Lincoln Memorial

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I quattro “sognatori” di Papa Francesco

Abraham Lincoln, Thomas Merton, Martin Luther King e Dorothy Day: tra cristianesimo e diritti umani nella terra delle libertà

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Esattamente il 19 novembre 1863, il presidente statunitense Abraham Lincoln nel contesto della guerra di secessione americana pronunziò un’orazione molto significativa, che passerà alla storia come Discorso di Gettysburg, dal luogo della cruenta battaglia combattuta dal 1° al 3 luglio del 1863.

L’orazione, dai toni classici e molto accorati prendeva avvio da un secolo prima, vale a dire dal 1776 in riferimento alla Rivoluzione Americana che sancì la nascita della democrazia nel continente. Il Presidente avvalendosi di questa significativa digressione storica desiderava esortare gli uomini ad aiutare la democrazia americana, in modo che il «governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non venisse distrutto dalla terra».

Si trattò pertanto di un discorso lungimirante, carico di speranza per un futuro – quello del popolo americano – che sarebbe stato costruito da uomini e donne portatori di valori nazionali come la libertà e l’uguaglianza. Tuttavia, sembrerebbe che tale discorso fosse molto vicino al contenuto della lettera che Papa Pio IX indirizzò nell’estate del ’63 ai vescovi di New York e New Orleans per chiedere loro neutralità e disponibilità ad assistere tutti senza distinzioni.

Introdurre un discorso narrando le gesta degli antenati fa parte di uno stile squisitamente classico, diremmo ateniese se si pensa a Lisia. La storia infatti ci consegna l’orazione di Pericle per mano dello storico ateniese Tucidide, in cui lo stratega greco riporta al presente l’“onore del ricordo” di coloro che avevano costruito le basi della democrazia greca, ma ancora, per un’altra storiografia si tratterebbe di un stile riconducibile al testo della prima Bibbia tradotta in inglese per volere di Giacomo I, nel 1611.

Sostanzialmente, questi riferimenti storiografici sono stati considerati in maniera organica e strategica da Papa Francesco e da coloro che hanno aiutato il Santo Padre alla stesura dello straordinario discorso pronunziato con un tono inclusivo ma franco dinanzi al Congresso USA che riflette una storia, una cultura e, almeno nel passato, una religione diversa da quella dell’America australe: cattolica questa, protestante l’altra. Ma ricollegandosi a una radice geografica comune, Bergoglio ha potuto esprimersi in modo inclusivo, avvolgente, come è stato detto dalla stampa internazionale, “il Bergoglio style ha parlato con un tono garbato e al contempo severo al popolo americano dalla sua sede più rappresentativa, in piedi, un punto bianco nel circo politico formale, sotto la scritta In God We Trust, e di fronte a due schieramenti che si dividono su cambiamento climatico, immigrazione, riforma sanitaria, sacerdozio, contraccezione, pena di morte”.

Per rivolgersi alla “terra dei liberi”, che è stata anche terra di accoglienza e di conversione, e per abbracciare tutti indistintamente, in modo tale che le sue parole non venissero in seguito strumentalizzate a favore (e a sfavore) di una o dell’altra fazione politica, Papa Francesco si è servito – appunto – dell’“onore del ricordo” ricordando la storia di quattro sognatori americani, Abraham Lincoln, Martin Luther King, Dorothy Day e Thomas Merton. “La loro visione continua a ispirarci”, ha detto il Papa rievocando l’idea di quel sogno che si pone alla base della felicità costituzionale americana, e suscitando molte emozioni alla platea che ha partecipato nell’ascolto ripercorrendo le pagine della storia statunitense andando oltre la propria ideologia politica. La storia accomuna, la storia giustifica, e madre e maestra, essa insegna al presente a rivolgere lo sguardo ai costruttori della coscienza nazionale passata, che con tutte le loro differenze e i loro limiti, ha spiegato Francesco, sono stati capaci con un duro lavoro di costruire un futuro migliore.

“Mi rallegro – ha soggiunto il Pontefice – che l’America continui ad essere, per molti, una terra di ‘sogni’. Sogni che conducono all’azione, alla partecipazione, all’impegno. Sogni che risvegliano ciò che di più profondo e di più vero si trova nella vita delle persone […]”.

