I test prenatali e il destino del nascituro

Le affermazioni di Rick Santorum accendono il dibattito

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di padre John Flynn LC

ROMA, domenica, 4 marzo 2012 (ZENIT.org) – Nell’ambito del persistente dibattito sulle assicurazioni sanitarie e i contraccettivi, un altro tema controverso è emerso di recente negli Stati Uniti: quello relativo al test prenatale.

Lo scorso 18 febbraio, nel corso di una conferenza stampa, Rick Santorum, uno dei candidati alle primarie repubblicane, ha criticato il presidente Barack Obama, per il suo Affordable Care Act che permette test prenatali gratuiti.

“Il test prenatale gratuito finirà con l’aumentare gli aborti e con l’eliminazione dei disabili nella nostra società”, ha detto Santorum.

I commenti del candidato repubblicano hanno ricevuto critiche ma anche inaspettati elogi. Dalle colonne del Chicago Tribune, Esther J. Cepeda, pur difendendo il diritto all’aborto, ha dato ragione a Santorum.

“Sebbene io sia pro-choice, Santorum non è così fuori luogo come gli appassionati difensori del diritto della donna ad abortire vorrebbero ammettere”, ha detto la giornalista.

Spiegando la propria posizione il giorno seguente alla trasmissione della CBS Face the Nation, Santorum ha criticato in modo particolare l’amniocentesi e ha sottolineato che il 90% dei feti cui è diagnosticata la sindrome di Down vengono abortiti.

Un altro paese dove si sta dibattendo sul test prenatale è la Germania. Lo scorso anno il Bundestag ha approvato, con 320 voti favorevoli e 260 contrari, la legge sulla diagnosi genetica pre-impianto sotto condizioni restrittive, come riporta l’agenzia tedesca Deutsche Welle.

I vescovi cattolici tedeschi hanno criticato l’iniziativa, definendola contraria al “rispetto della dignità umana” e ricordando che “ogni persona detiene il diritto alla vita fin dal concepimento”.

L’uso della diagnosi genetica pre-impianto era considerata illegale ma nel 2010 la Corte di Giustizia Federale l’ha permessa per le coppie con seri disordini genetici.

Minacce alla vita

Secondo quanto riporta il quotidiano tedesco Die Welt, il primo bambino tedesco ad essere monitorato geneticamente, è nato il 27 gennaio a Lubecca. Una traduzione inglese dell’articolo, pubblicata il 16 febbraio sul sito web Worldcrunch, spiega che i genitori – che preferiscono mantenere l’anonimato – soffrono di un difetto genetico che, nel 25% dei casi, comporta la nascita di un figlio destinato a morire poco dopo la nascita.

“Non praticheremmo la diagnosi pre-impianto se uno dei genitori avesse una malattia non mortale”, ha detto la dott.ssa Gabriele Gillessen-Kaesbach, uno dei medici coinvolti nella procedura.

L’esperienza dimostra, comunque, che, con il passare del tempo, l’uso della diagnosi pre-impianto è notevolmente aumentata e il risultato che ne consegue è spesso l’aborto.

Sull’edizione del canadese “Globe “del 7 gennaio, la giornalista Carolyn Abraham ha ricordato che è passato un anno dalla sentenza con cui la Corte Suprema ha cassato la legge che regolava il trattamento FIVET.

Nel vuoto giuridico che ne è conseguito, le cliniche canadesi della fertilità hanno inviato i loro embrioni negli Stati Uniti per poter rilevare un’ampia gamma di difetti genetici. I più critici temono che questa ricerca del bambino perfetto, rischi di degenerare in una nuova era eugenetica, ha commentato Abraham.

L’articolo descrive come un medico canadese, Jeffrey Nisker, che effettuava diagnosi pre-impianto, abbia cambiato idea, vedendo cosa stava succedendo. Inizialmente era desideroso di aiutare i bambini a nascere liberi da disordini genetici. Tuttavia, in seguito, il dott. Nisker ha preso atto che molti genitori volevano la diagnosi pre-impianto per determinare il sesso del nascituro o selezionare gli embrioni per una varietà di qualità o caratteristiche.

Inoltre Nisker ha ammonito: “Se ci impuntiamo sulla perfezione, arriveremo a colpevolizzare le persone con disabilità”.

Venendo messe al corrente dei potenziali problemi genetici dei loro feti, le donne possono sentirsi pressate a praticare un aborto. È il caso di Marie Ideson che è stata costretta ad abortire, dopo che le era stato detto che il suo bambino aveva la sindrome di Down.

Un peso

“Un’infermiera mi disse che non abortire il mio bambino lo avrebbe fatto soffrire e sarebbe stato soltanto un peso per la società”, ha dichiarato la donna al quotidiano australiano The Herald Sun del 4 dicembre scorso.

Immediatamente dopo l’aborto, si pentì di quanto aveva fatto ma la scelta provocò tensione nel suo matrimonio che, pochi anni dopo, si concluse con il divorzio.

Abortire i bambini con handicap è un’abitudine diffusa in Gran Bretagna. Un articolo pubblicato lo scorso 4 luglio sul quotidiano Daily Mail afferma che, secondo gli ultimi dati riguardanti il 2010, 482 feti con sindrome di Down sono stati abortiti, di cui 10 di oltre le 24 settimane di gestazione.

Persino feti in perfetta salute possono essere abortiti se il sesso non è quello “giusto”. Il quotidiano britannico Telegraph ha recentemente effettuato un’inchiesta in incognito, in cui i cronisti si sono recati in varie cliniche per verificare se fosse possibile praticare aborti sulla base del sesso.

Nel loro reportage, pubblicato il 22 febbraio scorso, il giornale afferma che, nonostante questo tipo di aborto sia illegale, numerose cliniche lo praticano.

La questione degli aborti in base al sesso è stata al centro del dibattito in Canada nelle ultime settimane, a seguito di un articolo sul Canadian Medical Associations Journal che criticava la prassi.

Indipendentemente dal valore delle argomentazioni, se viene meno il principio della sacralità della vita, qualunque valore diviene negoziabile.

[Traduzione dall’inglese a cura di Luca Marcolivio]

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ZENIT Staff

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