Seminario Ucsi Catania

Il giornalista cattolico e il "messaggio della buona novella"

Si è tenuto a Catania un seminario di formazione giornalistica promosso dall’Ucsi provinciale

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Nei locali dell’Istituto comprensivo “Leonardo da Vinci” di Catania si è svolto il seminario di formazione giornalistica promosso dall’Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana) di Catania, sul tema Scrivendo di Chiesa con pertinenza di contenuti e di linguaggio.

I lavori sono stati aperti dal presidente della sezione provinciale catanese, prof. Giuseppe Adernò, che, dopo aver ringraziato gli intervenuti, puntualizzando la necessità di un linguaggio consono alla sfera della Chiesa da parte dei giornalisti che vi si accostano, ha presentato i relatori, ovvero don Paolo Buttiglieri, consulente regionale  Ucsi, il prof. Antonino Blandini e il prof. di Diritto canonico e di Diritto ecclesiastico alla Facoltà di Giurisprudenza, Orazio Condorelli.

Don Buttiglieri ha parlato di Chiesa e “messaggio della buona novella”. Partendo dal presupposto che la missione della Chiesa è inscindibile dal territorio, nell’attuale fase innovativa di Papa Francesco, è prioritario il compito della chiesa di comunicare la buona novella, nel senso di costruire e strutturare un messaggio di salvezza, ovvero il kerigma, che possa partire direttamente da Dio, arrivando all’uomo in un discorso trinitario mediante Gesù Cristo. Un Cristo che perde la sua veste divina e regale per assumere l’abito dell’umanità, ponendosi in mezzo a noi, quale primo migrante, per restituire all’uomo quella dignità cancellata dal peccato.

In quest’ottica il relatore ha parlato di un giornalismo cattolico che sia informazione al servizio dei cittadini e che viva i problemi “sporcandosi le mani”, con quella misericordia manifestata da Dio in Gesù Cristo e definita “architrave” da Papa Francesco nella missione della Chiesa.

Il prof. Giuseppe Adernò ha incentrato il suo intervento su una comunicazione efficace, per il giornalista inteso come il professionista della comunicazione, che entra in relazione con gli altri con un atto comunicativo, qual è appunto l’articolo, con  la volontà di realizzare un progetto che si prefigge di apportare un cambiamento a una situazione di base.

Il relatore ha focalizzato più forme di comunicazione, da quella on line, abbastanza veloce, all’informazione generica e superficiale della televisione,  di contro all’efficacia della carta stampata che offre uno spazio all’approfondimento, dando voce a chi non ne ha, con la missione di far parlare la gente e di raccontare il territorio, condividendo le esperienze semplici e buone.

“Bisogna discernere – ha proseguito Adernò – le notizie di immediata diffusione da quelle che meritano maggiore riservatezza, facendo prevalere la dimensione dell’umano e del dialogo e tenendo presenti i principi della deontologia professionale, che ci impegna a trasmettere sempre la verità, nel riconoscere la dignità della persona umana e la sua libertà come valore inalienabile”.

Il preside ha sottolineato quindi l’esigenza di un linguaggio concreto, corretto e oggettivo nel raccontare i fatti di cronaca, senza approssimazione, nonché l’apertura al confronto e alle altre culture nell’ambito delle comunicazioni sociali, puntando al cuore dell’ uomo. “Chi scrive di Chiesa – ha detto – deve avere una capacità giornalistica che spazia dall’economia all’antropologia  attraverso la politica e la società”.

Il prof. Antonino Blandini si è soffermato sulla specificità del linguaggio della Chiesa, al fine di ovviare alla confusione terminologica ricorrente sui giornali e per una diffusione precisa delle cronache religiose. “Sebbene Papa Francesco stia promuovendo una grande civilizzazione nel campo della carità, dell’educazione e dell’istruzione religiosa, la Chiesa è malvista perché si vogliono approfondire le radici della fede” ha affermato il relatore, col monito che alcuni giornali non dovrebbero darne una visione sconvolgente.

La pertinenza del linguaggio per un giornalista cattolico deve evitare una domus aurea che ignora le esigenze del grande pubblico, ma rispettare piuttosto l’ortodossia della verità con un linguaggio tecnico-giuridico, quindi non profano o generico, che trae origine dalla prassi della Chiesa medievale e dei primi secoli. Un linguaggio che si apra alle molteplici confessioni religiose della nostra arcidiocesi e che non può definirsi ecumenico (che riguarda tutti i credenti in Cristo con lo stesso battesimo), ma improntato a un dialogo interreligioso.

“Attenzione quindi al glossario in ambito liturgico – puntualizza Blandini – per quanto attiene non solo ad eventi presieduti dal Papa, ma anche all’ambito iconografico e agiografico. E sarebbe opportuno  anche non far scadere nel mero folklore la festa di Sant’Agata, attenzionando il fercolo, anziché il feretro, come talvolta avviene per ignoranza o in un lapsus linguistico”.

Il problema  di una terminologia corretta è stato affrontato anche dal prof. Orazio Condorelli, che ha analizzato i rapporti tra Stato e Chiesa, in relazione all’ordine temporale e spirituale dell’uno e dell’altra. Prendendo in esame il titolo di un articolo del quotidiano Il Messaggero, che allude a una presunta ingerenza del Vaticano in politica sul caso migranti, il professore ha affermato che l’uso improprio della parola ingerenza, in un’ottica antropologica sbagliata, esprime un’incomunicabilità della sfera spirituale con quella politica.

Ma  il compito di evangelizzazione di tutti i popoli, affidato da Cristo alla Chiesa, che lo rivendica di fronte agli ordinamenti politici, è quanto mai attuale, toccando la libertà del pensiero del fedele, che, con la Gaudium et spes ha il compito di iscrivere la legge di Dio nella vita della società, secondo la scelta di vita del fedele laico. Inoltre la Costituzione sancisce un diritto di libertà religiosa in forma individuale e associata, nonché l’indipendenza e la sovranità della Chiesa e dello Stato ciascuno nel proprio ordine.

La Chiesa rivendica il diritto a proclamare il kerigma di Cristo che l’ha fondata attraverso un’opera educativa che coinvolge i mezzi di comunicazione di massa, per poter giungere a tutti gli uomini di buona volontà. E dunque non può venire meno al dovere morale sulle questioni che attengono alla dimensione naturale della vita dell’uomo, che ha a che fare col matrimonio, con l’interruzione della gravidanza, con la fecondazione artificiale, o con l’eutanasia. Il dovere di un’informazione corretta e non fuorviante è stato sottolineato dal professore anche in merito alla riforma del processo matrimoniale canonico, per quanto attiene alla sentenza di nullità. Ribadendo così l’obiettivo del seminario Ucsi per una maggiore responsabilità del giornalista cattolico che tende al bene della collettività.

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ZENIT Staff

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