Il Cappellano delle navi non è un lavoro, ma una vera missione

La testimonianza di padre Emanuele Iovannella, cappellano della Costa Crociere

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di H. Sergio Mora

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 26 novembre 2012 (ZENIT.org)Nella quarta giornata dei lavori del XXIII Congresso Mondiale dell’Apostolato del Mare che si svolge nell’Aula del Sinodo, si è parlato di due temi molto differenti: le crociere e la pirateria.

Dopo la giornata, i partecipanti si sono ritirati nella residenza “Tra Noi”, situata a pochi minuti dal Vaticano. È difficile immaginare una multietnicità come quella presente all’incontro, considerando tutti i continenti, i paesi, le razze e le lingue partecipanti.

Tra i relatori c’era anche il sacerdote italiano Emanuele Iovannella, francescano, cappellano per la Costa Crociere, che ha raccontato a ZENIT la sua testimonianza.

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Che cosa è un cappellano di nave? La Costa Crociere è l’unica società che li ha?

Padre Iovannella: In Europa, solo la Costa Crociere ha dei cappellani a bordo, al contrario di molte aziende americane che li hanno quasi tutte. Io sono cappellano dell’Apostolato del Mare, che non si può considerare un lavoro, ma una vera e propria missione. Noi cappellani siamo anche lavoratori marittimi, perché condividiamo la vita di bordo. Si tratta di una chiamata a un servizio perché l’equipaggio che vive in queste navi ha contratti di sei o otto mesi, lontano dalle proprie famiglie, dai propri bambini, affetti e paesi. E in tutto questo tempo chi è più debole soffre una crisi; il cappellano, quindi, oltre alla sua attività puramente spirituale, svolge anche un ruolo per migliorare la qualità sociale, umana e spirituale del lavoro.


Quindi il cappellanno non è solo un amministratore dei sacramenti?

Padre Iovannella: Di fatto siamo responsabili del “welfare” ufficiale. Un ruolo che significa e si concretizza nella cura delle persone che devono vivere insieme. Immaginate una nave da crociera: a bordo ci sono circa 4.000 persone, di cui più di mille provenienti da 35 diversi paesi, religioni e culture. Quindi, il cappellano deve cercare di coordinare il tutto, ottenendo un ambiente umano, caratterizzato dal rispetto reciproco e cordiale.

Come è considerata a bordo la figura del cappellano?

Padre Iovannella: Il cappellano è visto in modo straordinario, perché è come un parroco che però vive  fianco a fianco con l’equipaggio, 24 ore su 24. Quindi è visto come una persona che vive i problemi della nave e del lavoro. Mi piace sottolineare un punto in particolare : la preziosità di questa presenza.

Ricorda qualche caso particolare?

Padre Iovannella: Ricordo la storia drammatica di un lavoratore marittimo filippino di 28 anni, che ha ricevuto al telefono la notizia della morte di sua moglie incinta. Era disperato, venne nel mio ufficio, ha fatto tantissime telefonate. Eravamo in navigazione e quindi non potevamo sbarcare. Ho chiesto al capitano che in quei giorni non lo facesse lavorare e gli sono stato molto vicino. Era a bordo da un solo mese, e quindi era senza soldi. Abbiamo fatto una colletta a bordo, raccogliendo più di quanto mi aspettassi. Nelle Filippine si sposano giovani e questo lavoratore aveva tre figli e si chiedeva come avrebbe fatto a fare per far fronte. Tramite Internet ho contattato il provinciale francescano della mia congregazione nelle Filippine e gli ho chiesto di far entrare i figli del lavoratore in una scuola, così che una volta tornato avrebbe potuto lavorare lì per mantenerli. Due mesi dopo mi ha scritto una e-mail in cui mi ringraziava e mi annunciava che stava tornando per imbarcarsi.

La maggior parte dei filippini è cattolica. Con gli altri come si relaziona?

Padre Iovannella: Come testimonianza non siamo cappellani solo per la parte cattolica. Certo, io sono un prete cattolico a bordo, ma abbiamo anche induisti, protestanti, ecc. Un giovane indiano, responsabile di una comunità indù, una volta mi chiese se potevo aiutarlo con i suoi festeggiamenti. Mi resi disponibile a dargli una mano. Pochi mesi dopo venne nel mio ufficio, e mi disse: “Sto per atterrare e volevo ringraziarla”. Indicando l’immagine di Gesù sulla mia scrivania mi disse: “Io non Lo conosco, ma conosco te e vedo che sei una brava persona, quindi posso sapere che anche Lui lo è”. Poi si tolse le scarpe e inchinandosi mi baciò i piedi, lasciandomi pietrificato. Poi mi spiegò: “In Indonesia facciamo così con i nostri genitori per augurare loro una lunga vita”.


Quali attività religiose si svolgono a bordo?

Padre Iovannella: Ogni giorno viene celebrata la Messa quotidiana per tutti i passeggeri e per l’equipaggio. Per le persone che vengono a Messa tutti i giorni ci sono poi degli incontri straordinari con diaconi, ministri dell’Eucaristia, persone che vivono la fede e via dicendo. L’equipaggio si apre molto con i cappellani, indicando le proprie difficoltà.


Che valore ha l’incontro con queste persone?

Padre Iovannella: I arricchente e vero perché a volte ciò che si ottiene è più di ciò che diamo, perché questi ragazzi sono lontano da casa, nella speranza di creare un futuro migliore e di vivere così a lungo a bordo. Per questo, il cappellano diventa un fratello, un padre, perché la vita è frenetica e bordo siano il cappellano ritorna più volte il soggiorno il più calmo possibile.

Il titolo del suo intervento è stato: “Gesù si avvicinò e camminava con loro”.  Perché?

Padre Iovannella: Il cappellano svolge una straordinaria azione umana, rende visibile la presenza di Cristo sulla nave. Così ho scelto questo tema: “Gesù si avvicinò e camminava con loro.” Il cappellano è colui che cammina con gli uomini, perché parla dall’alto, ma allo stesso tempo vive i problemi della nave. Credo che questa sia una testimonianza particolarmente credibile. Se si è segno di unione, di comunione di ‘pane spezzato’, mantenendo sempre il sorriso, si dona davvero un aiuto alla gente, si diventa una “enciclica di vita”.

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ZENIT Staff

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