Il coraggio di adottare bambini speciali

La storia di Simona che ha realizzato il suo desiderio di maternità accogliendo i bambini che nessuno voleva

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Sono Simona! Ringrazio Dio per il dono della Comunità Cenacolo perché giorno dopo giorno mi ha donato una qualità di vita infinitamente superiore a quella che facevo prima. Anche se non mi sono mai drogata, sono arrivata in Comunità alla ricerca di qualcosa di più che ho cercato in tante forme di divertimento fuori, anche nel lavoro, forme di soddisfazione professionale, viaggi, tante cose che però non mi portavano da nessuna parte.

Quando sono arrivata in Comunità, anche io come mio marito Daniele ci siamo conosciuti a Medjugorje per la prima volta, ho sentito di essere finalmente arrivata a casa.

È stato bello quando ci siamo conosciuti e poi abbiamo iniziato a fare quest’amicizia che ci ha portato poi al matrimonio. Tra le prime cose condivise abbiamo detto che ci sentivamo veramente a casa, per cui tutto quello che è arrivato dopo è stato una scelta che è partita dal desiderio forte e dal grande amore che il Signore aveva messo nei nostri cuori per la Comunità Cenacolo, la nostra famiglia, la nostra casa. Da lì è partito tutto.

Abbiamo voluto vivere il fidanzamento in modo cristiano, poi siamo arrivati al matrimonio; dopo un anno e mezzo di matrimonio non arrivavano figli biologici, naturali, allora abbiamo alzato gli occhi al cielo e chiesto a Lui che cosa volesse per noi, per dire che la nostra vita e la nostra famiglia per scelta libera erano nelle sue mani.

Per la prima volta tutti e due, prima personalmente, poi come famiglia avevamo l’unico desiderio di fare la volontà del Signore, capire cosa il Signore ci stava chiedendo. Piano piano nella preghiera è emerso questo desiderio nostro di volere una famiglia grande con tanti bambini, questo amore grandissimo che avevamo nel cuore, che abbiamo ricevuto in Comunità e in questo stato d’animo aperto alla vita, bello, consapevole di essere in un’opera grandiosa di Dio che è la Comunità Cenacolo è arrivata la chiamata di accogliere questi bambini speciali.

Ricordo che la prima cosa che mi è venuta nel cuore l’ho condivisa a Daniele: “Dani, è vero, ci sono tanti bambini in missione a cui donare l’amore, da accogliere, che hanno bisogno di una mamma e papà, però nel cuore sento forte questo desiderio di accogliere i bambini che nessuno vuole”.

Ce l’aveva messo il Signore questo desiderio, non sapevo bene cosa volesse dire questo. Poi siamo andati da suor Elvira per capire bene, e lei ci ha detto: “Fate un anno di silenzio, non parlatene tra di voi, pregate solo, e poi fra un anno vedremo: se tutto viene da Dio, questa cosa bella che ha messo nel vostro cuore porterà frutto.”

Infatti in quell’anno abbiamo capito che questi bambini che nessuno voleva erano bambini speciali, erano i bambini disabili.

Quando abbiamo realizzato che questo era il disegno di Dio per noi ci siamo un po’ spaventati perché abbiamo detto: “Mamma mia, noi siamo proprio dei poveracci, saremo in grado? Non sappiamo niente di questi bambini”, però nella preghiera abbiamo ricevuto la grazia del coraggio di iniziare questo cammino, perché, ripensandoci, gli ostacoli e le barriere che ci sono stati fra noi e i bambini sono stati davvero tanti.

Andavi nel tribunale e ti dicevano: “No, perché lui è stato tossico, vivete in Comunità e non prendete lo stipendio, come fate a mantenete questi bambini? Perché proprio bambini disabili? Siete ancora giovani, non avete nessun figlio, perché il desiderio di adottare questi bambini qui?”.</p>

Ci mettevano di fronte tutte le cose vere, anche giuste a cui potevamo andare incontro, però avevamo dentro questo coraggio, questa forza che adesso riconosco essere una grazia di Dio, non veniva da noi.

Finalmente ci hanno aperto le porte per accogliere il nostro primo figlio, Omar,  l’abbiamo preso che aveva un anno e mezzo. Ci dava un bel po’ da fare, se vuoi seguirlo bene e ti dedichi totalmente, non volevamo lasciarlo da solo ed eravamo aperti ad accogliere quello che il Signore ci chiedeva, i figli che Lui ci mandava.

Così ci hanno chiamato per Chiara, che è una bimba che ha la sindrome di Down e poi è arrivato anche Francesco, che è un bimbo che ha gli stessi problemi di Omar e non si sa se camminerà.

Sono tre bambini stupendi, sono la nostra gioia e per noi è bellissimo vivere in una Comunità come questa dove Gesù Risorto è al centro di tutto, e che vediamo operare guardando i ragazzi che sono entrati da poco e che piano piano rinascono.

Sei immersa nella Risurrezione di Dio in ogni momento e vedi anche i nostri figli, che erano quasi morti perché vivevano la sofferenza dell’abbandono, con tanti problemi di salute che sarebbero difficili da portare per un adulto, vedere che ritornano a vivere: sparisce quell’ansia, quell’angoscia di essere soli al mondo, si sentono voluti bene, non si sentono guardati come marziani quando escono da casa perché tutti i ragazzi e le ragazze li accolgono – perché sono stati emarginati prima di tutto loro, per cui accogliere i nostri bambini è una cosa normale – e questo li fa sentire più vicini alla normalità.

Vivere tutto questo quotidianamente, tutto questo amore, questa luce ogni giorno è un miracolo grandissimo.

Tempo fa ho avuto il dono di andare a vedere la Sindone. È stato bello, ho pensato tante volte alla storia della Sindone perché mia mamma era proprio appassionata, per cui fin da piccola ne sentivo parlare. Trovarmi lì davanti mi ha colpito tanto, vedere tutti i segni visibili che si vedono su Gesù, ma soprattutto vedere il dorso, la flagellazione di quest’uomo dal capo ai piedi: non c’era un millimetro del suo corpo che non fosse stato flagellato, e davanti c’era Omar che con la sua macchinina elettrica; è passato sotto la Sindone e c’era anche mio marito.

Mi è venuta questa preghiera: “Guarda Gesù, un po’ di quella flagellazione loro l’hanno vissuta e ce l’hanno ancora sulla pelle”.

Però, guardando la Sindone non vedevo solo l’uomo crocifisso, ma ho visto la Risurrezione di quell’uomo, quell’ esplosione di luce che ha impressionato su quel lenzuolo tutta quella sofferenza, e dopo la sofferenza c’è stata proprio la risurrezione.

È lì che mi sono fermata e ho detto: “Sì, credo veramente che tutta la sofferenza che vedo nei miei figli, che portano le loro piccole e grandi croci tutti i giorni, e quella che condividiamo con loro ha senso proprio nell’esplosione di luce di questa Risurrezione. Davvero in Comunità Cenacolo respiriamo e viviamo questo ogni momento.

E questa è la cosa bella che ci ha convinto a dire sì, a rimanere qui e non spostarci più, perché la luce che viviamo qui è fatta di questa risurrezione. Ci rendiamo conto che purtroppo nel mondo c’è tanto buio, e preghiamo tante volte che tante persone che hanno vissuto e tanti bimbi che sono senza genitori, tante persone che sono nella disperazione incontrino questa luce, quest’esplosione di luce di Gesù, della sua Risurrezione che abbiamo incontrato noi e che viviamo quotidianamente. Grazie.

Fonte: Comunità Cenacolo

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ZENIT Staff

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