Il Beato Clemente Vismara, “Patriarca della Birmania”


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di padre Piero Gheddo*

ROMA, giovedì, 7 aprile 2011 (ZENIT.org).- Cari amici lettori, la notizia la sapete già ma ve la ripeto con gioia. Sabato 2 aprile scorso, il Papa ha firmato il decreto sul miracolo che apre la via alla beatificazione di padre Clemente Vismara, missionario in Birmania per 65 anni, morto nel 1988 a 91 anni. Era l’una del pomeriggio e poco dopo la Sala Stampa Vaticana pubblicava la notizia. Ad Agrate Brianza, il paese natale di padre Clemente, il parroco don Mauro Radice ha fatto suonare le campane a festa per un quarto d’ora. La gente stava pranzando e hanno capito subito che quelle campane annunziavano la prossima beatificazione di Clemente, la cui statua è già nella piazza della chiesa! Si sono comunicati la notizia e hanno ringraziato il Signore.

La presidente degli “Amici di padre Clemente”, Rita Gervasoni, mi ha telefonato: “Sa cosa ho fatto quando suonavano quelle campane? Ho immaginato padre Clemente che nei verdi pascoli del Paradiso faceva un girotondo con i suoi orfani e poi mi è venuta in mente una sua lettera che diceva pressappoco così: ‘Ho nostalgia del campanile e delle campane del mio Agrate! Qui tuonano le bombe e sparano le mitraglie, ma ogni tanto, per consolarmi, immagino di sentire le cinque campane di Agrate suonare a festa’. Caro Clemente, non immaginava nemmeno che oggi suonano perché lui diventa Beato! Le dico la verità, mi sono commossa e mi sono subito inginocchiata per ringraziare il Signore di questa grande grazia che fa a tutta la Chiesa universale”.

Chi era Clemente Vismara e perché diventa Beato? Nato ad Agrate Brianza nel 1897, eroe della prima guerra passa tre anni in trincea come fante e termina la guerra come sergente maggiore con tre medaglie al valor militare. Capisce che “la vita ha valore solo se la si dona agli altri” (scriveva) e diventa sacerdote e missionario del Pime nel 1923 e subito parte per la lontana Birmania dov’è destinato a Kengtung, territorio forestale e montuoso abitato da tribali e quasi inesplorato, ancora sotto il dominio di un re locale (saboà) patrocinato dagli inglesi. Parte con due confratelli dall’ultima città col governatore inglese, Toungoo, e arrivano a Kengtung in 14 giorni a cavallo. Tre mesi di sosta per imparare qualcosa delle lingue locali e poi il superiore della missione in sei giorni a cavallo lo porta alla sua ultima destinazione, Monglin ai confini tra Laos, Cina e Thailandia.

Era l’ottobre 1924 e in 32 anni (con un’altra guerra mondiale in mezzo, prigioniero dei giapponesi), fonda tre missioni da zero che oggi sono parrocchie: Monglin, Mong Phyak e Kenglap. In una delle sue prime lettere scriveva ad Agrate: “Qui sono a 120 chilometri da Kengtung e se voglio vedere un altro cristiano debbo guardarmi allo specchio”. Ha con sé tre orfani che gli tengono compagnia, vivono in un capannone di fango e paglia, il suo apostolato è di girare i villaggi dei tribali a cavallo, piantare la sua tenda e farsi conoscere: porta medicine, strappa i denti che fanno male, si adatta a vivere con loro, al clima, ai pericoli, al cibo, mangiano topi e scimmie, riso e salsa piccante. E poi, fin dall’inizio porta a Monglin orfani o bambini abbandonati per educarli. In seguito fonda un orfanotrofio e viveva con 200-250 orfani e orfane. Oggi è invocato come “protettore dei bambini” e fa molte grazie che riguardano i piccoli.

Una vita poverissima e Clemente scrive: “Qui è peggio che quando ero in trincea sull’Adamello e il Monte Maio, ma questa guerra l’ho voluta io e debbo combatterla fino in fondo con l’aiuto di Dio. Sono sempre nelle mani di Dio”. Giorgio Torelli ha scritto: “Qualunque storia sul cielo e sulla terra sappiano raccontarvi, date retta a uno che ha veduto e toccato con mano: grande come questa vicenda ce n’é poche o forse nessuna”.

A poco a poco nasce una cristianità, vengono le suore italiane di Maria Bambina ad aiutarlo, fonda scuole e cappelle, officine e risaie, canali d’irrigazione, insegna la falegnameria e la meccanica, costruisce case in muratura e porta nuove coltivazioni, il frumento, il baco da seta, la verdura (carote, cipolle, insalata – il padre mangia l’erba dicevano all’inizio), ecc. Soprattutto il Beato Clemente ha portato il Vangelo, ha fatto nascere la Chiesa in un angolo di mondo dove non ci sono turisti ma solo contrabbandieri d’oppio, stregoni e guerriglieri di varia estrazione, e poi i membri di tribù che, attraverso la scuola e l’assistenza sanitaria si stanno elevando e oggi hanno medici e infermieri, falegnami e insegnanti, preti e suore e persino vescovi. Non pochi si chiamano Clemente e Clementina.

