Il celibato sacerdotale è psicologicamente pericoloso?

Intervista ad Aquilino Polaino Lorente, docente di Psicopatologia

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di Carmen Elena Villa

ROMA, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il 5 marzo scorso si è concluso presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma il Congresso “Il celibato sacerdotale: teologia e vita”, organizzato dalla Facoltà di Teologia dell’ateneo e patrocinato dalla Congregazione per il Clero, nel contesto dell’Anno Sacerdotale.

Uno degli interventi più apprezzati dal pubblico, composto soprattutto da diaconi e sacerdoti, è stato “La realizzazione della persona nel celibato sacerdotale”, del professore spagnolo Aquilino Polaino Lorente.

Polaino è medico presso l’Università di Granada. Ha poi studiato Psicologia Clinica all’Università Complutense di Madrid ed è dottore in Medicina presso l’Università di Siviglia. E’ anche laureato in Filosofia presso l’Università di Navarra.

Ha quindi ampliato i suoi studi in vari istituti di istruzione superiore europei e americani. Dal 1978 al 2004 è stato docente di Psicopatologia alla Complutense di Madrid, e attualmente insegna la stessa materia all’Università San Pablo della capitale spagnola.

Ha scritto molti articoli e libri, soprattutto sui problemi psicologici infantili e giovanili e su quelli familiari. E’ membro di accademie di medicina di varie città spagnole, collaboratore di numerosi organismi e per il suo lavoro e il suo bagaglio culturale gli sono stati conferiti molti premi.

ZENIT ha intervistato il professor Polaino, che spiega come una corretta visione della sessualità, in cui si devono integrare amore, apertura alla vita e piacere, possa comprendere anche il senso del celibato al quale sono chiamate alcune persone per essere più disponibili all’apostolato e a vivere l’amore universale. “Dio non chiede cose impossibili a una persona che chiama al suo servizio”, ha detto nel suo intervento riferendosi al tema centrale del Congresso.

Il celibato sacerdotale è psicologicamente pericoloso?

Prof. Polaino: Non è affatto pericoloso, perché forse è ben compatibile con quella che è la struttura antropologica realista della condizione umana. Ha le sue difficoltà, com’è logico, visto che la natura umana è un po’ deteriorata e bisogna integrare tutte le dimensioni. A me sembra più pericoloso il comportamento sessuale aperto, non normativo, in cui tutto vale. Credo che questo abbia conseguenze più destrutturanti per la personalità rispetto al celibato ben vissuto in pienezza, senza rotture.

Di quali mezzi si deve avvalere il sacerdote per essere fedele al voto del celibato tutti i giorni della sua vita?

Prof. Polaino: La tradizione della Chiesa ha una moltitudine di consigli che si possono mettere in pratica e sono efficaci, ad esempio la custodia del cuore e quella della vista. Ciò che non si vede non si sente. Non bisogna neanche guardare per terra, ma si può vedere senza guardare. Ciò assicura la pulizia del cuore, e il vivere il primo comandamento, che è amare Dio al di sopra di tutte le cose. In una pentola a pressione le mosche non entrano. Un cuore soddisfatto non si perde in meschinità o in frammentazioni.

Crede che la cultura edonista di questo nuovo secolo, così diffusa nei mezzi di comunicazione, influisca sul fatto che alcuni sacerdoti non sono fedeli al voto del celibato?

Prof. Polaino: E’ possibile, perché anche i sacerdoti hanno la fragilità della condizione umana. Credo che ci si debba concentrare maggiormente sull’immenso numero di sacerdoti fedeli alla loro vocazione. Una cosa eccezionale avviene anche nella vita sacerdotale, ma è appunto un’eccezione. Anche se a livello giornalistico è corretto guardare all’eccezione, non possiamo essere ciechi di fronte alla stragrande maggioranza dei sacerdoti che sono leali, vivono la loro vocazione in pienezza, sono felici. E’ un aspetto da sottolineare.

Una retta visione della sessualità può dare una retta visione della vita nel celibato?

Prof. Polaino: Sì. Credo che la sessualità sia oggi una realtà molto confusa, una facoltà sulla quale ci sono più errori che punti di accordo rispetto a quella che è la natura umana, e forse è un programma da insegnare a impartire a tutte le età perché, essendo uno degli assi fondamentali della vita umana, se non è ben compresa, se la gente non è ben formata, vivrà una grande confusione. Ciò interessa sia i seminaristi che i giovani o le coppie di fidanzati. E’ un’educazione per la vita. E’ una materia che a volte si insegna male perché si insegnano gli errori, e questo fa confondere ancor di più. Bisogna spiegare questa materia con un rigore scientifico fondato sulla natura umana.

Che cosa significa che il sacerdote è chiamato ad essere padre spirituale?

Prof. Polaino: Credo che questo sia uno dei temi che sono stati poco approfonditi. La paternità spirituale la devono vivere anche i padri biologici, e molti di loro non ne hanno mai sentito parlare. La paternità spirituale è, in qualche modo, vivere tutte le opere di misericordia, consolare chi è triste, redimere il prigioniero, essere ospitali, confermare l’altro in ciò in cui vale, evitargli i problemi, esortarlo e motivarlo perché sperimenti una crescita personale, stimolare la comparsa di valori che ha già perché derivano dalla sua natura, ma forse non si è stati capaci di trovarli o farli crescere. Credo che questo mondo sia orfano di questa paternità spirituale e della maternità spirituale, e penso che sia una dimensione che il sacerdote vive quasi senza rendersene conto.

La vita nel celibato può rendere più feconda questa paternità spirituale?

Prof. Polaino: Necessariamente sì, perchè c’è più tempo, c’è più disponibilità. Se l’obiettivo finale è l’unione con Dio, la paternità spirituale acquista più senso perché è la migliore immagine della paternità divina nel mondo contemporaneo. Per questo ci si pone come mediatori, e nella misura in cui vive la filiazione divina vivrà anche la paternità spirituale.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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