Il messaggio dell’Humanae vitae: aspetti teologico-dottrinali

Intervento del Card. Caffarra al Congresso internazionale sull’Enciclica

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ROMA, domenica, 5 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica la lezione magistrale pronunciata il 3 ottobre dal Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, nel corso del Congresso internazionale “Humanae vitae: attualità di un’Enciclica”, organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

* * *

L’Enciclica Humanae Vitae [HV] ha avuto in questi quarant’anni trascorsi dalla sua pubblicazione un destino singolare: ad una discussione di intensità sconosciuta per qualsiasi documento pontificio precedente è seguito un silenzio pressoché totale. Il percorso – dalla discussione al silenzio –  può essere sinteticamente narrato nel modo seguente.

Nel primo ventennio dopo la pubblicazione, la riflessione e/o la contestazione riguardava la praticabilità della norma morale insegnata da HV e l’autorevolezza dell’insegnamento. In tale contesto venne elaborato la teoria della gradualità della legge, progressivamente supportata dalle teorie etiche del consequenzialismo e del teleologismo. La discussione sull’HV si è progressivamente, e logicamente, approfondita fino all’elaborazione di teorie etiche generali dalle quali derivava un’interpretazione del testo, che negava l’incondizionatezza della norma ivi insegnata.

L’altro aspetto del dibattito che caratterizzò il primo ventennio era di carattere ecclesiologico. Riguardava la competenza del Magistero di insegnare con autorità norme morali che esso stesso dice essere di legge naturale. E anche riguardava il grado di autorevolezza con cui il Magistero insegna ciò che insegna in HV.

Questo approccio ad HV presupponeva comunque la verità di ciò che l’Enciclica prescriveva. Meglio: il bene che la norma difendeva era ritenuto vero bene. È precisamente a questo livello che nel secondo ventennio è avvenuta la “crisi dell’HV”. Mi spiego.

La materia del contendere non è più la praticabilità della norma insegnata [difficile, impossibile, comunque non ineccepibile], e/o l’obbligatorietà dell’assenso del credente alla medesima in ragione del soggetto docente. La materia del contendere è costituita dalla domanda circa la verità del bene che HV intende difendere. Cioè: è vero/è falso che la connessione fra capacità unitiva e capacità procreativa unite nella sessualità è un bene propriamente morale? Si passa dal pensare: “ciò che la Chiesa insegna non è praticabile o comunque non obbliga semper et pro semper“, al pensare: “ciò che la Chiesa insegna è falso”. La domanda sulla verità è il nodo problematico attuale.

La mia riflessione seguente parte da questa constatazione, da questo “capolinea” cui è giunto il percorso di questi quarant’anni. E cercherò di rispondere alle seguenti domande: come e perché si è giunti a questa radicalizzazione del confronto/scontro? In quale condizione si trova oggi [l’insegnamento di] HV?

1. Ragioni della radicalizzazione

La radicalizzazione del confronto con l’HV è uno dei molti aspetti del confronto che la proposta evangelica oggi vive con la post-modernità occidentale.

Esso non avviene più, almeno principalmente, sul piano della prassi: è ragionevole, è possibile praticare ciò che la proposta cristiana esige o proibisce.

Lo scontro avviene sul piano veritativo. Il cristianesimo non dice la verità circa il bene dell’uomo, poiché il discorso religioso come tale non ha rilevanza veritativa. Il cristianesimo, allo stesso modo di ogni altra proposta religiosa, fa parte ad uguale diritto del “super-market delle religioni”: ciascuno prende il prodotto secondo le sue preferenze, senza possibilità di una ragionevole argomentazione capace di giustificare la scelta in modo condivisibile. La proposta cristiana non ha, perché non può avere, possibilità di stringere amicizia colla ragione. La domanda: il cristianesimo è una religione vera? Ha lo stesso senso che la domanda: di che colore sono le sinfonie di Mozart? Verità e cristianesimo sono due categorie di genere essenzialmente diverso. L’uso della ragione, come facoltà del vero, non è da ritenersi conditio sine qua non di individuazione, comprensione e libera accoglienza del Dono divino.

