Il dolore della sterilità fisica

Diventa fecondità spirituale nel travaglio del parto adottivo

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L’adozione nasce da una duplice esigenza di amore: la necessità del bambino di essere amato e il bisogno del genitore di amare. Nell’incontro vicendevole di queste due esigenze cresce e matura il cammino adottivo.

Entrambe le parti, genitori e figli, iniziano il loro cammino da una sofferenza. I figli per avere vissuto la dolorosa esperienza dell’abbandono, i genitori per aver sperimentato il dolore della propria sterilità. Due piaghe diverse che possono essere guarite solo una a contatto con l’altra, ma prima devono essere “cicatrizzate”. 

Soffermiamoci sulla situazione di dolore degli aspiranti genitori adottivi cercando di scorgere il misterioso disegno di amore che esso contiene.

Il dolore di un marito e di una moglie che scoprono la propria sterilità costituisce una dura prova per il loro matrimonio. Alcune volte la causa della sterilità è dovuta a problemi di fertilità di uno dei due coniugi, altre volte di entrambi i coniugi, altre volte ancora non è possibile stabilire con certezza la causa dell’infertilità.

Quando la sterilità è accertata per entrambi i coniugi il peso del dolore è distribuito ed più semplice accettare la propria sofferenza e quella del proprio coniuge. Ma quando la sterilità viene riscontrata solo in uno tra marito o moglie, ci può essere il rischio di una separazione  perché l’egoismo di avere a tutti i costi un figlio dalla propria carne può sfociare nel pericolo di una separazione. Purtroppo dobbiamo constatare che l’assenza dell’arrivo dei figli all’interno di un matrimonio è una delle cause più frequenti di separazioni.

Davanti a queste situazioni è sicuramente indispensabile fermarsi un momento e domandarsi: il figlio della carne è così indispensabile a tal punto da mettere in discussione il proprio matrimonio? Il marito o la moglie non sono essenziali l’uno per l’altro a prescindere dell’arrivo dei figli?

La stesso dubbio di continuare la relazione con l’altro, avviene molto frequentemente anche durante il tempo del fidanzamento. Oggi si assiste sempre più spesso a fidanzati che scelgono di sottoporsi, prima del matrimonio, ad una serie di analisi mediche per verificare la loro fertilità. Solo se gli accertamenti clinici sono positivi si decide di passare  al matrimonio. Così, la scelta del futuro marito o moglie viene operata solo se l’altro è sano, se l’altro è fertile. Ma questo modo di pensare contrasta con la promessa del rito nunziale dove si giura fedeltà all’altro nella salute e nella malattia, nella gioia e nel dolore, nella povertà e nella ricchezza. La Chiesa, infatti, non chiede agli sposi che siano fertili per sposarsi, non si accerta della loro fertilità fisica per celebrare il matrimonio. La Chiesa chiede agli sposi l’apertura alla vita nella fecondità spirituale.

Il compendio del catechismo della Chiesa Cattolica riporta alla domanda cinquecentouno: “Che cosa possono fare gli sposi quando non hanno figli? Qualora il dono del figlio non fosse loro concesso, gli sposi, dopo aver esaurito i legittimi ricorsi alla medicina, possono mostrare la loro generosità mediante l’affido o l’adozione, oppure compiendo servizi significativi a favore del prossimo. Realizzano così una preziosa fecondità spirituale”.

Pertanto, se dopo il matrimonio gli sposi scoprono la loro sterilità fisica, essi hanno altre forme per realizzare la loro fecondità spirituale e tra queste possibilità di amore è contemplata l’adozione. 

Ma questa scelta non è attualmente considerata la più naturale e la più pubblicizzata.

I mezzi di comunicazioni di massa propongono continuamente tecniche di procreazioni artificiali senza preoccuparsi di eventuali problematiche etiche e morali.

Allora davanti al bivio della scelta di una famiglia che non ha ricevuto il dono di figli biologici, o che non vuole rinunziare alla genitorietà trovandosi al di fuori dell’età feconda, diventa doveroso l’impegno del cristiano nell’offrire una valida alternativa a queste tecniche di procreazione, proponendo l’adozione come via più naturale per diventare genitori. 

La famiglia adottiva oltre a testimoniare con l’esempio della vita quotidiana la santità e bellezza di questa scelta, dovrebbe trovare sempre più spazi dove diffondere la cultura dell’accoglienza. I corsi prematrimoniali nelle varie diocesi potrebbero essere un luogo privilegiato dove la famiglia adottiva può offrire la sua testimonianza spiegando tutto il percorso che li ha condotti a questa scelta di vita.  Chiaramente va sempre specificato che la via naturale di avere i figli biologici deve avere sempre la priorità sulla genitorietà adottiva. 

Però, sarebbe troppo limitativo riservare solo lo spazio dei corsi di preparazione al matrimonio per testimoniare le ragioni della scelta adottiva. Le sale parrocchiali potrebbero diventare, durante vari periodi dell’anno, spazi privilegiati dove la famiglia adottiva potrebbe offrire la sua testimonianza all’adozione a coloro che stanno incontrando difficoltà a diventare genitori. Anche i giornali, e soprattutto le televisioni dovrebbero offrire sempre nuovi spazi per far conoscere la bellezza dell’adozione quando vissuta come servizio di elevazione della dignità di un bambino abbondonato, di un bambino sofferente. 

Per concludere questa riflessione potremmo utilizzare un espressione del Vangelo di Giovanni a proposito di Giovanni Battista che si pone in relazione a Cristo: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3, 30).

L’io di diventare genitore biologico a tutti i costi deve diminuire, la scelta di essere genitore adottivo deve crescere. Questo è l’inizio del cammino dell’adozione, questa è la battaglia delle fede nella quale combattere i propri desideri per compiere la volontà di Dio, questo significa diventare umili e piccoli per poter accogliere i propri figli.

La scelta adottiva è matura in una famiglia quando gli aspiranti genitori si sentono essi stessi figli adottivi di Dio. Allora il miracolo dell’adozione non è solo quello di diventare genitori senza nessun parto dal grembo materno, il vero prodigio è quello di sentirsi autentici figli di Dio perché “a quanti l’hanno accolto, ha dato poter di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volore di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,12-13). 

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Osvaldo Rinaldi

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