I sordi possono percepire e annunciare nel silenzio la chiamata di Dio

Intervista a María Antonia Claveria, otorinolaringoiatra

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di Carmen Elena Villa

CITTÀ DEL VATICANO, mercoledì, 16 dicembre 2009 (ZENIT.org).- La persona sorda nella vita della Chiesa. È stato questo il tema centrale di un congresso organizzato dal Pontificio Consiglio per la salute, dal 19 al 21 novembre scorso.

Attraverso conferenze, tavole rotonde e un’udienza con il Papa Benedetto XVI, si è cercato di comprendere meglio la persona sorda, nei suoi molteplici aspetti, con particolare riguardo a quelli religiosi e spirituali.

ZENIT ha intervistato la dottoressa spagnola María Antonia Clavería, specializzata in otorinolaringoiatria, che ha partecipato come relatrice a questo evento. Il suo lavoro quotidiano consiste nell’assistere e coordinare i diversi gruppi educativo e sanitario che si occupano dei bambini con problemi di udito.

“La partecipazione alla Conferenza ha suscitato in me molti interrogativi sull’adeguata e necessaria attenzione verso questi bambini, nelle rispettive famiglie, a livello religioso e spirituale, nelle diverse fasi della vita, nelle loro parrocchie e quando stanno per ricevere i sacramenti”, ha detto Clavería a ZENIT.

Come considera i pregiudizi e le discriminazioni di cui soffrono i sordi nella società attuale?

María Antonia Clavería: Sono frutto della scarsa conoscenza sociale della persona affetta da sordità, delle sue ripercussioni e delle sue necessità. Alla semplice vista non è possibile identificare una persona sorda e ancora di più possiamo sbagliarci nel giudicarla sulla base della sua comunicazione. Questo fatto può essere motivo di desensibilizzazione da parte della società. Una persona cieca genera, alla semplice vista, sentimenti di compassione e per questo riceve solitamente aiuto da chi la circonda. La persona sorda invece non porta con sé un bastoncino che la identifica, né si muove con la sedia a rotelle, e né porta un apparato ortopedico. Ma non sente, o non sente bene, e questa difficoltà non è palpabile, non è apprezzabile e non sensibilizza.

In che modo crede che possano essere superati?

María Antonia Clavería: Vincere la discriminazione richiede un impegno per riuscire ad armonizzare la convivenza tra la società denominata udente con quella non udente, attraverso la comunicazione nella lingua dei segni, con quella non udente attraverso la comunicazione orale, con quella che ha difficoltà uditive (e in questo gruppo è compresa praticamente l’intera umanità anziana) e con quella non udente con difficoltà uditive associate ad altri problemi. Tutti questi gruppi di persone formano parte della stessa società, una società plurale che ha bisogno di un’intima unione per una giusta integrazione sociale della persona umana.

Per questo motivo, l’inizio di questa sensibilizzazione risiede nel miglioramento della base pedagogico-educativa sociale, assistita professionalmente da esperti sanitari e appoggiata dalle istituzioni politiche di ogni colore ideologico e da associazioni, enti e organismi nazionali e internazionali.

Come si può fare in modo che i sordi godano di una maggiore partecipazione nella vita sociale e pastorale?

María Antonia Clavería: Si tratta di normalizzare l’integrazione delle persone con deficit uditivi, dagli aspetti più lievi a quelli più gravi, nella vita sociale e di conseguenza anche nella pastorale. Per questo occorre lavorare intensamente perché l’intera società, civile e religiosa, sia informata su ciò che significa avere un deficit uditivo nei suoi diversi gradi e su quali siano le ripercussioni sociali, religiose e spirituali, nelle diverse fasi della vita, e gli aiuti terapeutici disponibili. Tutto ciò consentirà di comprendere, considerare e aiutare le persone con difficoltà uditive, nei loro diversi aspetti. Un lavoro difficile che inizia da una base pedagogico-educativa e sanitaria, assistita professionalmente da esperti di entrambi gli ambiti, in stretta collaborazione e coordinamento. Ma in tale contesto è necessario che le persone interessate partecipino, collaborino e lottino per ottenere questa normalizzazione della loro integrazione sociale.

