I religiosi membri del presbiterio diocesano: elementi per una riflessione

Relazione di mons. Joseph Tobin alla Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori

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ROMA, mercoledì, 30 novembre 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo la relazione di monsignor Joseph Tobin, segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e per le società di Vita Apostolica, svolta il 10 novembre 2011 a Firenze in occasione della Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori (CISM).

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Introduzione

La Chiesa è un mistero di comunione, una realtà unica che presenta, però, un ricco insieme di rapporti tra gli elementi che la costituiscono. Per capire meglio questo mistero è dunque necessario conoscere maggiormente non soltanto le singole vocazioni nella loro specificità, ma anche i rapporti tra di esse per intravedere come questa diversità di doni contribuisca a edificare l’unico Corpo di Cristo.

La presidenza della CISM mi ha invitato a riflettere su uno di questi rapporti: quello che unisce i sacerdoti religiosi al presbiterio diocesano. La bibliografia relativa a questo tema sembrerebbe mettere in evidenza uno di quei temi conciliari che si sono “smarriti” lungo la strada postconciliare… e che non hanno acquisito il dovuto rilievo se non indirettamente nel contesto delle “Mutuae Relationes”. D’altra parte, la relazione tra i presbiteri nella Chiesa particolare ha delle conseguenze rilevanti per la missio Ecclesiae e pertanto è un tema che merita la nostra considerazione.

Questo modesto contributo parte dalla dichiarazione del Decreto “Presbyterorum ordinis” sull’unità dei sacerdoti diocesani e di quelli religiosi nel medesimo presbiterio. Seguono un breve accenno al cammino postconciliare di questa dottrina insieme ad alcune esperienze del sottoscritto che tenteranno di illustrare lo status questionis. Spero di riuscire, così, a formulare un giudizio sulla rilevanza della dottrina del Decreto “Presbyterorum ordinis” nell’attuale dibattito sulle “Mutuae Relationes” e la convenienza di un’eventuale (o auspicabile) revisione dei rapporti tra le diverse vocazioni nella Chiesa-comunione. Il fatto che il programma preveda che questo contributo sarà seguito da un ampio dibattito incoraggia il sottoscritto a offrire il suo “obolo di Segretario”!

1. Ri-lettura di PO 8

Il Decreto conciliare sul ministero e la vita dei presbiteri inizia con una riflessione sul presbiterato nella missione della Chiesa. Dopo aver considerato la natura del presbiterato e aver collocato i sacerdoti nel quadro ampio del popolo di Dio, il Decreto tenta di specificare le funzioni del presbiterio. Cruciale sarà il rapporto tra i sacerdoti e le altre vocazioni nella Chiesa. Al numero 8 si precisa:

Pertanto è oltremodo necessario che tutti i presbiteri, sia diocesani che religiosi, si aiutino a vicenda in modo da essere sempre cooperatori della verità. Di conseguenza ciascuno è unito agli altri membri del presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità…

Il Decreto attribuisce una fondamentale unità al presbiterio e auspica un sostegno vicendevole tra i sacerdoti, sia diocesani che religiosi, allo scopo di essere sempre “cooperatori della verità”. La formula “sia…che” riconosce due modalità per essere sacerdote, vale a dire, diocesano o religioso. Dal punto di vista teologico, la veracità dell’affermazione è palese e quindi non ci sarà la minima difficoltà nell’applicazione della dottrina del Decreto a tutti i presbiteri.

D’altra parte, si deve tradurre quest’unità nelle circostanze pastorali della Chiesa locale. Vediamo qui delle sfide particolari per i sacerdoti religiosi nel vivere la congiunzione “e”: religioso e sacerdote. Ci si può domandare come essi riescano ad articolare il sacramento dell’Ordine sacro e la consacrazione religiosa.

Oltre che sull’unità di tutti i sacerdoti nel medesimo presbiterio, ci sembra utile porre l’accento su due altri contenuti del succitato numero del Decreto conciliare. Per primo se ne sottolinea uno che può dirsi originario o generativo: “si aiutino a vicenda in modo da essere sempre cooperatori della verità” (“cooperatores veritatis”). Al di là della derivazione giovannea , non sfugge il riferimento a Papa Benedetto XVI, che ha scelto la frase come suo motto episcopale e pure il fatto che questo costituisce un paradigma per i rapporti tra i ministri ad ogni livello della Chiesa-comunione.

