Il matrimonio, cammino di santità

Ciclo di conferenze del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II a Roma

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di María de la Torre

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 27 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Il matrimonio è un autentico cammino di santità, motivo per il quale il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia ha organizzato a partire da gennaio un ciclo di conferenze su “Profili di santità coniugale”.

In questo ciclo di conferenze verranno affrontati temi come la forza che viene dall’amore, la fedeltà all’amore o dimostrazioni d’amore, accompagnati da testimonianze di coppie in cammino verso la santità.

Il ciclo di conferenze è stato inaugurato il 13 gennaio sul tema “un cammino d’amore e di fede in coppia”, prendendo come esempio Raissa e Jacques Maritain, due giovani intellettuali convertiti che si sono conosciuti nel 1900 e da quel momento hanno iniziato una vita insieme, scoprendo la via della fede e con l’unico obiettivo di santificare il loro matrimonio.

La conversione della coppia Maritain non fu facile, come ha riconosciuto la coordinatrice del II ciclo, Ludmila Grygiel: “In generale mi sembra una regola che la conversione di un intellettuale sia più difficile di quella di un artigiano o di un agricoltore, perché il bagaglio culturale del mondo scientifico per spiegare e conoscere la realtà rende più complicato unirsi al semplice messaggio evangelico e accettare i misteri di Dio; dall’altro lato, il compito di un intellettuale onesto è cercare la verità”.

E’ ciò che hanno fatto Raissa e Jacques all’inizio dei loro studi, ma quando cercavano il senso della vita e la verità nella filosofia hanno corso il rischio di cadere nella disperazione, pensando anche di suicidarsi.

Ogni volta che iniziavano a studiare il pensiero di un filosofo cresceva la loro saggezza culturale. Alcune volte li assorbiva l’entusiasmo del discorso, che poco dopo diventava una sorta di oppio metafisico, come ricordava Raissa.

I Maritain decisero di battezzarsi solo dopo aver rinunciato all’idea di trovare la verità e la felicità intellettuale nella filosofia proposta all’epoca. Grazie alla lettura dei mistici, compresero che ciò che si sa di Dio è nulla rispetto a ciò che non si conosce di Lui.

La sete di verità dei Maritain venne saziata non dallo studio, ma dall’amore per la verità che dona la saggezza, l’amore perfetto che dona la libertà perfetta.

La Grygiel ha sottolineato che per i Maritain il momento del Battesimo, l’inizio della vita come cristiani, ha significato “iniziare a realizzare la loro vocazione alla santità”.

Raissa scrisse sul suo diario circa la conversione: “Ogni convertito sperimenta la caduta di Paolo sulla via di Damasco. Il convertito si separa dal mondo con un duro colpo che gli strappa il legame con se stesso e con gli altri. In un istante, nel momento di grazia, tutti i valori si inclinano verso di Lui”.

La professoressa Giulia Paola Di Nicola e suo marito, il professor Attilio Danese, hanno riferito la storia del cammino percorso da Raissa e Jacques Maritain verso Dio.

Dal canto suo, il Cardinale Georges Cottier, O.P., teologo di Giovanni Paolo II e dell’inizio del pontificato di Benedetto XVI, ha presieduto la conferenza apportando tutta la sua esperienza sul tema avendo conosciuto personalmente Jacques Maritain a Roma negli anni 1946-1952.

Il porporato ha trattato il tema della coppia nella crisi della famiglia che si vive attualmente. “Siamo di fronte a una grande crisi del matrimonio”, ha riconosciuto. “Di recente, l’idea che il matrimonio duri tutta la vita sembra una cosa quasi impossibile. L’amore di Jacques e Raissa è un’altra cosa. Fino all’ultimo momento continua ad essere lo stesso amore di quando avevano 18 anni, e questo sembra una mostruosità. Una persona si chiede: ‘Come posso essere sicuro che tra dieci anni avrò gli stessi sentimenti di ora?’”.

“Viviamo nel mondo del momento, dell’istante, nella provvisorietà, e questo sarebbe positivo per riflettere insieme sul sacramento in quanto tale. Dov’è la colonna che sostiene tutto se non c’è Dio?”, si è chiesto il Cardinale.

“Non bisogna dimenticare il tempo, che passa anche per il corpo che invecchia. Cambiamo anche da questo punto di vista. La ragazza che ho conosciuto a vent’anni non è la stessa a ottanta. Ci sono anche le malattie… ma il mondo attuale non vuole che vediamo questo. Tutti sono giovani, gente bella, senza malattie. E’ contrario all’esperienza umana quotidiana. Al momento della verità bisogna solo attraversare la strada per vedere che la realtà è un’altra. Questo accade perché c’è un materialismo di fondo che deturpa il tempo”.

“Se non esistono l’interiorità e la relazione con Dio accade questo. La gioventù e l’ossessione per il corpo vogliono essere allo stesso livello dell’aspetto spirituale. Se il corpo segna le regole del vivere, tutto cambia. A ciò si sommano le enormi difficoltà economiche che soffrono le famiglie, il problema lavorativo, la disoccupazione o anche il fatto che le coppie arrivano a casa stanchissime dopo il lavoro. Alla fine della giornata, ciascuno ha vissuto un’esperienza diversa e non è possibile metterla in comune perché la società non lo permette. Tutto questo lo paga la famiglia. Bisognerebbe riflettere sui condizionamenti sociali della vita in famiglia perché la gente è vittima di questa situazione”, ha concluso il porporato svizzero.

Di Nicola e Danese, come punto finale, hanno aggiunto che “il perdono è una questione fondamentale nella relazione di coppia. Se si ama si feconda, perché l’amore è fecondo. Due che si amano faranno sì che il loro amore passi a tutti coloro che li circondano”.

Sul fatto che Raissa Maritain abbia riconosciuto che alla morte del marito non conosceva tutto di lui, la professoressa Di Nicola ha affermato che “al giorno d’oggi si difende il fatto di dirsi tutto nella coppia. Vediamo giovani fidanzati che si chiamano milioni di volte per raccontarsi tutto, spiegarsi tutto”. “Darsi tutto è una cosa, dirsi tutto è un’altra”.

“E’ un campo delicato perché a volte stare solo con Dio può essere una fuga dalle proprie responsabilità e dall’altro. Allo stesso tempo, stare sempre insieme diventa una dipendenza, un non crescere. Il silenzio, a sua volta, non significa togliere qualcosa all’altro, ma venerarlo. Venerare il mistero che l’altro contiene e contemplarlo nella sua bellezza. Semplicemente ammirare il mistero contenuto nella sua anima. E non è fuori luogo proporre la validità del pudore, tanto disperso nella società attuale, fatta solo di esibizionismo. E’ il velo del pudore che in fondo manca nella nostra società, e ci aiuterebbe a scoprire con discrezione il mistero dell’altro”.

La seconda conferenza del ciclo avrà luogo il 3 marzo alle 17.00 su “Gianna Beretta Molla e Pietro Molla. La forza che viene dall’amore”.

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ZENIT Staff

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