Il Dio che stronca le guerre

La prima Lettera dell’Ordinario dei Militare, mons. Santo Marcianò, indirizzata alle forze armate

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Ruota attorno ad un passo biblico dell’Antico Testamento (Gdt 16,2) Il Dio che stronca le guerre (ed. Lev, 2014), la prima Lettera che mons. Santo Marcianò, in qualità di Arcivescovo Ordinario dei Militari per l’Italia, ha indirizzato alle forze armate.

Il testo che presentiamo costituisce una rigorosa proposta per l’elaborazione di un sintetico vademecum per una teologia come prassi di pace che si inserisce nel percorso inaugurato da Giovanni Paolo II, quando, nel proclamare l’avvento di una nuova epoca, con  vigoria profetica, affermò: “Mai più la guerra! – perché la guerra non risolve nulla, nemmeno i problemi che l’hanno suscitata”.

La prima parte ripercorre la tragedia della prima guerra mondiale come  “una inutile strage” e la sua lancinante provocazione all’uomo e al credente. La Grande Guerra è letta dal Presule come espressione della situazione non redenta dell’umanità e del suo bisogno di quotidiana conversione. Essa, però, da espressione diviene facilmente una vera e propria struttura di peccato! La storia – secondo Marcianò che in questo assunto sembrerebbe sposare la proposta di Jüngel – testimonia la perdurante tensione “tra la realtà dell’uomo la cui sigla è la guerra, e la verità dell’uomo che è di essere un essere di pace”. (1)

Perciò, il tema centrale che attraversa l’intero documento come il filo conduttore e la cifra ermeneutica è quella pace che Marcianò, da autentico servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo, non esita a definire, addirittura, “futuro della guerra” (p.6).

Ma il Concilio ci dice che “È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo” (GS, n.4). Al pastore che scrive non manca quell’arguzia profetica e pastorale, che consiste nel saper intuire il senso della storia, diffusasi alla fine degli anni ‘40 nell’ambiente teologico francese, ad opera dei teologi Marie Dominique Chenu e Yves Congar. Essa lo porta a percepire che in realtà la pace è ancora lontana e la paura della guerra persiste anche in quella parte del mondo rimasta, come l’attuale occidente, esente per ora dal ripetersi dei drammatici eventi che in passato l’avevano insanguinata. La guerra si è trasformata e diversamente dislocata, ma è tutt’altro che assente. Infatti, sembra essere fallito l’ambizioso sogno dell’uomo occidentale di esorcizzare la grande e antica paura della guerra! A riguardo scrive Marcianò: “Qualcuno – lo ha affermato anche Papa Francesco – inizia a parlare di una «Terza Guerra Mondiale» che si starebbe combattendo «a pezzi» ma che, non per questo, potrebbe essere meno pericolosa” (p. 7).

Nonostante ciò, la questione della pace è ormai da alcuni anni al centro del dibattito e coinvolge molteplici discipline. Infatti, una delle sue prerogative è che può essere percepita sotto molti punti di vista, e Marcianò, attingendo a piene mani al magistero di papa Francesco e avvalendosi della fenomenologia intuitiva, di schellinghiana memoria, che lo connota, indaga, con una pluralità di approcci e linguaggi, il concetto di pace, declinandolo sotto le sue variegate dimensioni: politica, sociale, antropologica, pedagogica, evangelica ed ecclesiale. Sono indicazioni che, a partire dalle istanze emerse da Verona 2006, provano ad inaugurare una sorta di stagione costituente per una nuova primavera della speranza, volta a individuare le linee di azione per trasformare il tema della nuova evangelizzazione da istanza o da appello in concreta scelta di campo, anche nel  mondo militare. Qui con G. Marcel sembrerebbe affermare che il nemico della speranza è l’indifferenza, che è rinuncia alla ricerca della verità e desertificazione della vita spirituale.

Le dimensioni approcciate: politica, sociale, antropologica, pedagogica, evangelica ed ecclesiale sembrano percorrere un andamento argomentativo del tipo chiamata-risposta (secondo il  titolo del celebre manuale di teologia morale del tedesco A. Günthör, Chiamata e risposta, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1994.