In secondo luogo, se è vero che il problema dell’unità del presbiterio si colloca più nell’ambito concreto che nella sfera dottrinale, può darsi che i tre aspetti della relazione nel presbiterio: i vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità, ci aiutino a rendere visibile e credibile questa concordia.

Cammino postconciliare

Mutae Relationes

Commentando l’Istruzione Mutuae Relationes , il Cardinale Eduardo Pironio, allora Prefetto della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, sottolineava lo spirito con cui era stato preparato il documento. Esso nasceva “da un approfondimento del mistero della Chiesa come ‘il nuovo popolo di Dio’ e dall’urgenza di coordinare in modo più efficace i diversi carismi e ministeri pastorali”. Lo spirito che domina l’intero documento è un’azione forte dello Spirito Santo nella Chiesa è “il principio di unità nella comunione.”

L’Istruzione Mutuae Relationes non esita a inserire i sacerdoti religiosi nell’unico presbiterio, benché non faccia riferimento al summenzionato numero di PO. Sono invece la Costituzione dogmatica Lumen Gentium e il Decreto Christus Dominus ad essere citati per ribadire l’unità del presbiterio:

I religiosi presbiteri, a motivo della stessa unità del presbiterio (cf. LG 28; CD 28, 11) e in quanto partecipano alla cura delle anime, “sono da considerarsi di appartenere, per un certo reale aspetto, al clero della diocesi” (CD 34); essi possono, perciò, e debbono servire a meglio unire reciprocamente e coordinare in campo operativo i religiosi e le religiose con il clero e i Vescovi locali.

Vediamo come il fatto dell’unità del presbiterio e della sua corresponsabilità per la cura animarum crei dei legami che uniscono i sacerdoti religiosi con il presbiterio diocesano. Si aggiunge inoltre un compito particolare: quello di servire come ponte con gli altri membri della vita consacrata della Chiesa particolare, potenziando così la partecipazione di tutti nella missione della diocesi.

Affinché il presbiterio della diocesi possa esprimere la debita unità e siano meglio promossi i diversi ministeri, l’Istruzione raccomanda che il Vescovo esorti i presbiteri diocesani a riconoscere con gratitudine ciò che i membri della vita consacrata apportano alla Chiesa particolare e ad accogliere la nomina di religiosi a “svolgere compiti di più ampia responsabilità che siano in consonanza con la loro vocazione e competenza.

Esortazione post-sinodale «Vita Consecrata»

L’Esortazione apostolica che ha portato a compimento il lavoro del Sinodo sulla vita consacrata tratta il rapporto tra i religiosi e la Chiesa particolare al n. 48. Qui il Beato Giovanni Paolo II allarga la sua riflessione a tutti i consacrati, ma non fa un riferimento specifico al ruolo dei sacerdoti religiosi.

Le persone consacrate godono di un «ruolo significativo» all’interno delle Chiese particolari, alle quali la dottrina conciliare sulla Chiesa, come comunione e mistero, attribuisce la presenza piena di una porzione del Popolo di Dio. L’importanza di questo ruolo è stato confermato in vari documenti successivi al Concilio Vaticano Secondo. Alla luce di questi testi appare in tutta evidenza «il fondamentale rilievo che la collaborazione delle persone consacrate con i Vescovi riveste per l’armonioso sviluppo della pastorale diocesana». Mentre questo numero dell’Esortazione parla del contributo prezioso dei diversi carismi «all’edificazi
one della carità nella Chiesa particolare» e ritiene che le varie forme in cui vengono vissuti i consigli evangelici, «costituiscono una ‘esperienza dello Spirito’», il documento non si ferma sulla particolarità del rapporto dei sacerdoti religiosi con il presbiterio diocesano.

