivago: la riflessione filosofica mentre, da una parte, è riuscita a immettersi sulla strada che la rende sempre più vicina all’esistenza umana e alle sue forme espressive, dall’altra, tende a sviluppare considerazioni esistenziali, ermeneutiche o linguistiche che prescindono dalla questione radicale circa la verità della vita personale, dell’essere e di Dio. Di conseguenza, sono emersi nell’uomo contemporaneo, e non soltanto presso alcuni filosofi, atteggiamenti di diffusa sfiducia nei confronti delle grandi risorse conoscitive dell’essere umano. Con falsa modestia ci si accontenta di verità parziali e provvisorie, senza più tentare di porre domande radicali sul senso e sul fondamento ultimo della vita umana, personale e sociale. E venuta meno, insomma, la speranza di poter ricevere dalla filosofia risposte definitive a tali domande.”, Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, n. 5.

[16] “He lives in a continual sleepy daze, and that too is a typical adolescent characteristic: the sleepy, undisciplied, long-legged youth who merely hangs around, his mind wandering indiscriminately, so that sometimes one feels inclined to pour a bucket of cold water over his head.” M-L. von Franz, The Problem of the Puer Aeternus, Inner Ctiy Books, Toronto 2000, p. 9.

[17] H. De Lubac, Spirito e Libertà, Volume 13-Opera Omnia, Jaca Book, Milano 1980, p. 91. 

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Giovanni Patriarca

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