Ma fin qui ho raccontato solo la prima parte della sua lunga militanza clamorosa. Per conoscerla tutta vi rimando alla biografia “Prima del sole”, perchè Clemente, poeta e sognatore, si alzava prestissimo e saliva sulla vicina collina per veder nascere il sole. Scriveva: “Quando vedo nascere il sole, capisco che Dio non mi ha abbandonato”. E’ morto nel 1988 a 91 anni nella seconda cittadella cristiana costruita a Mongping, dopo 65 anni di vita missionaria, uno dei fondatori della diocesi di Kengtung in Birmania, che i vescovi birmani hanno proclamato “Patriarca della Birmania” nei suoi 60 anni di Birmania (1983).

Clemente rappresenta bene le virtù dei missionari nella storia della Chiesa e i valori da tramandare alle generzioni future. Nell’ultimo mezzo secolo la missione alle genti è cambiata radicalmente, sempre però continuando ad essere quello che Gesù vuole: “Andate in tutto il mondo, annunziate il Vangelo a tutte le creature”. Ma i metodi nuovi (responsabilità della Chiesa locale, inculturazione, dialogo interreligioso, ecc.) debbono essere vissuti nello spirito e nella continuità della Tradizione ecclesiale che risale addirittura agli Apostoli.

Clemente è uno degli ultimi anelli di questa gloriosa Tradizione. Due gli aspetti importanti della sua vita, indispensabili anche oggi: la fiducia assoluta nella Provvidenza e l’amore totale al suo popolo. Apprezzava il denaro perchè serviva a realizzare la carità e la missione, ne chiedeva a parenti e amici. Ha fondato cinque parrocchie con tutte le strutture necessarie, manteneva 200-250 orfani e orfane, molti poveri e lebbrosi, dieci o più vedove senza casa né cibo. Ma non era mai preoccupato del futuro: si fidava della Provvidenza. Il 9 maggio 1962 scriveva al nipote Innocente Vismara: “La spesa totale in un anno si aggira sui quattro milioni di lire. Non tengo conti perchè ho timore che poi Dio se l’abbia a male: vado avanti ad occhi chiusi, è meglio”. Suor Battistina Sironi che è stata con Clemente negli ultimi trent’anni della sua vita a Mongping, nel febbraio 1993 a Kengtung mi diceva: “Padre Clemente non teneva nessun tipo di contabilità. Riceveva aiuti dagli amici in Italia e in America perchè scriveva molto e spendeva quel che riceveva. La borsa era vuota, ma il giorno dopo era piena. Non ha mai fatto conti né preventivi né bilanci di spesa. Quando aveva bisogno di soldi, frugava nella borsa e misteriosamente ce n’era sempre”.

Il 21 settembre 1978 scriveva ad un amico italiano: “Non te la scaldare tanto per i soldi. Se me li mandano, bene, se non li mandano non me ne importa. La Provvidenza c’è e la devo ringraziare… Più si dona e più si riceve, niente paura”. Ad un altro amico il 18 febbraio 1964: “Il denaro è come la paglia: vola via. Io poi sono sempre impegnato in costruzioni e sono spese da orbi. Ma la Provvidenza c’è sempre”. In una occasione ringrazia un parente in Italia per le 100.000 lire che gli ha mandato e aggiunge (22 settembre 1961): “Perdiamo, perdiamo quaggiù, se vogliamo ricevere lassù quello che abbiamo perduto. La mia è un’amministrazione un po’… apostolica. Non ho tempo né testa per tenere registri, vado avanti a occhi chiusi, non tengo registrazione alcuna. Spendo, spendo e vedo che ce n’è sempre”.

Clemente era innamorato del suo popolo, specie dei piccoli e degli ultimi e scriv
eva: “Questi orfani non sono miei, ma di Dio e Dio non lascia mai mancare il necessario”. Viveva alla lettera quanto dice Gesù nel Vangelo: “Non preoccupatevi troppo dicendo: ‘Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Come ci vestiremo?’. Sono quelli che non conoscono Dio che si preoccupano di tutte queste cose… Voi invece cercate il Regno di Dio e fate la sua volontà: tutto il resto Dio ve lo darà in più” (Matt. 6, 31-34). Utopia? No, in Clemente era una realtà vissuta, che gli portava la gioia nel cuore nonostante tutti i problemi che aveva.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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ZENIT Staff

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