Il diritto alla libertà religiosa, "fonte e sintesi" di tutti gli altri

Spiega il Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

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ROMA, sabato, 26 luglio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento di monsignor Giampaolo Crepaldi, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, pubblicato dal Bollettino DSC dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân attualmente in distribuzione.

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FOCUS 1

IL DIRITTO ALLA LIBERTA’ RELIGIOSA:

FONTE E SINTESI DI TUTTI GLI ALTRI DIRITTI

S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi

Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

Città del Vaticano

Presidente dell’Osservatorio Card. Van Thuân

Verona (Italia)

La “libertas religiosa” nell’insegnamento della Chiesa

La Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II difende il diritto dell’uomo alla libertà religiosa fondandolo su un dovere. Gli uomini “sono spronati dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a ricercare la verità” (n. 2) [1]. Il diritto deriva da un dovere: “Ognuno ha il dovere, e quindi il diritto, di cercare la verità in materia religiosa” (n. 3). Trattandosi di un obbligo che scaturisce dalla natura umana, non va inteso come una costrizione, ma come un bene che tale natura suscita e che la nostra libertà assume. Poiché esiste il dovere di cercare la verità, dovere che è esso stesso una verità, deve anche esistere il diritto di poterlo fare. Gli uomini, infatti, “non possono soddisfare a quest’obbligo in conformità alla propria natura, se non godono della libertà psicologica e insieme dell’immunità da coercizione esterna” [2]. Il diritto alla libertà religiosa non va inteso come un mero desiderio soggettivo, ma come diritto oggettivo, che ogni uomo ed ogni potere civile o politico deve rispettare e promuovere.

Su questo legame del diritto alla libertà religiosa con il dovere di cercare la verità si incentra la diversità tra la impostazione del magistero della Chiesa e quella di alcune correnti di pensiero della modernità. Ambedue si incontrano nel riconoscimento del diritto alla libertà religiosa, ma talvolta divergono, in quanto il magistero della Chiesa fonda tale diritto “sulla dignità della persona umana” [3], mentre alcune correnti della modernità tendono a fondarlo sulla coscienza soggettiva, ossia sulla rappresentazione che della propria dignità ha ogni individuo. Per la Chiesa la libertà di religione è nel soggetto ma non nasce dal soggetto, bensì dalla fedeltà alla propria natura di persona umana compreso il dovere di cercare il vero, perché solo dalla verità può derivarci la salvezza [4]. Il diritto viene rivendicato per poter assumere con pienezza una responsabilità che sta alla sua origine.

La collocazione del diritto alla libertà religiosa nel contesto del dovere di cercare la verità porta con sé tre conseguenze molto importanti per il riconoscimento e la tutela di questo diritto.

La prima conseguenza è che la libertà di religione non comporta di per sé una accettazione del relativismo religioso, che sarebbe la negazione di ogni legame tra religione e verità. La seconda conseguenza, immediatamente connessa con questa, è che la libertà di religione non può essere vissuta solo nell’ambito privato, in quanto non è un’evasione dalla propria universale umanità, ma una ricerca delle vie migliori per realizzarla. Quel diritto, in altre parole, ha indissolubilmente una dimensione privata e pubblica. Infine, una terza conseguenza è che è possibile sia distinguere tra verità ed errore senza attribuire a quest’ultimo il diritto ad essere riconosciuto come vero [5], sia tenere ferma la libertà di errare nella ricerca del vero, che si fonda sull’esercizio di un dovere connesso con la natura umana ed espressione di una intangibile dignità. La “regalità di Cristo su tutta la creazione e in particolare sulle società umane” [6] non è messa in discussione dal riconoscimento della libertà religiosa, la quale presuppone il dovere del discernimento veritativo. La libertà di religione non elimina il problema della verità in sé e della verità della religione in particolare, come elementi fondamentali per la società. Per questo la Chiesa, assieme all’affermazione del diritto alla libertà religiosa, ribadisce non solo la verità del cristianesimo [7], ma anche il “dovere morale degli uomini e delle società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo” [8].

