I vescovi francesi richiamano a "una cultura di cura" nel rispetto dei più vulnerabili

Con una Dichiarazione redatta da alcuni esperti in bioetica, la Conferenza episcopale francese interviene nel dibattito sul ‘fine vita’

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In Francia inizia domani, 21 gennaio 2015, il dibattito in Assemblea nazionale sul ‘fine vita’, epilogo di tre anni di discussione conclusi con il Rapporto finale, stilato a fine 2014 dai deputati Claeys e Leonetti. Sul tema è intervenuta oggi anche la Conferenza episcopale francese, guidata dall’arcivescovo di Rennes mons. Pierre d’Ornellas, con una Dichiarazione che è stata presentata oggi a Parigi.

Il testo, redatto da esperti in materia scelti dai vescovi francesi, afferma che “la lunga marcia verso la piena cittadinanza, compresa fino all’ultimo momento della vita non si realizza rivendicando nuovi diritti: è indispensabile sviluppare una cultura di cura mettendo in luce e in opera la solidarietà e la fraternità. Se la cittadinanza richiede parità di accesso per tutti alle cure palliative, esige anche la fraternità che dà senso all’accompagnamento e al dovere di rispettare il diritto delle persone vulnerabili”.

E sullo stato della cura palliativa in Francia, gli esperti della Conferenza episcopale lanciano un “grido d’allarme”. Pertanto, si legge nel testo, “rispondere in modo insufficiente a questa urgenza è rendersi complici del male di morire attuale in Francia ed è anche favorire le domande sempre dolorose di eutanasia”.

Prendendo spunto dal Rapporto dei deputati Claeys e Leonetti, gli esperti in bioetica ritengono che il diritto alla sedazione “profonda e continua”, “se votato e promulgato rischia di contribuire a una strumentalizzazione del medico al servizio della volontà del paziente e a una forma di deresponsabilizzazione”. Riguardo invece alle direttive anticipate, gli esperti considerano “necessario chiarire le condizioni” in cui sono state redatte dal paziente “nel rispetto della libertà”.

La Dichiarazione affronta poi il tema della limitazione o l’arresto dei trattamenti come alimentazione e idratazione. “La constatazione di uno stato irreversibile non è sufficiente per qualificare una cura irragionevole né per definire inutile una vita umana”, scrivono. In ogni caso, “non esiste un criterio medico che giustificherebbe a priori e in modo automatico” l’arresto dei trattamenti. “Ogni decisione deve essere presa caso per caso”.

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ZENIT Staff

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