Pastores Dabo Vobis e Pastores Gregis

Le Esortazioni apostoliche seguite ai Sinodi sulla formazione dei sacerdoti (1-28 ottobre1990) e sull’ufficio del Vescovo (30 settembre-27 ottobre 2001) non offrono apporti specifici al nostro problema. Benché Giovanni Paolo II introduca PDV esprimendo il suo desiderio di incontrarsi «con tutti i sacerdoti e con ciascuno di loro, sia diocesani sia religiosi» nell’Esortazione apostolica, non viene ulteriormente sviluppato il discorso sul rapporto tra i sacerdoti religiosi e quelli diocesani.

L’Esortazione che conclude il Sinodo sull’ufficio del Vescovo invita il Vescovo a mostrare sollecitudine pastorale per la vita consacrata allo scopo di promuovere una maggior comunione nella diocesi, e si riferisce al problema specifico del rapporto tra il Vescovo diocesano e gli Istituti religiosi, non si sofferma, invece, sui religiosi quali membri del presbiterio diocesano.

Insomma, mentre il Magistero si è sforzato di sviluppare la visione conciliare della Chiesa come mistero di comunione, ci sembra che il rapporto tra i sacerdoti religiosi e il presbiterio diocesano non abbia avuto un posto preminente nella riflessione teologica. Le affermazioni conciliari sulla relazione reale tra presbiteri sia religiosi che diocesani nel presbiterio, non trovano eco nei documenti post-conciliari, salvo che nell’Istruzione Mutuae Relationes.

Eppure il problema dei sacerdoti religiosi persiste.

Per illustrare il problema, permettetemi di utilizzare alcune esperienze concrete, frutto di diciotto anni di partecipazione al governo generale della mia Congregazione e di un anno di servizio al Dicastero che ha la missione di accompagnare la vita consacrata.

Esperienze personali (CSsR e CIVCSVA)

L’omogeneità del presbiterio diocesano come scopo da desiderarsi.

Si incontra sovente un errore nella comprensione della Chiesa-comunione come un corpo omogeneo. Avendo l’incarico di Superiore generale, ho avuto spesso l’occasione di ascoltare i Vescovi diocesani circa la situazione dei miei confratelli nella Chiesa particolare. Con evidente soddisfazione, l’uno o l’altro Presule mi assicurava dell’assenza di problemi con i Redentoristi. “Infatti,” diceva, “non riesco a distinguere i suoi confratelli dal clero diocesano.” Per il Vescovo, una tale “assimilazione” andava bene; ma non era così per il Superiore generale!

Le accuse di una «chiesa parallela»

All’altro estremo – frutto dello stesso errore di far coincidere comunione con uniformità – c’è l’accusa che i religiosi vogliono formare una «chiesa parallela». Ritengo che l’accusa non sia sempre senza fondamento, specie quando i sacerdoti religiosi si rifiutano di prestare un servizio pastorale alla diocesi benché la mansione richiesta non sia in contraddizione col carisma dell’Istituto. E’ fonte di perplessità anche il fatto che i religiosi non partecipino alle strutture di consultazione e di collaborazione della Chiesa particolare, come gli incontri di decanato, le assemblee pastorali, le giornate di formazione, ecc.

Sono più ambigue le situazioni quando il Vescovo ha maggiori aspettative di comunicazione di quante ne dà l’Istituto religioso. Spesso il Vescovo desidera un dialogo prima che l’Istituto prenda la decisione di vendere un immobile, di ritirare un parroco o un vicario oppure di lasciare la diocesi. L’Istituto invece si difende dietro lo scudo dell’esenzione.

Una certa povertà di riflessione

Credo che noi sacerdoti religiosi dobbiamo riconoscere una certa riluttanza a utilizzare bene le fonti cristologiche, ecclesiologiche, sacramentali e missionarie che ci sono offerte dal Concilio e dalla dottrina postconciliare per ripensare e ripristinare l’identità del presbitero religioso con tutta sua forza carismatica e profetica. Nel corso degli ultimi decenni, noi sacerdoti religiosi abbiamo dovuto affrontare una doppia crisi, quella del sacerdozio e quella della vita consacrata.

Indubbiamente abbiamo preferito indirizzare la nostra riflessione verso il rinnovamento della vita consacrata e abbiamo rimandato nel tempo un’uguale attenzione al ministero ordinato. Anche il desiderio di evitare il «clericalismo» e qualsiasi disuguaglianza nella vita consacrata ha, forse, scoraggiato una riflessione più attenta sulla natura dei sacerdoti religiosi.