La “libertas religiosa” fonte e sintesi dei diritti umani

La connessione tra il diritto alla libertà religiosa e il dovere di cercare la verità spiega anche perché quello alla libertà religiosa sia la fonte e la sintesi – secondo le parole della Centesimus annus [9] – di tutti gli altri diritti umani. La ricerca della verità, per essere esercitata in modo libero e quindi pienamente umano, non deve venire limitata, deve potersi espandere fino al Fondamento ultimo, a Dio. L’uomo cerca la verità, non le opinioni, e solo la trascendenza della verità è in grado di fondare pienamente la sua oggettività [10]. Ecco perché il diritto alla libertà di religione è, in fondo, il diritto della persona umana a vivere attingendo ad un Senso trascendente ed assoluto le ragioni dell’esistenza. Ammettere e rispettare la libertà religiosa vuol dire, quindi, riconoscere nell’uomo questo bisogno come a lui connaturato. Non si tratta solo di riconoscere un diritto soggettivo, ma implica anche il “riconoscimento della dimensione religiosa dell’uomo” [11]. La persona umana può coltivare e sviluppare questa sua dimensione religiosa, come può anche liberamente sopirla, trascurarla e perfino negarla, ma essa c’è in tutti, perché fa parte della natura umana. Se la ricerca della verità rende l’uomo degno di stima e rispetto, la ricerca della verità religiosa, in quanto ricerca del Fondamento ultimo, “esprime le aspirazioni più profonde della persona umana […], offre, in fondo, la risposta alla questione del vero significato dell’esistenza sia personale che sociale” [12] e quindi è il nucleo più profondo della sua dignità. Riconoscendo nella persona l’aspirazione al Fondamento trascendente come sua propria dimensione naturale si capisce anche che “la verità della persona umana è un valore trascendente” [13]. Ecco perché il diritto alla libertà religiosa è “il cuore stesso dei diritti umani” [14]: ne preserva l’origine trascendente e quindi motiva la loro inviolabilità. I diritti umani hanno bisogno di essere fondati su una dimensione superiore a quella politica. La libertà di religione è la libertà di fondare i diritti umani in modo assoluto [15]. Per questo essa è a vantaggio di tutti, e non solo dei credenti. E’ un bisogno non solo “confessionale”, ma umano e sociale. La libertà di religione si rivela essere un diritto non solo individuale ma comunitario, un elemento del bene comune da preservare e sviluppare. Essa infatti contribuisce a liberare i diritti umani dai limiti del potere politico ed a collocarli in una ambito di inviolabilità, a garanzia di tutti i cittadini di una comunità. La libertà di religione svela l’esistenza di una comunità più ampia della stessa comunità politica di uno Stato, la comunità umana. Si tratta di una “appartenenza” precedente a quella politica, che esprime nella libera adesione della coscienza personale una dignità inviolabile per ogni regime politico.

Due osservazioni ulteriori possono confermare questa importanza della libertà religiosa per i diritti umani. Se analizziamo la questione dal punto di vista storico, osserviamo che il diritto alla libertà di religione è stato concepito per primo e, seppure con modalità tortuose e difficili, è stato alla base di tutti gli altri. A questa osservazione storica se ne può aggiungere un’altra che nasce da una comune esperienza: quando un regime politico nega la libertà di religione finisce per negare anche tutte le altre libertà. I totalitarismi, infatti, hanno prima di tutto tentato di “sradicare il bisogn
o di Dio dal cuore dell’uomo” [16].

La “libertas religiosa“garanzia dei diritti umani

Quest’ultima osservazione ci spinge a considerare come il diritto alla libertà religiosa non sia solo la fonte e la sintesi di tutti gli altri diritti umani, ma ne sia anche la garanzia. Il suo esercizio da parte di fedeli e comunità religiose e la sua promozione da parte dei poteri sociali e politici, è un concreto sostegno, un vitale supporto, una garanzia di tutela dei diritti umani fondamentali. I diritti, infatti, non hanno solo bisogno di essere formalmente elencati, ma soprattutto di essere vissuti ed anche la loro difesa non sarà mai un atto puramente legislativo e burocratico, ma vitale. In altre parole i diritti umani hanno bisogno di uomini e donne che credano nella giustizia e che, soprattutto, siano capaci di sacrificarsi per essa. Nell’enciclica Spe salvi Benedetto XVI afferma che “se non possiamo sperare più di quanto è effettivamente raggiungibile di volta in volta e di quanto di sperabile le autorità politiche ed economiche ci offrono, la nostra vita si riduce ben presto ad essere priva di speranza” [17]. Anche la difesa dei diritti umani ha bisogno di una speranza che vada oltre “quanto èffettivamente raggiungibile di volta in volta”. Non c’è dubbio che essi abbiano un fondamento etico e razionale e debbano essere oggetto di volontà, però è altrettanto vero che senza la speranza cristiana essi non sarebbero stati pienamente intravisti e la nostra volontà e la nostra ragione non sarebbero pienamente in grado di rimanervi fedeli fino alla fine. Senza la dimensione religiosa essi rischiano continuamente di essere persi di vista, o di venire lasciati da parte di fronte alle difficoltà. E’ la speranza cristiana, afferma il papa, “che ci dà il coraggio di metterci dalla parte del bene anche là dove la cosa sembra senza speranza” [18]. I diritti umani, dicevo, non vanno solo elencati, vanno vissuti. Essi non vivono di solo spirito legalistico [19] e non sono garantiti semplicemente da delle procedure . Richiedono, piuttosto, una speranza [20]. I diritti umani, suscitati dal Cristianesimo, e che pure godono di una loro autonomia morale e razionale, non possono sussistere senza di esso: «La conoscenza della persona è legata alla fede cristiana. La persona può essere affermata e coltivata per qualche tempo anche quando tale fede si è spenta, ma poi gradatamente queste cose vanno perdute» [21].

