I vescovi coreani: discendenti dei martiri, custodi di memoria e di speranza

Il Papa incontra l’episcopato a Seoul e mette in guardia dalla tentazione di valutare i progressi della Chiesa in Corea secondo un’ottica trionfalistica e mondana

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È una Chiesa dinamica quella che si è presentata agli occhi di Papa Francesco durante le poche ore trascorse in Corea del Sud. Un dinamismo che si riflette soprattutto nel servizio dei vescovi asiatici, pastori che il Santo Padre ha invitato ad essere “custodi” non solo del gregge del Signore, bensì della memoria, della speranza e delle meraviglie del Creatore tra il suo popolo.

L’incontro del Papa con i presuli asiatici è avvenuto alle 17.30 (ora locale), nella sede della Conferenza Episcopale di Seoul. Si tratta del secondo appuntamento ufficiale del viaggio del Pontefice, dopo quello con le autorità nella “Blue House”. Ad accogliere Francesco è stato il presidente della CBCK e vescovo di Cheju, mons. Peter Kang U-il, insieme all’arcivescovo emerito di Seoul, il card. Nicholas Cheong Jinsuk, e il suo successore anche amministratore apostolico di P’yŏng-yang, il card. Andrew Yeom Soo-jung.

I porporati hanno accompagnato il Papa nella cappellina dove ad attenderlo c’erano i sacerdoti e religiosi ospiti della struttura, con alcuni anziani missionari di Maryknoll, società statunitense per le missioni estere. 

Nella piccola cappella si è snodato quindi il lungo discorso di Bergoglio, il quale, non da Papa ma da “fratello nell’episcopato”, ha munito i vescovi di alcune indicazioni e consigli per compiere fino in fondo il proprio mandato, cioè “prendersi cura del popolo di Dio”. Un compito non facile in una terra dove la fede cristiana è germogliata grazie al sangue dei martiri e all’opera di generazioni e generazioni di laici intellettuali. Il loro costante, paziente e fedele lavoro di evangelizzazione ha fatto sì che in neanche un secolo i seguaci di Cristo crescessero dal 2 al 30% popolazione.

Papa Francesco invita i vescovi a far partire la propria riflessione proprio da questo, dal ricordo cioè di una chiesa che oggi abbraccia circa 5,5 milioni di persone ma che alle sue origini fu segnata da persecuzioni e bagnata da sangue innocente. “Essere custodi della memoria” è infatti l’esortazione del Vescovo di Roma ai vescovi, che invita a “ringraziare il Signore che, dai semi sparsi dai martiri, ha fatto scaturire un abbondante raccolto di grazia in questa terra”.

“Voi siete i discendenti dei martiri – prosegue Francesco – eredi della loro eroica testimonianza di fede in Cristo”. È “significativo”, soggiunge, che la storia della Chiesa in Corea “abbia avuto inizio da un incontro diretto con la Parola di Dio”, grazie cioè a quella “bellezza intrinseca” del Vangelo che impressionò i nobili anziani della prima generazione.

Proprio a quel messaggio e “alla sua purezza” che la Chiesa coreana guarda “come in uno specchio, per scoprire autenticamente sé stessa”, afferma il Papa. Osserva dunque con soddisfazione il “fiorire di parrocchie attive e di movimenti ecclesiali”, i “solidi programmi di catechesi”, “l’attenzione pastorale verso i giovani nelle scuole cattoliche, nei seminari e nelle università”. Segni eloquenti che il Vangelo e l’eredità degli antenati hanno fecondato realmente il ‘Paese del calmo mattino’.

“Da terra di missione – afferma Bergoglio – la Corea è diventata oggi una terra di missionari”, elevandosi a punto di riferimento per la Chiesa universale che “trae beneficio dai tanti sacerdoti e religiosi che avete inviato nel mondo”. Essere custodi della memoria significa allora “qualcosa di più che ricordare e fare tesoro delle grazie del passato”. Significa “anche trarne le risorse spirituali per affrontare con lungimiranza e determinazione le speranze, le promesse e le sfide del futuro”, senza misurare tutto “in termini esteriori, quantitativi e istituzionali”.