Non voglio ora però procedere in una riflessione di carattere generale su questo tema che costituisce uno dei grandi temi e delle “grandi sfide” del Magistero di Benedetto XVI.

Vorrei piuttosto verificare come tutti i presupposti veritativi di carattere antropologico che sono alla base di HV siano stati progressivamente erosi. Questa erosione ha reso l’HV non impraticabile, ma impensabile; ne ha dimostrato la (supposta!) falsità.

Come è a voi noto, l’affermazione centrale di HV si fonda sulla (percezione della) presenza di un bene morale nel fatto che l’atto sessuale coniugale fertile sia al contempo unitivo e procreativo. La compresenza delle due capacità non è un mero dato di fatto, ma ha in se stessa una preziosità di carattere etico che esige di essere rispettata.

Questo atto di intelligenza si fonda su alcuni presupposti antropologici che devo solo telegraficamente richiamare.

Il primo. La persona umana è sostanzialmente una nella sua composizione di materia e spirito [«corpore et anima unus», dice il Concilio Vaticano II parlando dell’uomo] (cfr. Cost. past. Gaudium et spes 14,1, EV 1/1363). Pertanto il rapporto fra l’io-persona ed il corpo non è solo di proprietà [ho il mio corpo] e quindi di uso.

Il secondo. La dimensione biologica della sessualità umana è linguaggio della persona, dotato di un suo significato proprio, di una sua grammatica. Esistono gesti e comportamenti che nella loro dimensione fisica veicolano un senso spirituale. Se il bacio di Giuda ci sconvolge tanto profondamente, è perché il gesto del baciare ha un suo significato proprio: compierlo dandole un altro senso è avvertito come immorale e riprovevole.

Il terzo. La grammatica che regge il linguaggio della persona che è la sessualità, è la grammatica del dono di sé. Da ciò deriva che il rispetto di questa grammatica esige una profonda, intima integrazione fra eros e agape, fra pathos, eros e logos.

Ora, la mia convinzione è che tutti e tre questi presupposti sono stati nella post-modernità occidentale completamente erosi.

Il primo è stato demolito in una duplice direzione, affermando una natura senza libertà o una libertà senza una natura. È stato un processo molto complesso che ha visto e la progressiva riduzione della libertà a spontaneità e una visione della persona tendenzialmente materialista.

Il secondo è stato demolito dalla vittoria che l’etica utilitaristica ha ottenuto nell’Ethos occidentale. Essa nega l’esistenza di ragioni incondizionatamente e universalmente capaci di giustificare una scelta libera. La scelta libera è giustificabile solo “in relazione a…” []situazione storica, condizione personale …]. La conseguenza di questa vittoria è che nell’ambito dell’esercizio della sessualità tutto alla fine è diventato giustificabile, purché  sia liberamente voluto.

Il terzo presupposto appare ampiamente demolito nel vissuto attuale in cui pathos, logos, ethos sono ormai completamente separati. Ed è questo il nodo che l’etica contemporanea si dimostra sempre più incapace di sciogliere.

Concludo questo secondo punto. Esso ha sostenuto la seguente tesi: l’HV nella post-modernità è diventata ormai incomprensibile perché è diventata completamente impensabile.

2. Condizione attuale di HV

Ad una lettura più profonda di tutta la vicenda tuttavia risulta che l’insegnamento di HV è la risposta, è l’indicazione della via d’uscita da una sorta di prigione in cui l’uomo stava chiudendo se stesso. Parlare dunque di attualità dell’HV, della sua rilevanza profetica non è retorica. È ciò che  cercherò di mostrare in questo secondo punto della mia relazione.

Che l’u
omo oggi sia in pericolo nella sua propria umanità, è difficile negare. Ed allora mi chiedo: che cosa oggi mette in pericolo l’humanitas della persona come tale? La mia risposta è: l’avere sradicato l’esercizio della libertà dalla [consapevolezza della] verità circa l’uomo. Posso formulare questa stessa risposta nel modo seguente: è la negazione che esista una natura della persona come criterio valutativo delle scelte della nostra libertà.

Che questa posizione metta a rischio l’humanum di ogni persona risulta dalle seguenti considerazioni.

