Il Giovedì Santo, ultima alba di quaresima, primo tramonto del triduo pasquale (Prima Parte)

Una riflessione sulle preghiere e sulla liturgia del giovedì della Settimana Santa

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Il giovedì della Settimana Santa costituisce un momento cruciale della vita liturgica e il punto di congiunzione tra due tempi liturgici di straordinaria intensità. Nell’arco di una giornata, infatti, la Chiesa contempla l’ultima aurora del tempo quaresimale e il tramonto del primo giorno del triduo pasquale, culmine di tutto l’anno liturgico. 

Una riflessione sulla struttura rituale del Giovedì Santo, sulle preghiere e sulla liturgia della Parola, costituisce il fondamento per la comprensione del significato teologico e spirituale delle due celebrazioni e per una partecipazione viva ed efficace ai santi misteri che vi si celebrano. Il percorso quaresimale, che inizia con il Mercoledì delle Ceneri e si conclude con la Messa Crismale, è caratterizzato da alcuni segni penitenziali: il colore liturgico viola e la soppressione del testo dell’Alleluia.

Nelle domeniche di Quaresima si omette anche il Gloria. Il Giovedì Santo invece, il colore liturgico è il bianco, proprio della solennità, ed il testo del Gloria viene cantato: la Chiesa – che si prepara ai momenti della passione – non può contenere la sua gioia, mentre celebra il memoriale dei grandi doni che ha ricevuto dal suo Salvatore.

Nel triduo pasquale la Chiesa celebra solennemente i grandi misteri della nostra redenzione, il Signore crocifisso, sepolto e risuscitato, facendone memoria attraverso celebrazioni particolari. Nel pomeriggio del giovedì santo – sul far della sera – la Chiesa si raduna per iniziare liturgicamente il percorso salvifico con la Messa nella Cena del Signore. La rubrica che offre gli spunti per l’omelia illustra il significato di questa celebrazione: si commemora l’istituzione dell’Eucarestia e del sacerdozio ministeriale ed il comandamento del Signore sull’amore fraterno.

La preghiera di colletta può essere la sintesi di tutto il percorso celebrativo ed il modello schematico per una riflessione: O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena nella quale il tuo unico Figlio, prima di consegnarsi alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore, fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita. 

Nella prima lettura dal Libro dell’Esodo viene descritta la celebrazione della Pasqua di Israele, secondo la forma vincolante che aveva trovato nella Legge mosaica. All’origine può esserci stata una festa di primavera dei nomadi, ma per Israele era diventata una festa di commemorazione, di ringraziamento e, allo stesso tempo, di speranza. L’agnello, simbolo della liberazione dalla schiavitù in Egitto, era al centro della cena pasquale, strutturata secondo regole liturgiche e messa in relazione con la santa cena dell’unico Figlio insieme ai discepoli (Mc 14,18-26).

Gesù ha celebrato la Pasqua, ma al posto dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue, secondo il racconto riportato nella seconda lettura (1 Cor 11,23-26). Si instaura così il nuovo ed eterno sacrificio, che ha liberato il popolo per sempre da una schiavitù ben più grande: il peccato. Il sacrificio antico, dell’agnello, è diventato consegna alla morte: «Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso» (Gv 10,18).

Nella preghiera di colletta, la dimensione del nuovo ed eterno sacrificio viene accostata alla linea teologica del convito nuziale dell’amore. La riflessione di papa Benedetto XVI offre una sintesi interpretativa: «Il suo sangue, l’amore di Colui che è insieme Figlio di Dio e vero uomo, uno di noi, quel sangue può salvare. Il suo amore, quell’amore in cui Egli si dona liberamente per noi, è ciò che ci salva. Il gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l’immolazione dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempio. Così al centro della Pasqua nuova di Gesù stava la Croce. Da essa veniva il dono nuovo portato da Lui. E così essa rimane sempre nella Santa Eucaristia, nella quale possiamo celebrare con gli Apostoli lungo il corso dei tempi la nuova Pasqua. Dalla croce di Cristo viene il dono» (Benedetto XVI, Omelia della Messa in Cena Domini, 5 aprile 2007).

Il testo del prefazio esprime il nesso di consequenzialità e dipendenza che Cristo ha stabilito tra il Suo sacrificio e la nostra salvezza: egli istituì il rito del sacrificio perenne; a te per primo si offrì vittima di salvezza. In questo senso va anche interpretato il riferimento alla croce, che si trova nell’antifona d’ingresso: «Di null’altro mai ci glorieremo, se non della croce di Gesù Cristo, nostro Signore: egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati» (cfr. Gal. 6,14). 

[La seconda parte verrà pubblicata domani, martedì 26 marzo 2013]

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Giuseppe Midili

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