Il martirio cristiano di un uomo comune

Commemorato a Carpi un padre di famiglia che perse la vita per salvare gli ebrei

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di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Questo venerdì, Festa di Maria, madre di Dio, il Vescovo Elio Tinti ha celebrato nella Cattedrale di Carpi la Santa Messa per la Giornata mondiale della Pace.

Organizzata dalle aggregazioni laicali della diocesi di Carpi, quest’anno è stata l’occasione per ricordare il Servo di Dio, Odoardo Focherini, nel 65° anniversario della morte.

Dopo la proiezione del film “Il vento bussa alla mia porta” e del documentario su Flossenburg, le iniziative sono proseguite con il ricordo di Edoardo Focherini, un autentico testimone di pace che ha dato la vita per salvarne altre.

Incarcerato e poi portato nei campi di concentramento per aver contribuito, insieme a don Dante Sala, a far uscire più di 100 ebrei dal confine italiano, Focherini morì il 27 dicembre 1944 a Hersbruck, sottocampo di Flossenburg, vicino a Norimberga.

Trentasette anni, padre di sette figli, Direttore dell’Azione Cattolica e amministratore de l’Avvenire d’Italia iniziò a interessarsi degli ebrei prima dell’8 settembre 1943 quando aiutò un gruppo di profughi giunti da Varsavia.

Salvò 105 ebrei dalla deportazione nazista. Fu preso mentre assisteva un ebreo malato e in seguito internato nel lager  di  Hersbruck dove morì.

É la storia della vita  breve e intensa di Odoardo Focherini, “Giusto tra le genti” e futuro “Beato”.

Odoardo  Focherini è un ‘martire’ la cui testimonianza cristiana è così ardente da travalicare il tempo passato ed essere ancora oggi un ‘esempio’ da imitare.

Visse in un  periodo storico tormentato, ma non si lasciò mai prendere dallo sconforto, sempre fiducioso ed ottimista.

Attivissimo nel mondo cattolico a 27 anni era già Presidente dell’Azione Cattolica (ACI). Durante la persecuzione fascista del 1933, Focherini corse tra una sede e l’altra dell’ACI per nascondere le bandiere, trafugare le carte e mettere al sicuro registri e verbali delle riunioni.

Nel 1939 alla vigilia della guerra, Focherini divenne il direttore amministrativo de l’Avvenire d’Italia. Il giornale era allora diretto da Raimondo Manzini, autore di accese polemiche contro il fascismo, e Focherini lo affiancò coraggiosamente.

I fascisti bolognesi, il giorno dell’invasione tedesca del Belgio e dell’Olanda, avevano bruciato e sequestrato l’Avvenire d’Italia perché colpevole di aver pubblicato i telegrammi di Pio XII ai governi ed ai popoli colpiti da questa sventura.   

Il gerarca fascista Roberto Farinacci aveva definito l’Avvenire come un ‘pretesco covo di vipere’ perché aveva respinto la politica razziale.

Quando i nazisti occuparono l’Italia, l’Avvenire chiuse e di fronte ai tedeschi che ne chiedevano la riapertura Focherini sostenne che le scorte di carta erano esaurite. Non era vero, ma in questo modo l’Avvenire non si mise mai al servizio dell’occupante nazista.

Il 26 settembre del 1943 Bologna subì il primo grosso bombardamento e la sede de l’Avvenire venne distrutta. Da allora Focherini si mise a capo dell’organizzazione per salvare gli ebrei ed i perseguitati.

Focherini aveva assunto a l’Avvenire d’Italia il giornalista ebreo Giacomo Lampronti, licenziato a causa delle leggi razziali e già nel 1942, su richiesta di Raimondo Manzini, a cui il Cardinale di Genova Pietro Boetto aveva inviato alcuni ebrei provenienti dalla Polonia, si prodigò per metterli al sicuro dalla persecuzione su un treno della Croce Rossa Internazionale.

Quella che era stata un’attività sporadica divenne dall’ottobre del 1943 la principale occupazione di Focherini.

Con l’inasprimento delle leggi antigiudaiche e l’inizio delle deportazioni razziali, Odoardo Focherini con don Dante Sala, la signora Ferrarini delle Concerie Donati di Modena e pochi altri, organizzò una rete efficace per l’espatrio verso la Svizzera di oltre un centinaio di ebrei.

