Il caso Englaro e la sofferenza del morire


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di Tonino Cantelmi*

ROMA, mercoledì, 11 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Ma nei cosiddetti “stati vegetativi” la morte per disidratazione (o più banalmente per fame e sete) fa soffrire? Sì, secondo i genitori di Terry Schiavo, che hanno assistito alla incredibile agonia della figlia, anch’essa in stato vegetativo ed anch’essa condannata alla morte. Eluana Englaro è morta da sola, prima del previsto e non abbiamo narrazioni di quel momento.

La domanda sulla sofferenza del morire nello stato vegetativo può sembrare ingenua. In realtà ruota intorno ad un quesito drammatico. Chi versa in uno stato vegetativo (in una sorta di vita-morte indefinita) “prova” qualcosa, una emozione, una sensazione o una qualche imprecisata vibrazione dell’anima? Oppure vive in una sorta di totale sospensione, in una specie di buio dell’esistenza-non esistenza? Secondo la scienza la risposta è: non lo sappiamo. Non possiamo escluderlo e non possiamo affermarlo. Secondo il padre di Eluana, no, non “prova” nulla. Secondo i genitori di Terry Schiavo, sì. Secondo le suore che hanno assistito Eluana Englaro per 17 anni, sì. Secondo molti genitori che hanno in casa figli nelle stesse condizioni in cui era Eluana, sì.

Le testimonianze si susseguono in modo impressionante. I genitori, i fratelli, coloro che assistono le persone in stato vegetativo concordano nel dire che sì, una forma peculiare, sottile, magmatica di vita di relazione c’è. Il loro caro riconosce la presenza, si emoziona alle carezze, muove gli occhi per comunicare qualcosa, insomma “prova” qualcosa, c’è, è in relazione, partecipa alla vita della famiglia. Non c’è dubbio: si tratta di relazioni speciali, decodificabili solo all’interno di un amore indistruttibile, che spinge il caregiver a prendersi cura del malato riuscendo a riconoscerlo come persona e non come un corpo vivo-morto, oggetto solo di manipolazioni per tenerlo in vita.

In Italia sono circa 3000 le persone come Eluana Englaro, che spesso vivono in casa e, secondo i loro parenti, “partecipano” alla vita della famiglia ed al susseguirsi degli eventi. Se dunque anche nello stato vegetativo è possibile rintracciare una qualche forma di vita relazionale e percepire i segni di uno sconosciuto abisso emozionale, allora non c’è dubbio: anche in questo caso la morte per fame e per sete è una morte terribile, proprio come testimoniano i genitori di Terry Schiavo, una morte che si accompagna anche a reazioni fisiche che possono essere ricondotte a una sorta di “ansia”.

Non a caso è una morte che prevede la somministrazione di farmaci sedativi, in grado di spegnere anche l’ultimo barlume di reattività (o di vitalità?) della persona.

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*Presidente dell’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici

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ZENIT Staff

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