Di fronte ai vari approcci, dopo averne analizzato la liceità morale o meno, presenta, quasi in maniera speculare, le proposte etico-teologiche finalizzate, non  solo alla limitazione della violenza e della guerra, quanto alla costruzione di una vera e stabile pace attraverso la fondazione epistemologica di un personalismo comunitario di “mounieriana memoria”, aperto all’intersoggettività e che sappia abitare i confini e dove la riscoperta del senso della patria, (cfr. p.14), il recupero del senso di popolo, (p. 16), e il superamento dei riduzionismi antropologici, (cfr. p. 20) l’instaurarsi di una politica tesa al bene comune, insieme al ri-centramento della persona, vanno a rappresentare quelle cellule della vita sociale su cui bisogna far leva per rimodellare l’intero edificio politico-sociale e per la costruzione di “un luogo dove sentirsi a casa, rispettando la casa e il senso di Patria altrui e mettendosi a servizio degli altri per difenderlo, custodirlo, ricostruirlo” (p.15). Ecco emergere la dimensione politica della pace come arte dello stare insieme, del fare più umana la convivenza tra gli uomini, nel rispetto e nella valorizzazione di tutte le energie disponibili.

Questo rapporto etico interpersonale troverebbe, secondo Marcianò, la sua massima espressione nell’amore perché è nella donazione di sé che si supera ogni sorta di solipsismo, ogni forma di egocentrismo, e ci si apre al riconoscimento dell’altro come prossimo superando così quelle forme anonime e spersonalizzanti prodotte dalla globalizzazione per rendere sempre più comunità i vari ambiti della vita militare.

L’amore, “come logica dell’offerta”(p.26), che definisce l’essere autentico della persona, non è un attributo del carattere o una modalità di realizzazione, ma quella dimensione con cui la persona diventa tale evitando che gli altri le restino estranei e che ella resti estranea a se stessa. La considerazione dell’altro, infatti, è la chiave attraverso la quale possiamo dischiudere lo scrigno prezioso e segreto che è in noi e scoprire l’immenso tesoro di cui Dio ci ha fatto dono: “L’uomo scopre compiutamente se stesso soltanto nella relazione con l’altro uomo” R. Buttiglione, Il pensiero dell’uomo che divenne Giovanni Paolo II, Mondadori, Milano 1998. 365.

Anzi, è probabile che a Marcianò non è estranea la concezione della comunità cui Martin Buber perveniva a partire dalla tesi dell’originarietà della modalità dialogica di rapportarsi al mondo. Cfr. M Buber, Il principio dialogico e altri saggi, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1993.

Per Marcianò è la comunità il luogo in cui si incontrano l’io e il tu. Ma se la comunità presuppone la relazione dialogica, essa non nasce dalla semplice coesistenza umana perché implica responsabilità, ascolto e il reciproco riferimento ai valori del vangelo.

In sintesi, camminare verso la pace significa muoversi verso la meta funzionale di dar dinamismo alla storia: pace vuol dire avviarsi verso quell’unità del soggetto planetario che ancora non esiste.

Così, il suo porsi in pensiero non è mai pura elucubrazione intellettuale, ma è sempre sapienziale meditazione sul concreto della vita, è un’interpretazione illuminata – ispirata dalla fede – sul cammino storico dell’uomo, sul senso del suo presente, sulle luci e le ombre del suo passato, sugli orizzonti del suo futuro. È, in sintesi “un teologare nella vita”.

Da qui si intuisce il merito della proposta di Marcianò il quale estrapola il tema della pace dalla semplice trattazione moralistica, per restituirlo al suo adeguato contesto teologale.

Pertanto, nel panorama (piuttosto esile ad onor del vero) delle più recenti proposte sul tema della pace, quella di Marcianò si impone con vigoria sistematica, buttando una luce inaspettata e originale sui percorsi speculativi più degni di nota. 

< p>Per questo suo pensare, che non è sterile esercizio autoreferenziale dell’intelligenza, in quanto trova riscontro concreto nell’estrinsecarsi storico della sua azione pastorale, mons. Marcianò si sta riproponendo anche nella diocesi militare che Lui non esita a definire una Chiesa senza confini (p.15), un testimone indefesso della speranza che sa agire nel nostro tempo con uno sguardo sempre oltre i ristretti confini immediati della cronaca, quale umile costruttore di quel tanto auspicato nuovo umanesimo cristiano, con quel radicalismo evangelico che pervade ogni suo pensiero ed ogni sua azione.

In breve, si tratta di inventare, nella nuova stagione della post-modernità, le nuove strade della testimonianza cristiana. Queste pagine vorrebbero rappresentare un aiuto alla lettura degli avvenimenti e all’individuazione di nuove vie di presenza e di testimonianza anche nel mondo militare.

***

Note

(1) E. Jüngel, L’essenza della pace, Morcelliana, Brescia 1984.

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Pietro Groccia

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