Se prendiamo in considerazione la produzione delle norme di cui necessità ogni società [ubi societas ibi jus], se partiamo dal presupposto della negazione della natura nel senso suddetto, si deve pensare che la condizione sufficiente per costituire tutte le norme è esclusivamente il consenso delle parti, che normalmente si manifesta attraverso la votazione.

Inoltre l’iter che porta al consenso, sempre all’interno di quella negazione, può essere pensato e realizzato solo come una controversia tra rivali. Nel senso che i partecipanti alla deliberazione pubblica non hanno alcun referente che li obblighi preventivamente alla discussione pubblica. La controversia sulle ragioni proprie di ciascuno o è risolta sulla base che tutti e ciascuno sono radicati in un verum circa l’uomo, che li fa oltrepassare se stessi verso un bene umano comune, oppure è risolta con l’imposizione del proprio punto di vista, e alla fine dei propri interessi. Come disse il Santo Padre Benedetto XVI all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 aprile 2008: «il bene comune che i diritti umani aiutano a raggiungere non si può realizzare semplicemente con l’applicazione di procedure corrette e neppure mediante un semplice equilibrio fra diritti contrastanti….. Quando vengono presentati semplicemente in termini di legalità, i diritti rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo».

La difesa della persona è affidata alla buona disposizione di chi esercita il potere [in tutti i sensi: anche il potere del “politically correct”], e viene tolta dalle coscienze la scriminante fra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, fra ciò che è prevaricazione morale dell’altro e riconoscimento dell’altro.

Possiamo prendere in considerazione anche la condizione della singola persona nel contesto della negazione di una sua natura.

È ancora pensabile la possibilità del male morale? Del male morale inteso come il modo di esercitare la propria libertà contro il bene di chi la esercita. Se infatti è la libertà stessa a decidere non di compiere il bene o il male, ma a stabilire che cosa è bene / che cosa è male; se attribuisco alla libertà il potere di determinare la verità delle sue scelte, parlare di male morale non ha senso. Il dramma della libertà – possibilità di negare colle proprie scelte ciò che si è affermato vero colla propria ragione – si trasforma in una farsa. Ciò che sembra essere esaltazione suprema della libertà è in realtà la sua degradazione a mero spontaneismo.

Quanto detto finora acquista un significato più profondo se pensiamo al potere tecnico di cui l’uomo è venuto in possesso in questi quarant’anni dalla pubblicazione di HV. Sradicare la libertà dalla verità, negare che esista una natura umana nel contesto di possibilità tecniche sempre più estese, rischia di consegnare l’humanum a prevaricazioni senza limiti. Affermare la relatività di ogni forma di umanità rischia di privare il potere tecnico di ogni criterio di giustizia.  Ciò che sto dicendo non significa che dobbiamo scegliere fra tecnica ed etica. Ma che non possiamo radicare la tecnica in un’etica senza verità. O – il che equivale – umiliare e degradare la ragione a una mera “ratio technica”. È una delle grandi sfide che il pontificato di Benedetto XVI sta lanciando al mondo: o si allargano gli spazi della ragione o l’uomo è in pericolo mortale.

Che cosa ha a che fare tutta questa riflessione, qualcuno potrebbe chiedersi, con l’HV? Essa mostra in quale condizione oggi si trova [l’insegnamento di] HV: quale è il suo permanente significato; il suo permanente significato profetico. HV cioè si trova cioè nella condizione delle “sentinelle della città umana”, della profezia.

Ho parlato di “natura della persona umana”. Secondo l’antropologia giudaico – cristiana, il corpo entra nella costituzione della persona. La persona umana è persona – corpo [persona corporea]. Ne deriva che lo statuto ontologico della persona appartiene anche al suo corpo. La coscienza di sé non è disincarnata: è la coscienza di sé come soggetto – corpo. Ho la coscienza che è lo stesso io che comprende un teorema di matematica, e che mangia. Così come l’altro è conosciuto e ri-conosciuto nel e mediante il suo corpo. È il corpo il linguaggio della persona.

Da questa visione della persona – corpo e del corpo – persona, che ovviamente meriterebbe ben altro approfondimento, deriva una conseguenza di importanza fondamentale. Il corpo umano, mio e dell’altro, non è mai riducibile completamente ad un «oggetto»: da studiare, da manipolare. Se dal punto di vista metodologico mettere fra parentesi la qualità propriamente umana del corpo può essere fruttuoso di risultati cognitivi, non possiamo trasformare una scelta metodologica in una scelta di contenuto.

