Il futuro del Paese nel cuore dei giovani

Messaggio della CEI per l’88ª Giornata dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

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ROMA, sabato, 21 aprile 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo il messaggio della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) per l’88ª Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, in programma domani, domenica 22 aprile.

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«Si può pensare legittimamente che il futuro
dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono
capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni
di vita e di speranza» (et spes, n. 31)

Il senso della responsabilità per l’edificazione della città dell’uomo nella prospettiva del Vangelo è costitutivo della vita di fede nel suo porsi, nel suo configurarsi riflessivo e nel suo dispiegarsi fattivo, articolato e multiforme: «L’azione in favore della giustizia e la partecipazione nella trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come una dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè come la missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressivo» (Giovanni Paolo II,  , n. 54).

La salvezza che il Vangelo proclama non si restringe certo nell’angusto perimetro socio-economico, ma riguarda l’uomo nella sua integrità, come soggetto posto in relazione costitutiva con Dio e virtuosa con gli altri uomini e con il creato.

L’agire cristiano trova forma distintiva nel precetto della carità evangelica che, compiutamente, si esprime come profezia e prassi: «La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell’uomo, e perciò guida l’intelligenza verso soluzioni pienamente umane» (et spes, n. 11). È una nuova creazione (cf Cor 5,17).

Essa tocca anzitutto la dimensione personale, nell’intimità profonda del soggetto: nessun rinnovamento è possibile sul piano storico e sociale se non è preceduto, sostenuto e motivato dalla conversione del cuore.

Nel nostro tempo, colpito da un marcato ripiegamento nel privato e dominato dalle forme avare dell’individualismo tecnocratico, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, fedele alle proprie radici, si pone in prima fila come istituzione culturale ed educativa volta a formare protagonisti capaci e convinti della civiltà dell’amore. Non si tratta di cosa facile.

In una società non più caratterizzata dal riconoscimento di valori comuni, la relazione educativa tende a configurarsi non come comunicazione di contenuti consolidati, quanto, piuttosto, come relazione informativa, segnata dalla tolleranza formale e da prossimità debole: nel contesto familiare la capacità educativa incontra difficoltà e tende alla delega; la scuola appare crocevia affollato di pluralismi dispersi e di anonimato culturale; il maestro rischia di non essere più figura di riferimento, ma operatore funzionale all’apprendimento di capacità strumentali.

La crisi della fiducia illuministica nella ragione, poi, non promette esiti convincenti, sia sul piano etico-valoriale – benché da molti annunciato e auspicato (il cosiddetto ritorno dell’etica) – sia su quello specificamente educativo, benché oggetto di pronunciamenti molteplici. L’epoca moderna, infatti, non manca di segnalare l’impegno educativo tra le priorità della società e ne allarga i confini: educazione permanente, scolarizzazione diffusa, specializzazione articolata.

Ma non sembra incline a porre in attenzione e valore le eredità culturali, non ama legami consistenti o addirittura vincolanti con i patrimoni di riferimenti consolidati e condivisi, in specie etici e religiosi.

L’ipertrofia della razionalità tecnico-scientifica e l’atrofia della razionalità etico-valoriale hanno causato l’estenuazione del pedagogico, ridotto a mera metodologia. E, tuttavia, prevale in noi la fiducia, lo sguardo costruttivo, la dinamica progettuale. Questo si respira in “Cattolica”; questa dovrebbe essere l’atmosfera prevalente nelle nostre comunità cristiane.

È proprio dei giovani amare la vita, immergersi in essa con passione ed entusiasmo, ma anche ritrarsene, a volte, sconfitti da brucianti esperienze; troppo spesso delusi proprio da coloro in cui avevano riposto fiducia e disegnato ideali. Esplodono, allora, forme radicali ed esasperate; si verifica quella tragica distorsione per cui il valore della vita viene sottoposto al potere autonomo della decisione soggettiva o si disperde nell’insignificanza effimera dell’attimo fuggente. 

È necessario, perciò, un solido e convinto riferimento alla verità piena: «Il nucleo generatore di ogni autentica cultura è costituito dal suo approccio al mistero di Dio […] È  a partire da qui che si deve costruire una nuova cultura» (Giovanni Paolo II, al Convegno ecclesiale di Palermo, 23 novembre 1995, n. 4). È per questo che l’Università Cattolica del Sacro Cuore si sente parte viva di una Chiesa, che «essendo a servizio di Dio, è a servizio del mondo in termini di amore e di verità» (Benedetto XVI, in veritate, n. 11), ponendo quel nesso di illuminazione dell’esistenza che rischiara il suo significato fondamentale e rende ragione della speranza mentre opera con generosa dedizione.

Gesù è un personaggio storico, non del passato. Egli vive, e come vivente cammina innanzi a noi; ci chiama a seguire Lui, il vivente, e a trovare così anche noi la via della vita. Nel suo splendido magistero pasquale, Benedetto XVI ritorna con insistenza su questo punto: «Essa [la Resurrezione] è – se possiamo una volta usare il linguaggio della teoria dell’evoluzione – la più grande “mutazione”, il salto assolutamente più decisivo verso una dimensione totalmente nuova, che nella lunga storia della vita e dei suoi sviluppi mai si sia avuta: un salto in un ordine completamente nuovo, che riguarda noi e concerne tutta la storia. […] La risurrezione fu come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che sciolse l’intreccio fino ad allora indissolubile del “muori e divieni”. Essa inaugurò una nuova dimensione dell’essere, della vita, nella quale, in modo trasformato, è stata integrata anche la materia e attraverso la quale emerge un mondo nuovo» (nella Veglia Pasquale, 15 aprile 2006).

È il nuovo spazio aperto in cui si dilatano gli orizzonti della creatività e si moltiplicano le figure mai ripetute della vocazione cristiana, per trasformare il mondo. Non c’è posto per le ideologie della violenza, per la corruzione, per la smania di potere e di possesso. La prospettiva escatologica, apre il credente ai cieli nuovi e ad una terra  nuova (cfr  21,1) dove Dio «asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate. E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”» ( 21,4-5). A cominciare dall’umile, fattivo, impegno quotidiano.

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ZENIT Staff

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