Dopo aver ricordato che quest’anno ricorre il centocinquantesimo anniversario dell’assassinio del Presidente Lincoln, dapprima addebitato a John Surratt, arruolato – tra l’altro – nell’esercito papale, Francesco ha menzionato per ordine, Martin Luther King, Dorothy Day e Thomas Merton, paladini dell’amore, per il prossimo, dell’avanzamento sociale e dell’incarnazione dei principi del Vangelo.

Il sogno di King ebbe inizio il 28 agosto 1963 con un discorso pronunziato a Washington davanti a migliaia e migliaia di persone: “Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere”. Il 14 ottobre 1964 il Parlamento norvegese dichiarò inoltre King vincitore del Premio Nobel per la pace. Il leader dei diritti civili il 18 settembre 1964 desiderò incontrare Papa Paolo VI di ritorno dalla Terra Santa e da Berlino.

King alla conclusione dell’Udienza in Vaticano comunicò che il Papa gli aveva promesso di denunciare pubblicamente la segregazione razziale e che il mondo cattolico avrebbe sostenuto la lotta non-violenta contro il razzismo.

Tre giorni dopo l’assassinio di King, il 7 aprile 1968, domenica delle palme, il Beato Montini lo ricordò all’Angelus con nobilissime parole: “Noi abbiamo ricevuto in udienza, anni fa, questo predicatore cristiano della promozione umana e civile della sua gente negra in terra americana. Sapevamo dell’ardore della sua propaganda; e anche noi osammo raccomandargli che essa fosse senza violenza e intesa a stabilire fratellanza e cooperazione fra le due stirpi, la bianca e la negra. Egli ci assicurò che il suo metodo di propaganda non faceva uso di mezzi violenti e che il suo intento era quello di favorire relazioni pacifiche e amichevoli tra i figli delle due razze. Tanto più forte è perciò il nostro rammarico per la sua tragica morte e tanto più viva è la nostra deplorazione per questo delitto”.

La Serva di Dio Dorothy Day rappresenta inoltre la svolta cattolica statunitense, non solo perché ella assieme a Peter Maurin fondò il Catholic Worker Movement nel 1933, movimento avviato per ri-definire una nuova collocazione neutrale e pacifista (negli anni trenta sempre più lacerati dalle guerre), ma perché per tutta la sua vita ha sempre lottato in nome della nonviolenza e in difesa del’ospitalità per gli impoveriti e i diseredati, a cui Papa Francesco ha dedicato il suo discorso di ieri.

Day è anche ricordata per aver cambiato radicalmente idea sulla liberazione sessuale delle donne: se in gioventù predicava la parità di genere e l’indipendenza femminile che doveva passare anche attraverso il birth control e le teorie neo malthusiane. Poi, a seguito di una triste esperienza di un aborto illegale mutò radicalmente il percorso della sua vita, tanto che negli anni ’60 e ’70 avviò una forte lotta dai toni cattolici contro il sesso libero e le esperienze precoci dei giovani americani.

Infine, papa Francesco ha menzionato un quarto sognatore della storia americana, Thomas Merton, monaco trappista autore di numerosi libri tra i quali Semi di distruzione, pubblicato nel 1964, nutrita analisi della Pacem in Terris di papa Giovanni XXIII. La Pacem in terris nacque dai missili di Cuba e dal blocco navale di Kennedy, e per questo il Papa del Concilio Vaticano II avvertì  l’esigenza di aprire un dialogo con i lontani, e dunque con il mondo comunista. Merton si interrogò un anno più tardi sulla risposta che la cristianità doveva agli eventi di quegli anni: agire con la forza o con l’amore? La soluzione non è politica – egli scrisse –  ma morale, “perché l’amore è più efficace della forza”. Per il monaco, che sottolinea l’ottimismo di Papa Roncalli, era necessario purificare l’atmosfera dalla confusione e dalla disperazione. Necessità qu
indi del più ampio dialogo, anche con i non credenti e con altre religioni, oggi auspicata da Papa Francesco, non solo in vista del Giubileo straordinario della Misericordia, ma per amore di una Chiesa unita e in uscita.

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Alessandro Notarnicola

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