Lo Stato, la tutela dei diritti umani e la “libertas religiosa

Il rapporto precedentemente messo in evidenza tra il diritto alla libertà religiosa e il dovere di cercare la verità pone allo Stato dei precisi obblighi nella difesa e nella promozione della libertà di religione, obblighi che vanno ben oltre la semplice contemplazione giuridica di questo diritto. Infatti, la sua tutela è elemento fondamentale del perseguimento del bene comune, nei cui confronti il dialogo sui diritti umani rappresenta la grammatica. Non è sufficiente il concetto di “tolleranza”. Lo Stato deve costituire una cornice giuridica in modo che tutti i cittadini godano della libertà di non “rinnegare Dio per godere dei propri diritti” [22]. Poiché però tale diritto è legato al dovere di cercare la verità e sgorga dalla natura umana, lo Stato dovrà costruire quella cornice giuridica nel rispetto della dignità della persona. Ecco perché la libertà di religione trova un limite dentro se stessa: deve essere conforme alla verità dell’uomo e non contro di essa. Anche la libertà di religione deve, quindi, rispettare la legge morale naturale, l’ordine pubblico e, in una parola, i diritti umani. Sono questi i “debiti limiti” cui fa riferimento il Concilio [23]. Chi chiede per sé la libertà di religione, ma non accetta di rispettare la giustizia, delegittima quella sua stessa richiesta, privandola del suo vero fondamento. Lo Stato che, nell’organizzare la vita della comunità in vista di un bene comune, disciplina anche la libertà di religione, deve farlo alla luce della verità dell’uomo.

Già da questa preliminare osservazione emerge che lo Stato non può condividere l’ideologia del relativismo religioso. Esso non eserciterebbe, in questo caso, il suo mandato di costruire il bene comune secondo i dettami della ragione. Ci possono essere religioni che nelle loro pratiche contraddicono quegli stessi diritti umani in nome dei quali pretendono la propria libertà . Il caso più evidente è quello del terrorismo e, in generale, di chi uccide in nome di Dio: “quando una certa concezione di Dio è all’origine di fatti criminosi, è segno che tale concezione si è già trasformata in ideologia” [24]. Le religioni possono contraddire i diritti umani anche quando non ammettono l’eguale dignità di tutti gli uomini senza distinzione di sesso o di razza o di ceto sociale. In tutti questi casi lo Stato dovrà discernere, non con criteri confessionali, ma alla luce della verità razionale, che rimane la bussola principale del potere politico. Il nesso tra religione e verità è all’origine del diritto alla libertà religiosa. Questo non è un diritto arbitrario, ma espressione del dovere di cercare la verità. Per questo lo Stato, nel riconoscerlo, deve farlo senza rompere il nesso religione-verità. Se lo Stato considera il diritto alla libertà religiosa come un diritto arbitrario e destituito di una sua verità, finirà per equiparare tutte le religioni in un qualunquismo relativistico che può aprire la strada al non rispetto di diritti umani fondamentali. Anche la religione può esprimersi in forme patologiche ed in questo caso la ragione politica deve correggerla. Per poterlo fare la ragione politica deve a sua volta accettare di farsi correggere dalla religione, che la aiuta a non chiudersi in se stessa [25].

Oltre a discernere tra le religioni alla luce dei diritti umani, lo Stato dovrà garantire alla religione non solo uno spazio privato ma anche uno spazio pubblico. Non sarà cioè sufficiente che i credenti possano liberamente partecipare al culto, occorrerà anche che le comunità religiose, sia a livello sociale che istituzionale, possano partecipare al dibattito pubblico in modo che a Dio sia riconosciuta una “piena cittadinanza” [26] nella società. Così facendo, lo Stato non diventa esso stesso religioso, perché esercitare una ragione aperta alla trascendenza è fonte di libertà di giudizio, mentre diventerebbe ideologicamente antireligioso nel caso facesse il contrario. In questo ambito la neutralità non esiste [27], un presunto spazio pubblico neutro da assoluti religiosi esprime una assolutezza antireligiosa.