La nostra memoria deve essere pertanto “realistica”, non “idealizzata” tantomeno “trionfalistica”, dice il Papa. Lo stesso realismo deve poi permeare anche la “custodia della speranza”, la stessa “offerta dal Vangelo”, che “ha ispirato i martiri” e che va proclamata in un mondo che, “malgrado la sua prosperità materiale, cerca qualcosa di più grande”, di autentico, che dia pienezza. I vescovi in primo luogo sono chiamati a compiere tale mandato – rimarca il Pontefice –, conducendo i fedeli “alle sorgenti della grazia nella liturgia e nei sacramenti” e mantenendo viva “la fiamma della santità, della carità fraterna e dello zelo missionario nella comunione ecclesiale”.

Per questa ragione, il Papa chiede loro di rimanere vicini ai sacerdoti, “incoraggiandoli nel lavoro quotidiano, nella ricerca della santità e nella proclamazione del Vangelo di salvezza”. Invoca poi “una particolare sollecitudine” nei confronti dei bambini e dei più anziani, perché – domanda – “come possiamo essere custodi di speranza se trascuriamo la memoria, la saggezza e l’esperienza degli anziani e le aspirazioni dei giovani?”.

Soprattutto è l’educazione dei giovani che deve essere salvaguardata, secondo il Vescovo di Roma, “sostenendo nella loro indispensabile missione non solo le università, ma anche le scuole cattoliche di ogni grado, a partire da quelle elementari, dove le giovani menti e i cuori vengono formati all’amore di Dio e della sua Chiesa, al bene, al vero e al bello, ad essere buoni cristiani e onesti cittadini”.

Ma non si è veri “custodi di speranza” se si dimentica la “sollecitudine” per i poveri, i rifugiati e i migranti e per “coloro che vivono ai margini della società”.  Essa – osserva Bergoglio – “dovrebbe manifestarsi non solo attraverso concrete iniziative di carità ma anche nel costante lavoro di promozione a livello sociale, occupazionale ed educativo”. Il rischio è infatti di “ridurre il nostro impegno con i bisognosi alla sola dimensione assistenziale”, tralasciando “la necessità di ognuno di crescere come persona e di poter esprimere con dignità la propria personalità, creatività e cultura”.

L’auspicio di Francesco è dunque che lo stesso “ideale apostolico di una Chiesa dei poveri e per i poveri” che trovò espressione eloquente nelle comunità cristiane primitive “continui a modellare il cammino della Chiesa in Corea nel suo pellegrinaggio verso il futuro”. In questo cammino, il Papa individua alcune sfide per la Chiesa in Corea, specie in mezzo ad una società “prospera ma sempre più secolarizzata e materialistica”. 

La prima è la tentazione degli operatori pastorali “di adottare non solo efficaci modelli di gestione, programmazione e organizzazione tratti dal mondo degli affari, ma anche uno stile di vita e una mentalità guidati più da criteri mondani di successo e persino di potere che dai criteri enunciati da Gesù nel Vangelo”. “Guai a noi se la Croce viene svuotata del suo potere di giudicare la saggezza di questo mondo!”, ammonisce allora il Papa citando San Paolo. Tutti, vescovi e sacerdoti, devono “respingere questa tentazione in tutte le sue forme”, salvandosi “da quella mondanità spirituale e pastorale che soffoca lo Spirito”.

In conclusione, Francesco assicura la sua personale preghiera, perché possa incrementarsi “l’unità, la santità e lo zelo dei fedeli in Corea”. Infine invoca Maria, Madre della Chiesa, pregando che le sue preghiere possano portare “a piena fioritura in questa terra i semi sparsi dai martiri, irrorati da generazioni di fedeli cattolici e trasmessi a voi come promessa per il futuro del Paese e del mondo”.

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Per il testo integrale del discorso del Santo Padre cliccare qui

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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