E’ possibile che noi religiosi, più di altre vocazioni nella Chiesa, siamo stati toccati da una conseguenza della riforma, che cioè, in un modo o nell’altro, abbiamo assunto l’ordine moderno che non dà status ontologico alla gerarchia, o a qualsiasi particolare struttura di differenziazione?

2. Gli elementi messi in luce da PO 8 sono ancora rilevanti nel dibattito su Mutuae Relationes?

Cooperatores veritatis

L’allora cardinal Josef Ratzinger ha affermato che, al di là di tutte le questioni particolari, il vero problema è la questione della verità. Nel suo libro Fede, verità, tolleranza il futuro Papa fornisce argomenti convincenti a favore dell’identità tra la verità e l’amore. Seguendo il pensiero di Ratzinger, si potrebbe dire che i sacerdoti, con l’aiutarsi a essere sempre cooperatori della verità, si sostengono gli uni gli altri anche a essere cooperatori nell’amore.

Per trovare una chiave per comprendere questo sostegno vicendevole, ci servirebbe tornare al magistero di Papa Paolo VI. Anche lui propone la Chiesa come mistero, e avverte che questo mistero «non è semplice oggetto di conoscenza teologica… dev’essere un fatto vissuto, in cui ancora prima d’una sua chiara nozione l’anima fedele può avere quasi connaturata esperienza.» E più avanti nell’Enciclica Ecclesiam suam, Papa Montini propone un modo per sperimentare la carità sotto un nome nuovo, vale a dire, ildialogo.

Non c’è dubbio che in molte Chiese particolari, le strategie che propone l’Istruzione Mutuae Relationes a favore del dialogo tra le diverse vocazioni o sono state abbandonate o non sono mai state provate. Tuttavia, poiché la dottrina dell’Istruzione sulla comunione rimane un elemento fondamentale del magistero della vita consacrata, dobbiamo chiederci perché questa particolare applicazione non sempre trova un’eco nella pratica delle chiese locali. A mio modesto parere, uno dei motivi di questa discrepanza è un insufficiente apprezzamento del valore del dialogo nella Chiesa.

Ecco l’attualità della prima Enciclica di Paolo VI in cui si propone il dialogo non soltanto come scelta pragmatica per comunicare con il mondo, ma, in maniera ancor più rilevante, come un paradigma per esprimere il rapporto salvifico tra Dio e gli uomini. Il dialogo sarebbe il mezzo principale con cui «tutti i presbiteri, sia diocesani che religiosi, si aiutano a vicenda in modo da essere sempre cooperatori della verità». A questo scopo sarebbe di grande aiuto illuminare le strutture previste da Mutuae Relationes con le caratteristiche per il dialogo proposte da Ecclesiam Suam: chiarezza, mitezza, fiducia e prudenza.

Gli elementi che uniscono i presbiteri

I contenuti delle relazioni nel presbiterio – i vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità – diventeranno effettivi se i Pastori e i Superiori maggiori riusciranno a mettere a punto delle strutture di dialogo. Nel dialogo, così condotto, si realizza l’unione della verità con la carità, dell’intelligenza con l’amore.

3. In un’eventuale (o auspicabile) revisione di MR come potrebbe essere ripreso il tema in programma e con quali attuali sottolineature (ecclesiali, pastorali,…)?

Nell’ultima sezione di questa riflessione, vorrei mettere in evidenza alcune situazioni ecclesiali che costituiscono una sfida per i Superiori di sacerdoti religiosi. Naturalmente, l’elenco non è esaustivo e forse la vostra riflessione potrà essere stimolata anche dalle mie omissioni. Inoltre, in vista dei limiti di tempo, non si propongono delle soluzioni specifiche, oltre a quella di raccomandare un’attenzione intelligente alle strategie che offrono i documenti Vita consecrata e Mutuae Relationes.

