Il dono, ‘motore virtuoso’ della società

Comparando varie ricerche etnografiche, l’antropologo e storico delle religioni Marcel Mauss dimostra che donare è l’esercizio alla base di ogni solida comunità umana

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Lo afferma la psicologia, lo conferma l’antropologia: il dono assume una posizione di centralità nella vita dell’uomo, capace di nutrire la dimensione simbolica, relazionale e morale. Il Saggio sul dono, scritto nel 1923 dall’antropologo e storico delle religioni Marcel Mauss, comparando varie ricerche etnografiche dimostra come l’esercizio di donare costituisca una sorta di motore virtuoso di ogni comunità umana.

L’opera dell’antropologo francese si basa sullo studio dei comportamenti di alcune tribù indigene sia americane sia del Pacifico, le quali hanno in comune la considerazione del dono come elemento di reciprocità nelle loro società. Il principio di reciprocità del dono – osserva Mauss – si articola in tre momenti fondamentali che consistono nel dare, ricevere e ricambiare. Il dono spontaneamente concesso, infatti, obbliga il ricevente – una volta accettato l’oggetto offertogli – a ricambiare attraverso un controdono, dando luogo a un continuo andirivieni di dono dati e corrisposti.

L’alternanza di questi passaggi innesca lo scambio. Il quale, se dapprima coinvolge soltanto singoli individui, successivamente si estende a una relazione più vasta che interessa l’intera società. Uno scambio che non si fonda su rapporti economici e commerciali, bensì su un circuito relazionale. Mauss dimostra così, mediante il suo studio, che nella pratica del dono il ruolo preminente non è occupato dall’oggetto dello scambio ma dal legame tra persone che si va a creare, coltivare e rafforzare.

Legame che presuppone una massiccia dose di libertà. Se è vero, infatti, che l’obbligo di restituire pervade la coscienza d’ognuno, è altrettanto vero che i modi e i tempi di restituzione non sono rigidi, così come non si può avere certezza sull’entità del controdono. Il valore del dono, pertanto, sta nell’assenza di garanzie per il donatore. Assenza che implica una grande fiducia nel prossimo.

“Ciò significa – come spiega Lorenzo Biagi nel suo libro Corruzione (ed. Messaggero, 2014) – che nel dono conta anzitutto avviare un processo di riconoscimento reciproco, espresso dapprima attraverso lo scambio di beni preziosi e di cortesie, ma il cui fine è quello di generare un ‘riconoscimento solenne dell’altro’”. L’estendersi di questo riconoscimento a più persone della comunità umana tesse una rete sociale che si rafforza e si rinnova costantemente. Il dono, quindi, è una struttura invisibile che tiene insieme, crea alleanza e costruisce un senso d’appartenenza che penetra e impregna i cuori delle persone.

Nella stessa opera Biagi analizza il processo di perversione del dono, dalla quale deriva la corruzione. E lo fa citando le riflessioni del filosofo ed etnologo Marcel Hénaff. Quest’ultimo spiega che la corruzione scaturisce nel momento in cui i rapporti di dono vengono confusi con i rapporti di contratto. Secondo Hénaff, la perversione subentra quando avviene un “corto circuito” tra “scambio supposto generoso e scambio profittevole”. È da questa brama di accrescere il proprio profitto, da questa deriva egoistica che nascono conseguenze negative per la convivenza e per la società tutta. Laddove l’unica preoccupazione delle persone è l’individualismo, d’altronde, è inattuabile la realizzazione di una solida comunità umana e, prima ancora, di una convivenza civile.

L’attenzione ossessiva di una reciprocità geometrica nei rapporti adombra le ragioni del cuore; organo da cui sgorga la condotta morale dell’uomo. Ascoltare e accogliere la voce profonda che soggiunge dal cuore costituisce così il primo passo compiuto sulla strada che conduce verso il prossimo e trasforma l’agire individuale in un’attività di carattere sociale. Processo che dà origine al benessere personale e della comunità tutta.

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Federico Cenci

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