Che ostacoli può incontrare una persona sorda, nel suo cammino di crescita nella fede?

María Antonia Clavería: La fede è un dono di Dio che si trasmette, per una parte importante, attraverso la famiglia e attraverso la comunicazione, il dialogo aperto e sempre attraverso l’esempio.

Se la comunicazione spontanea nella famiglia è resa difficile perché un membro è portatore di un deficit uditivo, si deve iniziare da un’adeguata conoscenza dello stesso, a partire dalle origini, dalla sua accettazione e dall’informazione sulle possibilità di aiuto terapeutico precoce, tenendo conto di tutte le possibilità offerte dal contesto. Ciò nonostante, il “muto esempio” esisterà sempre e sarà sempre motivo di incoraggiamento e rafforzamento, qualsiasi sia la forma di comunicazione utilizzata.

La crescita e la maturazione nella fede dipendono in gran parte dall’inquietudine personale, favorita dalla stessa famiglia, ma anche dall’ambiente educativo, sociale e religioso-spirituale, nel quale la persona vive, si interrelazione e cresce in tutte le sue dimensioni.

E in che mondo la persona sorda può sfruttare questa limitazione per avvicinarsi alla fede?

María Antonia Clavería: Direi che la sordità, in tutta la sua magnitudine, non dovrebbe essere considerata una limitazione, ma una situazione di disuguaglianza rispetto a ciò che viene considerato normale nella nostra società. Peraltro, ciò che è normale, molto spesso non è la cosa migliore. Mai una disuguaglianza dovrebbe essere utilizzata per un fine. Ma riconosco che le persone di fede cristiana posseggono il “privilegio gratuito della fede”, per affrontare il cammino della vita. La persona affetta da sordità può vedersi nella necessità di cercare ciò che io chiamo il “privilegio della fede”, per affrontare la sua diversità e con questa inquietudine avvicinarsi ad essa. Questo fatto non lo considero uno sfruttamento della limitazione, ma una crescita nella maturità personale.

In che modo, concretamente, una persona con questo tipo di disuguaglianza può convertirsi in discepolo e missionario di Cristo nel nostro tempo?

María Antonia Clavería: Qualunque persona può essere discepolo e missionario di Cristo, sempre che riceva sin da piccolo, o che ricerchi e trovi nel corso della sua vita, un’adeguata catechesi. Con l’aggettivo adeguata, in questo caso, mi riferisco alla deficienza uditiva e alla necessità di incorporare, nella pastorale che non ne disponga, un sostegno e un’assistenza pedagogico-catechetico specializzato per le persone con deficit uditivo nelle diverse tappe della vita, soprattutto nell’infanzia, durante il processo di sviluppo verso l’età adulta, nell’età media della vita e nella vecchiaia, fino alla morte.

Mi domando quindi: potrebbe essere più opportuno, dal punto di vista della catechesi e dell’evangelizzazione, utilizzare il termine pastorale delle persone con difficoltà uditive, al posto di pastorale dei sordi?

Che elementi ritiene che non possano mancare in una buona terapia integrale per le persone con deficit uditivo?

María Antonia Clavería: L’applicazione dei valori dell’uguaglianza e del rispetto, insieme ad un’adeguata educazione familiare, socio-pedagogica in ogni aspetto e un’idonea assistenza sanitaria della sordità. Tutti questi elementi uniti ed estesi all’intera umanità sono necessari per ottenere una buona terapia integrale delle persone affette da sordità.

In che modo l’uomo di oggi può combattere la “sordità spirituale” di cui ha parlato il Papa nell’udienza che ha concesso ai partecipanti a questo evento?

María Antonia Clavería: Attraverso il sostegno del pilastro cristiano fondamentale dell’amore verso il prossimo, vincendo l’egoismo del benessere personale in favore di colo
ro che soffrono per diverse cause, nel caso nostro della sordità. Non si tratta di ottenere cose impossibili e quindi di fallire, ma di fare il possibile: quel poco o tanto che è alla nostra portata. Trattare e rispettare il prossimo come piacerebbe a noi stessi essere trattati e rispettati. Compito non facile, considerata la fragilità umana, ma sicuramente un granello di sabbia per costruire un mondo migliore.

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ZENIT Staff

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