Nel corso degli ultimi cinquant’anni, la diminuzione del numero dei religiosi e dei sacerdoti diocesani ha provocato una crisi sempre più grave nelle Chiese occidentali. Da parte della vita religiosa, molti Istituti sentono la necessità di ridimensionare la loro presenza e di lasciare alcuni campi di apostolato che erano di grande valore per una diocesi. Allo stesso tempo, il Concilio Vaticano II ha ordinato il rinnovamento della vita religiosa, e la ricerca post-conciliare, intrapresa dai religiosi, li ha portati ad assumere nuove forme di vita e di apostolato.

La revisione degli impegni pastorali è probabilmente il problema che genera più conflitti tra i Vescovi e i Superiori maggiori. Quando un Istituto lascia un’opera, la decisione comporta non solo il tramonto di una presenza carismatica, ma anche la necessità di affrontare varie questioni pratiche, compreso tutto ciò che riguarda i beni temporali.

D’altra parte, la mancanza di sacerdoti in una Chiesa particolare può influenzare l’impegno degli Istituti clericali di vita consacrata. La tentazione è di rispondere con generosità alle necessità sacramentali di una diocesi, ma con nuovi impegni che possono mettere in pericolo l’identità carismatica. Il N. 11 di Mutuae Relationes va ricordato ancora oggi come un pericolo reale:

Pertanto, in quest’epoca di evoluzione culturale e di rinnovamento ecclesiale, è necessario che l’identità di ogni Istituto sia conservata con tale sicurezza, che si possa evitare il pericolo di una situazione non sufficientemente definita, per cui i religiosi, senza la dovuta considerazione del particolare stile di azione proprio della loro indole, vengano inseriti nella vita della chiesa in modo vago e ambiguo.

Il Codice avrebbe protetto questa identità carismatica limitando espressamente le sostituzioni nel caso di Istituti di vita contemplativa. In questa linea di dono e di fedeltà alla propria vocazione può entrare in conflitto anche l’identità di sacerdoti religiosi spinti dalla doppia appartenenza e impegno.

L’esperienza dell’incarico di Superiore generale e il contatto frequente con religiosi e religiose in tutto il mondo mi porta a preoccuparmi della possibile concretizzazione di un altro “grave errore” dal quale ci mette in guardia Mutuae Relationes. Mi riferisco a una giustapposizione esagerata tra la vita religiosa e le strutture della Chiesa, “quasi potessero sussistere come due realtà distinte, l’una carismatica, l’altra istituzionale; mentre ambedue gli elementi, cioè i doni spirituali e le strutture ecclesiali, formano un’unica, anche se complessa, realtà (cf. LG 8).”

Ci sono state delle dichiarazioni infelici da parte di alcuni che affermavano di essere portavoce di una «Chiesa profetica» che per sua natura deve opporsi alla gerarchia. La mancanza di formazione permanente, nella vita religiosa, sul suo posto specifico nella Chiesa, realtà “unica, anche se complessa,” contribuisce a una falsa dicotomia. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che questa contrapposizione cresce dove non ci sono strutture a favore di una comunicazione più efficace tra Vescovi e Superiori maggiori per incoraggiare una comprensione reciproca e un dialogo efficace.

Conclusione: le Mutuae Relationes tra i discepoli.

Nel Vangelo secondo San Matteo, poco prima della sua Passione, Gesù parla ai discepoli sul modo di relazionarsi fra di loro. Li sconsiglia fortemente, anzi li mette in guardia, dall’assumere una tipologia di “mutuae relationes” prevalente nella società: “«Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così…» . Mancando, però, un progetto di strutture che favoriscono il dialogo al servizio della comunione, potrebbe essere facile acquisire nella Chiesa particolare altre forme di rapporto: quelle di una società commerciale, di un parlamento con partiti opposti, di una giungla dove soltanto il più forte sopravvive.

La forza della Chiesa è nella comunione e solo sotto questo punto di vista possono nascere le relazioni reciproche dei discepoli di Gesù Cristo. Le disposizioni canoniche e il contenuto del Magistero possono favorire un clima di collaborazione armoniosa e feconda tra i membri del presbiterio, sia religiosi che diocesani. Ma non tutti i problemi che ci presenta la vita attuale possono essere risolti con l’applicazione delle norme. La ricerca del bene comune della Chiesa, l’amore e un sincero desiderio di servire, uno spirito vivace di amicizia e un dialogo creativo saranno sempre il migliore aiuto.

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ZENIT Staff

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