Odoardo era l’anima dell’organizzazione. Contattava le famiglie, si procurava i documenti dalle sinagoghe, cercava i finanziamenti,  forniva i documenti falsi: un amico compiacente gli aveva procurato delle carte di identità che egli abilmente compilava con i nomi di comuni del sud già in mano agli alleati (Carpi diventava così Capri).

Una volta organizzato un gruppetto lo affidava a don Dante Sala che li accompagnava fino a Cernobbio, dove grazie alla complicità di due coraggiosi cattolici che stazionavano sul confine li facevano passare in Svizzera.

Nonostante  l’assoluta segretezza delle operazioni, i nazisti ricevettero alcune lettere anonime e arrestarono don Dante Sala, il quale scampò alla pena per insufficienza di prove.

L’11 marzo 1944 Focherini fu preso all’ospedale mentre si prodigava per un ebreo malato. Fu trasferito al Comando delle SS di Bologna e da qui alle carceri di San Giovanni in Monte.

Durante una visita il cognato Bruno Marchesi gli disse: “sta attento, forse ti stai esponendo troppo, non pensi ai tuoi figli?”. E Odoardo rispose: “Se tu avessi visto, come ho visto io in questo carcere, cosa fanno patire agli ebrei, non rimpiangeresti se non di aver fatto abbastanza per loro, se non di averne salvati un numero maggiore”.

Trasferito al campo di concentramento di Gries (Bolzano), vi rimase fino al 5 settembre 1944. Segregato nel lager di Flossenburg, Focherini fu trasferito nel campo di lavoro di Hersbruck.

Un luogo orrendo che sembrava l’anticamera dell’inferno. Si lavorava dalle 3 e mezza di mattina fino a sera. Chi non resisteva veniva segnato con una K sulla fronte e inviato immediatamente nei forni crematori.

Ferito ad una gamba e mai curato Focherini contrasse la setticemia e morì.  Prima però riuscì a dettare all’amico Olivelli le due ultime lettere ai familiari. Olivelli le scrisse in tedesco per non avere problemi con la censura del campo e Odoardo le siglò con la sua firma. Sono I’ultima testimonianza diretta che Odoardo era ancora vivo.

Ecco le parole affidate all’amico di prigionia: “I miei sette figli…vorrei  vederli prima di morire… tuttavia, accetta, o Signore, anche questo sacrificio e custodiscili tu, insieme a mia moglie, ai mie genitori, a tutti i miei cari. Dichiaro di morire nella più pura fede cattolica apostolica romana e nella piena sottomissione alla volontà di Dio, offrendo la mia vita in olocausto per la mia Diocesi, per l’Azione Cattolica, per il Papa e per il ritorno della pace nel mondo. Vi prego di riferire a mia moglie che le sono sempre rimasto fedele, l’ho sempre pensata, e sempre intensamente amata”.

La notizia della morte arrivò a Carpi nel giugno del 1945 e da quel momento Odoardo Focherini viene ricordato come una figura eccezionale.

Don Claudio Pontiroli  ha raccontato che sono state ritrovate più di 300 lettere di condoglianze, tra cui 62 in cui si parla di Odoardo come di un ‘martire della carità’: “Per lui sono state fatte celebrazioni come per nessun’altra vittima della guerra”.

Olga Focherini, una delle figlie di Odoardo ha così ricordato suo padre: “Per trent’anni ho patito l’idea del padre importante, dell’eroe inimitabile, un padre grande e lontano,  fino  a quando mia madre mi ha consegnato le sue lettere ed è allora che mi sono riappropriata di un padre normale”.

“Dotato di una bella intelligenza, coraggioso ma normale. La sua grandezza sta nel fatto che di fronte al male che stava distruggendo la società, lui non si è voltato dall’altra parte come hanno fatto in tanti.  Ha guardato la sofferenza dei perseguitati ed ha creduto che valesse la pena rischiare la propria vita per aiutarli, allo stesso modo in cui avrebbe aiutato i suoi figli e i suoi  familiari”.

L’eroismo di un uomo normale confermato anche dalla testimonianza di una signora ebrea di Ferrara che disse alla vedova di Odoardo: “H
o perduto quattordici dei miei, m’è rimasto solo questo figliolo, ma ho trovato la forza di salvarmi e di sopravvivere per quello che mi ha detto suo marito: ‘Avrei già fatto il mio dovere se pensassi solo ai miei sette figlioli, ma sento che non posso abbandonarvi, che Dio non me lo permette’”.

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ZENIT Staff

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