Una delle principali forme per la tutela del diritto alla libertà religiosa e degli altri diritti umani, è da parte dello Stato il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza, quando siano in gioco valori inerenti la trascendente dignità della persona umana e quando si ritenga di dover obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Anche in questo caso, lo Stato è tenuto a riconoscere tale diritto non per motivi “religiosi”, ma per due ragioni connesse con la verità della persona umana. La prima ragione è il riconoscimento della coscienza personale come originario spazio di libertà per la persona. Il secondo è il riconoscimento del significato politico dell’obiezione di coscienza, che non è da vedersi come un fatto semplicemente privato, ma anche pubblico in quanto richiama la politica stessa a quanto non è a sua disposizione e, così facendo, la conferma nella propria libertà [28].

[1] Analogamente il paragrafo 1 afferma: “tutti gli uomini sono tenuti a cercare la verità” .

[2] Dignitatis humanae cit., n. 2. “E’ però un diritto in funzione di un dovere. Anzi, come ha ribadito più volte il mio predecessore Paolo VI, è il più fondamentale dei diritti in funzione del primo dei doveri, qual è il dovere di muoversi verso Dio nella luce della verità e con quel moto dell’animo che è amore” (GIOVANNI PAOLO II, Discorso a studiosi giuristi, 10 marzo 1984, n. 6. “Il diritto alla libertà religi
osa presuppone il dovere di cercare la verità su Dio, con una volontà esente da coazioni e con una ragione immune da pregiudizi” (D. MAMBERTI, L’azione della Santa Sede in favore della libertà religiosa, www.zenit.org).

[3] Dignitatis humanae n. 2; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, n. 8.

[4] “La salvezza si trova nella verità” (CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione Dominus Jesus n. 22.

[5] “La libertà religiosa non è licenza di aderire all’errore, né un implicito diritto all’errore” (PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 421, p. 229; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2108).

[6] Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2105.

[7] “Noi crediamo che quest’unica vera religione risieda nella Chiesa cattolica ed apostolica” (Dignitatis humanae, n. 1): “Occorre quindi aver riguardo sia ai doveri verso Cristo, Verbo vivificante che deve essere predicato, sia ai diritti della persona umana” (Ivi, n. 14).

[8] Dignitatis humanae n. 1.

[9] GIOVANNI PAOLO II, Enc. Centesimus annus, n. 47: “Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della persona umana”.

[10] “Solo una verità trascendente è intrascendibile” (G. CREPALDI e S. FONTANA, La dimensione interdisciplinare della Dottrina sociale della Chiesa, Cantagalli, Siena 2006, p 18; ma si veda l’intero capitolo).

[11] GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici, n. 39.

[12] GIOVANNI PAOLO II, Nel rispetto dei diritti umani il segreto della pace vera, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1 gennaio 1999, n. 5.

[13] Ivi, n. 49.

[14] Ivi, n. 5.

[15] La ha di recente ribadito Benedetto XVI nel Discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite del 18 aprile scorso: “Tali diritti sono basati e modellati sulla natura trascendente della persona […]. Il riconoscimento di questa dimensione va rafforzato se vogliamo sostenere la speranza dell’umanità in un mondo migliore”.

[16] GIOVANNI PAOLO II, Enc. Centesimus annus, n. 24.

[17] BENEDETTO XVI, Enc. Spe salvi, n. 35.

[18] Ivi, n. 36.

[19] Non si possono “realizzare semplicemente con l’applicazione di procedure corrette” (BENEDETTO XVI, Discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite – 18 aprile 2008).

[20] Anche a proposito dei diritti umani si può affermare quanto Romano Guardini diceva della vita in generale: “Senza elemento religioso la vita diventa come un motore che non ha più olio» (R. GUARDINI, La fine dell’epoca moderna, Morcelliana, Brescia 10038, p. 98).

[21] R. GUARDINI, La fine dell’epoca moderna cit., p. 100.

[22] BENEDETTO XVI, Discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite – 18 aprile 2008).

[23] Dignitatis humanae cit., n. 2; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2106.

[24] BENEDETTO XVI, La persona umana cuore della pace, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, n. 10.

[25] J. RATZINGER-J. HABERMAS, Etica, religione e Stato liberale, Morcelliana, Brescia 2005.

[26] BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al IV Convegno ecclesiale nazionale della Chiesa italiana, Verona 19 ottobre 2006, in Insegnamenti di Benedetto XVI, II, 2, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, p. 471.

[27] S. FONTANA, El relativismo occidental como cuestión ética y política. Respuesta de la fe cristiana, in “Corintios XIII – Revista de teologia y pastoral de la caridad”, n. 122, abril-junio 2007, pp. 233-268.

[28] PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 399, p. 218.

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ZENIT Staff

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