Il carcere come nuova frontiera per le imprese sociali

Moda, cibo e lifestyle sono gli originali obiettivi degli istituti penitenziari. Lo scopo? Regalare dignità e speranza a chi vive in condizioni difficili attraverso percorsi di formazione professionale e opportunità di lavoro

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Se il tema “integrazione ed accoglienza” si pone oggi al centro dei dibattiti socio-politici, l’espressione “vita carceraria” e il termine “pena” non sono da meno.

I consistenti e considerevoli cambiamenti in termini legislativi avvenuti negli ultimi anni, circa la valorizzazione della persona e l’obiettivo di offrire al reo strumenti ed opportunità per la sua rieducazione, hanno fatto sì che la pena potesse aiutare la crescita individuale e i rapporti sociali.

A favorire ulteriormente lo sviluppo di tale obiettivo si sono unite particolari cooperative ed associazioni che nutrivano, e nutrono tutt’ora, l’idea che il carcere da luogo di espiazione della condanna si trasformi in luogo di lavoro. Ed è così che dalla moda, alla cucina fino a raggiungere molti altri settori riguardanti il lifestyle e il design, i detenuti hanno la possibilità di dare vita alla loro creatività ed entrare nel mondo del lavoro.

Cibo ed artigianato si propongono come nuovi mezzi di comunicazione e di sensibilizzazione per la vita carceraria condividendo messaggi di speranza, giustizia, legalità a favore dei diritti umani. Il desiderio di esprimere la propria arte attraverso la serigrafia e la stampa su magliette e felpe ha fatto sì che l’idea nata nel 1983 da un gruppo di detenuti nel carcere capitolino di Rebibbia si trasformasse nel noto marchio di moda “Made in Jail”.

Una volta scontata la loro pena verso la fine degli anni ’80, lo stesso gruppo fondatore del brand ha deciso di dare vita ad una cooperativa costituita da persone che lavoreranno sia dentro che fuori gli Istituti Penitenziari offrendo formazione professionale e inserimento nel mondo lavorativo.

In ambito del tutto femminile, Lacasadipinocchio si presenta come Associazione Culturale situata nella Casa Circondariale di Lorusso e Cotugno, a Torino. Dal 2008 offre alle donne, in un’età compresa fra i 25 e 55 anni, di lavorare all’interno di un laboratorio artigianale per la creazione di borse, bijoux, abbigliamento bambino e oggetti per la casa. L’obiettivo è d’incentivare il reinserimento sociale delle detenute. Si tratta di sostegni che non interagiscono solo con lo sviluppo sostenibile, ma anche con la valorizzazione della persona e il suo benessere spirituale.

Un’altra città che riserva l’obiettivo d’incrementare una linea di pensiero etica e di rispetto per l’ambiente è Venezia, grazie alla giovane cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri, nata nel 2013. “Ricominciare” è la parola chiave sulla quale si basa la filosofia della struttura rivolta anch’essa agli istituti penitenziari del luogo. Magliette, borse ed accessori realizzati in PVC riciclato, articoli di cosmetica e la vendita di prodotti ortofrutticoli biologici, si presentano come il frutto del lavoro svolto dai detenuti durante le attività di volontariato e risocializzazione.

Testimonianza d’imprese sociali nel mondo carcerario presenti nel territorio nazionale, sono anche la Banda Biscotti e Lazzarelle, volte entrambe ad offrire tipiche specialità italiane come dolci e caffè. I due progetti – nati l’uno 35 anni fa dalla Fondazione Casa di Carità Arti e Mestieri Onlus, l’altro nella Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli – nutrono la prospettiva di porre una maggiore attenzione verso la vita carceraria rispettando e tutelando la vita dei più deboli. Anche da qui la produzione di dolciumi artigianali, caffè, tè e tisane dietro le sbarre, si sviluppa fino ad affermarsi come nuove micro-imprese. 

Grazie a queste iniziative il carcere, da spazio chiuso e dimenticato si trasforma in luogo che offre opportunità di cambiamento e dignitose aspettative per le persone che vivono in condizioni difficili. Uno spirito di aiuto, quindi, ulteriormente incrementato dai clienti che si prestano ad acquistare i prodotti e che, in tal modo, donano speranza per la continuazione di un lavoro dignitoso e fiducia per il futuro dei detenuti.   

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Maria Anastasia Leorato

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