I principi non negoziabili: una sfida educativa (Terza parte)

L’intervento di monsignor Enrico Dal Covolo all’inaugurazione della Scuola di Formazione Politica promossa dal Movimento PER

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La seconda parte è stata pubblicata mercoledì 16 gennaio.


2. L’insegnamento dei Padri della Chiesa

“Non ucciderai un bambino per mezzo dell’aborto” (Didaché, 2,2).

È questo il precetto, perentorio e inequivocabile, enunciato da un antichissimo testo della letteratura cristiana, coevo probabilmente, almeno in alcune sue sezioni, alla letteratura neotestamentaria. Si tratta della Didaché. Il fatto stesso che esso sia stato formulato significa che la consuetudine dell’aborto era diffusa o per lo meno praticata nel mondo pagano, non cristiano. Questo stesso appello ritorna in altre opere cristiane del II secolo. Tra di esse vorrei ricordare un passaggio della Supplica per i cristiani di Atenagora ateniese e un altro, tratto dall’Apologeticum di Tertulliano.

2.1. Atenagora.

Atenagora si interroga vivacemente: “Come possiamo essere omicidi noi, che affermiamo che quante ricorrono a pratiche abortive commettono un omicidio e dell’aborto renderanno conto a Dio? Non è possibile nello stesso tempo ritenere che è vivo l’essere che è nel ventre, e che per questo Dio ne ha cura, e ucciderlo nel momento in cui nasce alla vita; né è possibile esporre il neonato – essendo infanticidi coloro che lo espongono –, o sopprimerlo quando è allevato. Noi siamo in tutto e per tutto simili e uguali, essendo sottomessi alla ragione, e non comandando su di essa” (Atenagora, Supplica per i cristiani, 35,6).

2.2. Tertulliano.

Il testo di Tertulliano, il cui riferimento, tra l’altro, è riportato nella nota a piè di pagina della sezione del Catechismo della Chiesa Cattolica relativa alla proibizione dell’aborto, suona così: “A noi, proibito una volta per sempre l’omicidio, non è lecito sopprimere neppure il feto concepito nell’utero, mentre ancora il sangue materno sta formando un essere umano. Impedire la nascita è un omicidio anticipato, e non fa differenza se si strappi al corpo un’anima già nata o si interrompa il suo processo di formazione. È già un uomo colui che lo sarà; anche ogni frutto è già contenuto nel seme” (Tertulliano, Apologeticum 9,2.8).

Consentitemi ora qualche riflessione. Per i cristiani del II secolo (come pure per quelli dei secoli successivi: vi è, infatti, un ampio florilegio contro l’aborto, che comprende la voce di non pochi dei Padri dell’epoca aurea, come Basilio di Cesarea o Giovanni Crisostomo), la protezione della vita del concepito è un dovere non negoziabile. Ora, questi autori che ho citato, Atenagora e Tertulliano, sono degli apologeti. Essi, cioè, si rivolgono al mondo non cristiano ed espongono la ragionevolezza della loro visione della vita, facendo appello, proprio perché in dialogo con coloro che non condividevano la stessa fede, al logos, cui “tutti siamo sottomessi”, secondo le parole di Atenagora. In altri termini, gli apologeti chiedono a tutti gli uomini di seguire quanto di universalmente umano ci accomuna, cioè l’uso della ragione, a prescindere dall’affiliazione religiosa.

E tuttavia l’uso della ragione potrebbe essere ancora insufficiente. Gli antichi Apologeti, allora, ci offrono l’indicazione di un altro percorso che integri e corrobori quello del logos. Essi, infatti, a partire dalla Rivelazione biblica, mostrano nella fede cristiana una sorgente ricchissima di valori antropologici, fondati sull’azione creatrice e redentrice di Dio. […]

3. La testimonianza dei santi

Mi avvio alla conclusione del mio intervento, cari amici, trattando, più succintamente, un ultimo punto. […]

Ho sviluppato le precedenti riflessioni insistendo sul fatto che i principi non negoziabili, in particolar modo la tutela della vita nascente e la dignità del morire, sono acquisiti dalla ragione, che nella fede cristiana trova ulteriori motivi di conferma. Vi è tuttavia un perfezionamento ulteriore della ragione e della stessa fede: si tratta dell’amore. La ragionevolezza dell’antropologia personalistico-cristiana che afferma la non negoziabilità del principio della difesa della vita è sostenuta dalla luminosa testimonianza dei santi. I santi esercitano un potente fascino. E, per grazia di Dio, essi non sono mancati e non mancano, e continuano a mantenere vive la bontà e la bellezza dell’umanesimo cristiano. Essi mostrano che solo l’amore, inveramento e perfezionamento della ragione, è credibile. Sono loro che fanno del Cristianesimo un messaggio non solo informativo ma performativo, che cambia la vita della gente e dei popoli!

Il mondo intero si è inchinato per rendere omaggio alla Beata Madre Teresa di Calcutta, icona della santità che si prende cura della vita in nome di quei principi non negoziabili su cui stiamo riflettendo. Parlando da una tribuna speciale, a Oslo, in occasione del conferimento del Premio Nobel nel 1979, ella, senza alcun timore, con la forza e la semplicità della verità, diede testimonianza della missione compiuta per impedire la pratica dell’aborto, che definì il “grande distruttore della pace”. E ne illustrò il motivo con parole che fanno eco a quanto dicevamo precedentemente commentando l’Evangelium Vitae: derogare all’inviolabilità della tutela della vita già concepita apre la strada, come di fatto è accaduto, ad ogni forma di efferatezza e di violenza. “Perché”, affermò in quell’occasione Madre Teresa, “se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te, e a te di uccidere me? Nulla”.

E anche a proposito dell’eutanasia ricordò un’esperienza che vale forse più di molti ragionamenti, per mostrare che c’è sempre una dignità nel e del morire: “Abbiamo raccolto un uomo dal canale, mezzo mangiato dai vermi, e l’abbiamo portato a casa. Egli ci ha detto: ‘Ho vissuto come un animale per strada, ma sto per morire come un angelo, amato e curato’. Ed è stato così meraviglioso vedere la grandezza di quell’uomo che poteva parlare così, poteva morire senza accusare nessuno, senza maledire nessuno, senza fare paragoni, come un angelo”.

Di fronte alla testimonianza dei santi che ci mostrano una “via più grande” – quella della carità – ragione e fede acquistano una forza persuasiva ancora più cogente, sicché i principi non negoziabili appaiono realmente dotati di quella verità, di quella bontà e di quella bellezza che niente e nessuno potrà rinnegare.

Ed è questo l’ultimo pensiero che desidero condividere con voi, cari amici, anzi una preghiera: il Signore doni e moltiplichi i santi, protettori e amici della vita, testimoni e perciò maestri. Sono e saranno essi sempre il discorso più convincente perché i principi non negoziabili tornino a essere il fondamento di una convivenza umana più giusta e pacifica per tutti e per ciascuno; per costruire stabilmente quella civiltà dell’amore, dove ogni uomo, dal suo concepimento fino alla sua morte naturale, sia rispettato e onorato per la sua inalienabile dignità.

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ZENIT Staff

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