L’altra conseguenza di non minore importanza riguarda la concezione della sessualità umana: del suo logos e del suo ethos. La sua ratio – il suo logos – consiste nel fatto che l’esercizio della sessualità è linguaggio della persona, e quindi espunge da sé ogni separazione fra biologia [del sesso] e relazionalità [della persona]. È l’unità di biologia e relazionalità che definisce la natura della sessualità umana; e la custodia di questa unità definisce l’ethos della sessualità umana.

La possibilità tecnica di separare nel versante della fertilità – scoperta della contraccezione chimica – fu chiaramente intuita da Paolo VI e come la negazione radicale del logos – ethos della sessualità umana e, soprattutto e come una “svolta epocale” nella costituzione del rapporto fra l’uomo e la tecnica. In questo sta il permanente valore profetico di quel documento. Vediamo le cose più in particolare.

Ho parlato di negazione radicale del logos – ethos della sessualità umana. La contraccezione chimica rendeva pensabile e praticabile un [supposto] vero atto di amore coniugale manipolando sostanzialmente la sua biologia. Veicolava nella coscienza dell’uomo e della donna l’idea che il vero amore era quello che unisce le persone dei coniugi, facendo un qualsiasi uso del proprio corpo a misura decisa dai due. Una “misura di uso” che ora la tecnica poteva stabilire.

Se l’atto di porre le condizioni del concepimento di una persona non entrava nella costituzione della libera relazionalità intra-coniugale, era solo questione di tempo per dedurre che lo stesso atto poteva prescinderne completamente: dieci anni dopo, esattamente, nacque la prima bambina per fecondazione artificiale. La separazione della biologia dalla relazionalità era completa, ed un fatto compiuto.

Ho parlato di svolta epocale nella costituzione del rapporto uomo – tecnica. Il concepimento di una nuova persona si trasforma da «mistero» degno di venerazione in «problema» da risolvere. Paolo VI intuì che questa trasformazione rischiava di consegnare l’humanum come tale ad un destino tecnologico; rischiava di mettere l’humanum a disposizione di un potere di fatto senza limiti. La persona umana era a rischio di perdere la sua assoluta indisponibilità; di perdere la sua non negoziabilità.

Ci siamo chiesti: in quale condizione versa oggi l’HV? Mi sento di rispondere: di drammatica attualità.

3. Conclusione

Come ogni profezia, anche HV è dotata e di una grande forza e di una grande fragilità.

La sua fragilità fu dovuta da
ll’impreparazione e dalla inadeguatezza del pensiero etico teologico a sostenerne l’insegnamento. La problematica avrebbe dovuto essere affrontata con un’antropologia adeguata, una vera e proprio teologia del corpo, un ripensamento personalista della categoria di legge naturale: di tutto questo difettava l’etica teologica del tempo.

Il grande Magistero di Giovanni Paolo II espresso nel ciclo di catechesi sull’amore umano, ha risposto a queste esigenze. Che ora il profondo Magistero di Benedetto XVI sull’agape e sul suo rapporto con l’eros ha ulteriormente approfondito. Ma di tutto questo parlerà il prof. Melina.

La forza della profezia di HV consiste precisamente nel suo mettere in guardia l’uomo da un potere che potrebbe devastarne la dignità; dal mettere la propria umanità “a disposizione” e di una libertà e di una deliberazione pubblica che non riconosce più l’esistenza di una verità circa l’uomo.

La forza di HV potrà mostrare la sua efficacia solo se uomini e donne non vorranno congedarsi dalla condizione drammatica in cui l’uomo si trova: poter negare colla sua scelta la verità circa se stesso affermata dalla ragione. E il “foglio di congedo” può essere o la negazione della libertà ridotta a spontaneità o la negazione della verità circa l’uomo.

Ed allora la sfida più urgente è quella educativa: aiutare le giovani generazioni a trascendere se stessi verso la verità. Cioè, ad essere veramente liberi e liberamente veri.

  

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ZENIT Staff

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